L’etica dell’oltraggio e l’osceno silenzio dell’Italia sulla Bielorussia
Diritto e libertà
L’uniforme come argine fra l’uomo e l’autorità, vessillo del giogo e della falsa promessa dell’ordine pubblico. La gente muore a Minsk per la democrazia e un pugno di ex ufficiali gettano l’uniforme in segno di protesta contro il regime, rompendo quell’argine e rendendosi colpevoli di oltraggio.
Genuino, sano e, nel Paese dell’ultima dittatura d’Europa, ove vige ancora la pena di morte, pericoloso oltraggio. Ribelli usciti dal bosco, per dirla con Der Waldgang di Ernst Junger. Come tutti coloro che sono scesi in strada in questi giorni a Minsk.
Basta con il manganello come strumento di espiazione della colpa dell’aspirazione democratica. Basta con il momento elettorale come pura messa in scena. Basta con organi del potere che interpellano i cittadini non per cercare il loro contributo alla ricerca della verità o alla soluzione di problemi concreti, bensì per la finzione della libera volontà popolare.
Nella rappresentazione del despota il fine non è la soluzione. Il fine è la risposta. Che deve essere totale, plebiscitata. La scheda elettorale un questionario, a cui rispondere con un fucile puntato alla tempia. Celato, subdolo, a tratti ruffiano. Ma carico e costantemente puntato.
La scheda elettorale come biglietto per la messa in scena. Sul retro una scritta eloquente: “Al segnale applaudire”. Greetings from the land of deadly freedom. L’arte del comando non consiste semplicemente nel porre la domanda nel modo giusto, ma anche nel mettere in scena il momento elettorale: “L’evento va presentato come un coro assordante che suscita insieme terrore e ammirazione”, diceva ancora Ernst Junger.
Le altre dittature (Cina e Russia su tutte) si complimentano per l’esercizio di stile di Minsk, per il copione totalitario ben recitato: addirittura un 20% all’opposizione; bravi, così sembra proprio vero.
L’Italia tace in maniera imbarazzante, confinata nelle fogne dell’ambiguità connivente dal proprio Ministro degli esteri e della cooperazione internazionale. Il quale discetta di taglio dei parlamentari (la grande riforma della politica infante), di bonus da 600 euro sottratto a chi ne aveva bisogno (l’elemosina rubata) e di mandato enne punto infinito (il disastro di Roma val bene un’eccezione che ammazza la regola). Ma non dice nulla sulla gente che muore a Minsk. Nulla sul giornalista italiano trattenuto per 60 ore senza cibo. Gli amici totalitari dell’estremo Oriente si sono complimentati con l’ultimo dittatore d’Europa, mica si può contraddirli.
Il Presidente del consiglio non è da meno. C’è il post opportunity sul Ponte Morandi, la foto da rotocalco con la compagna al mare, il tempo di ricordare Franca Valeri (pace alla grande anima sua), ma sulla gente che muore a Minsk nulla.
E’ tutto un grande, osceno, vomitevole silenzio.
Ma dove c****o è finita la politica in Italia?
Ancora Junger diceva che quando tutte le istituzioni divengono equivoche o addirittura sospette, e persino nelle chiese si sente pregare ad alta voce non per i perseguitati bensì per i persecutori, la responsabilità morale passa nelle mani del singolo che ancora non si è piegato.