Uber, taxi, noleggio con conducente, car sharing: come cambia il trasporto urbano nel terzo millennio e perché ci converrebbe accettare i cambiamenti e la concorrenza, piuttosto che rifiutarli senza appello.

giuricin - Copia

L'avvento di nuove tecnologie e applicazioni è sempre foriero di novità. E, laddove una novità va ad intaccare degli interessi pre-costituiti, c'è sempre, almeno in un primo momento, la tendenza a rifiutarla.

È il caso di quanto sta accadendo nelle città europee, dove Internet, unito agli smartphone e alle nuove app, sta portando ad una rivoluzione del trasporto locale. In particolare, il car sharing e le nuove applicazioni come Uber stanno portando a una maggiore libertà di scelta dei cittadini, ma si scontrano con la protesta, a volte anche violenta, degli operatori del servizio taxi "tradizionale".

Uber, per chi non la conoscesse, è un'applicazione per smartphone, attiva in molte grandi città del mondo e recentemente "sbarcata" a Milano, che permette di "noleggiare" all'istante, con un clic, un'auto con conducente, a prezzi paragonabili a quelli di un taxi, ma in maniera più comoda e con meno attesa. A detta di chi l'ha utilizzata, Uber copre efficacemente le mancanze (costi eccessivi, attese telefoniche infinite, poca attenzione al cliente) del servizio taxi "ufficiale".

La regolamentazione del trasporto pubblico ha visto in Italia una cronica mancanza di visione liberalizzatrice e i tentativi di aprire un minimo alla concorrenza il settore si sono spesso scontrati con una strenua difesa delle categorie che già vi operavano e che terrebbero a conservare il loro monopolio. Non a caso l'Italia è il Paese delle corporazioni: in questo campo stiamo mostrando tutta la nostra incapacità di affrontare in maniera completa le nuove sfide che arrivano dalla tecnologia.

Il settore delle application per il trasporto di persone nei centri urbani ha visto la sua nascita negli Stati Uniti e si è sviluppato velocemente anche in Europa. Proprio in Europa, tuttavia, Uber e le sue "sorelle" stanno incontrando forti resistenze da parte dei tassisti, che fanno la voce grossa sentendosi spesso spalleggiati dalle Istituzioni locali. Negli Stati Uniti, paese a vocazione maggiormente liberale, ci sono stati comunque alcuni problemi, ma hanno avuto un impatto molto inferiore.

È di poche settimane fa la notizia che il Comune di Bruxelles ha vietato di offrire questo tipo di servizi sul suo territorio, ma anche in altre grandi città europee si sta sviluppando un movimento di difesa della categoria dei tassisti.

I decisori a livello locale, dal canto loro, si trovano stretti tra l'innovazione tecnologica, che col tempo diventa sempre più inevitabile, e la pressione di una categoria che è ancora estremamente forte in molti paesi.

Esiste però un'altra applicazione-servizio, che si propone come aggiuntiva e non sostitutiva rispetto al trasporto pubblico urbano regolato.

Si chiama "car sharing" ed in Europa è sviluppata ormai da alcuni anni. In Italia alcune municipalizzate hanno fatto esperimenti in questo senso, ma il modello di business era troppo rigido e non adatto alla flessibilità richiesto dai consumatori. Non dimentichiamo, d'altra parte, che in gran parte d'Europa il successo del "car sharing" poteva dirsi in gran parte annunciato, dato che seguiva quello riscontrato dal "bike sharing". In Italia, anche a causa dello scarso numero di chilometri di piste ciclabili, tale servizio ha avuto un impatto minore sulla mobilità urbana, per non parlare del caso – decisamente non da manuale - di Roma, dove in capo a pochi mesi le biciclette fornite dalla municipalizzata erano state tutte vandalizzate per i pezzi di ricambio o rubate così com'erano. Si tenga presente anche che il "bike sharing" ha un costo elevato per le casse dei Comuni, come dimostra anche il caso di Barcellona, poiché la pubblicità copre solo in parte i costi del servizio.

Il car sharing invece sta andando in una direzione opposta, con l'avvento di un business totalmente privato che di fatto non costa nulla alle casse pubbliche e anzi porta  degli introiti. L'Italia arriva leggermente in ritardo in quello che sta diventando il mercato del trasporto regolato di autovetture private, nonostante la leadership nel mercato degli smartphone.

Il funzionamento del car sharing, di fatto, può essere migliorato proprio grazie a una buona diffusione di internet sui dispositivi mobili, perché, nelle ultime evoluzioni di questo servizio, è proprio un'app installata sul device di ogni utente che permette di individuare l'auto disponibile più vicina.

La prima città italiana ad avere introdotto questo servizio è stata Milano ed è possibile fare un "noleggio breve" di una delle vetture disponibili entro un territorio urbano definito. Il vantaggio dei privati, oltre al gran numero di auto disponibili, è che la logistica del "prendere e lasciare" l'auto è stata resa estremamente flessibile.

È il consumatore che sceglie dove prendere e lasciare l'auto in funzione delle proprie esigenze - e non in funzione delle esigenze logistiche delle imprese di servizi. Addirittura è il consumatore stesso che è incentivato a rifornire l'auto con dei vantaggi in termini di minuti gratuiti da utilizzare nei noleggi successivi. Un servizio di noleggio che ha un costo a tempo per il guidatore e non ha costi fissi di utilizzo mensile.

