La faccia di Arcuri
Istituzioni ed economia
Attaccato per la scomparsa delle mascherine dagli scaffali a seguito della fissazione del prezzo di stato e della implacabilità della legge della domanda (che è implacabile almeno dalle teorizzazioni svolte nel 1838 da Antoine Cournot nelle Recherches sur les principes mathémathiques de la théorie des richesses), Arcuri si è difeso aspramente nel corso della conferenza stampa di ieri, rigettando ogni accusa dei rivenditori. Dopo il consueto “Lavoriamo nell’esclusivo interesse dei cittadini” (un altro mantra in vetta a tutte le classifiche da juke-box pressapochista) è arrivata la vera hit di questi anni bui: “Noi stiamo facendo la nostra parte”, ha spiegato, “e lo facciamo mettendoci la faccia”.
Ecco qua. Alé.
Ma quanto inverecondamente fastidiosa è ‘sta cosa che, di fronte agli errori, ci si mette la faccia? Metterci la faccia è il paravento dell’incompetente che si sacrifica per noi. Non il compenso, non la competenza, non la responsabilità, ma la faccia. Conta la faccia. Il salvatore non è più tale per l’effettiva opera salvifica, ma perché si mette in gioco in prima persona, perché ci mette la faccia, appunto. Ma noi del faccismo ben stipendiato in ruoli di responsabilità non ce ne facciamo nulla. Ma proprio nulla.
Ci si deve mettere competenza, non la faccia. E se si sbaglia clamorosamente in ruoli di responsabilità che richiedono competenza, se, pur con la laurea in economia come Arcuri, si ignora clamorosamente il comportamento del mercato in caso di fissazione del prezzo in eccesso di domanda, non c’è faccia che tenga: si deve andare a casa e lasciare il posto ad altri.
La faccia ce la mise Di Maio a Taranto sull’Ilva, ce la mise Conte attaccato da Guy Verhofstadt che lo accusò di essere il parafulmine di Salvini e Di Maio, Salvini ce la mise alle comunali di Roma e un’infinità di altre volte.
La faccia ce la mette il politico che chiede comprensione (compassione?) rovesciando la prospettiva del giudizio. Ma il cittadino non è tenuto a mettersi nei panni del politico che sbaglia. Nemmeno un grammo di empatia o indulgenza può essere ammessa di fronte all’errore clamoroso. Altrimenti si diventa accondiscendenti e, passo dopo passo, conniventi.
Se gli scaffali sono vuoti come si insegna al primo anno di Macroeconomia e il responsabile di ciò ha un nome e un cognome, è giusto metterci la faccia fino in fondo.