Questa flessibilità ha permesso una grande penetrazione nel mercato europeo dal momento in cui è nato il progetto pilota, nel marzo del 2009, nella città tedesca di Ulm.

Ma questi servizi sono un successo anche in Italia? Esisitono pochi dati a livello italiano e attualmente le uniche due città nelle quali esiste il servizio sono Milano (inizio ad Agosto del 2013) e Roma (2014). Per il car sharing privato, tuttavia, essendo un servizio regolato, vi erano delle stime da parte del regolatore. Nel caso di Milano, il Comune prevedeva tra 16 mila e 51 mila iscritti.

I primi risultati sono ottimi perché, anche considerando solo i primi due operatori, Car2Go e Enjoy, si contano complessivamente 115 mila iscritti a fine marzo. L'area interessata dal car sharing è limitata a 120 chilometri quadrati e dunque la diffusione è estremamente elevata essendoci di fatto oltre 1000 iscritti per chilometro quadrato. Facendo i conti, circa un decimo della popolazione milanese è iscritto ad un servizio privato di car sharing. I due operatori hanno quasi 1200 vetture per le quali pagano un canone al Comune di Milano di oltre mille euro: dunque, se - come preventivato - si arrivasse a circa 2000 automobili sul territorio milanese, il Comune potrebbe averne un introito di quasi 2,5 milioni di euro.

A Roma il servizio sta prendendo piede in questi mesi, ma il leader tedesco della società Daimler, Car2Go, ha già annunciato di avere raggiunto in poco tempo i 20 mila iscritti. L'area interessata dal noleggio è di circa 100 chilometri quadrati e si prevede che anche a Roma vi sarà un buon successo di questo business, privato e regolamentato, che permette al Comune di guadagnare dei soldi diminuendo allo stesso tempo il traffico cittadino, di fatto un'esternalità negativa molto onerosa in termini di produttività. Roma è una delle città con il parco macchine più grande d'Europa, oltre 600 vetture per mille abitanti: un servizio di car sharing ben impostato limita di fatto il numero di auto in circolazione.

Il Criet – Trasporti ha cercato di fare una stima di quanto sia utilizzato il servizio di car sharing a Milano tra i principali operatori.
I numeri possono essere sorprendenti, perché la percorrenza media dovrebbe essere compresa tra circa 23 e 39 chilometri in funzione dell'operatore, mentre i ricavi medi per autovettura possono superare anche i 30 euro al giorno. Sono stati rilevati circa 6 mila noleggi giornalieri tra i due operatori a Milano, mentre a Roma si evidenzia ancora uno sviluppo del servizio inferiore – dovuto al minor numero di mezzi circolanti – con circa 1500 noleggi al giorno.

Sono dati che permettono comunque di intravedere una buon ritorno sull'investimento, anche tenendo in considerazione che i gestori di tali servizi sono proprio delle case automobilistiche. L'utilizzo delle autovetture non è elevato, quindi la manutenzione non è eccessiva, ma al contempo i ricavi hanno già raggiunto un buon livello, in quanto ogni autovettura può generare fino a 1000 euro di ricavo al mese.

Un nuovo business privato, dunque, sta nascendo grazie allo sviluppo tecnologico, e ha molte probabilità di successo: è d'importanza cruciale, adesso, che il legislatore non si senta autorizzato a limitare le possibilità di scelta di un bacino vastissimo di consumatori soltanto per favorire determinate categorie, a cui già in passato si è permesso di conservare il monopolio su un mercato cruciale come quello del trasporto, a scapito di tutti i potenziali clienti e concorrenti.

La nuova tecnologia applicata al trasporto urbano sta portando ad una vera e propria rivoluzione. Volenti o nolenti, le Amministrazioni Comunali e le categorie "protette" dovranno comprendere che il mondo sta cambiando. Piuttosto che arroccarsi in posizioni di difesa e di limitazione delle libertà, sarebbe auspicabile che anch'esse cercassero una maggior vicinanza alle esigenze del cliente/consumatore, aprendosi alla comodità dell'innovazione tecnologica.

L'Infomobility è una delle chiavi di successo di questi nuovi servizi, in quanto il consumatore ha la certezza di avere un'informazione chiara, precisa e completa su dove e in quali condizioni si trovi l'autovettura più vicina. Questi servizi che hanno un'app dedicata si scontrano spesso con servizi taxi dove il cliente (ammesso che riesca a prendere la linea col centralino in tempi umani) non ha informazioni circa la vettura più vicina e i diversi tassisti si trovano a comunicare con tecnologie non certo avanzate.

L'apertura a nuove tecnologie non deve essere affrontata con scetticismo, ma andrebbe letta come un'opportunità per il trasporto pubblico; sarebbe miope, antieconomico e antistorico vederla come un pericolo. Servizi di trasporto che, grazie a Internet e alla geolocalizzazione, diventano sempre più efficienti non potranno che avere un effetto positivo, migliorando globalmente la qualità della vita. E, una volta tanto, i vantaggi arriveranno per tutti, non solo per le poche "categorie protette".