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Ho letto l’articolo di Gabriele Molinari comparso qualche giorno fa su Strade e mi si è formata nella testa questa immagine: un grande campo arido, solcato da un reticolo di solchi piccoli e grandi, e un uomo che, con un comune innaffiatore di quelli che servono per innaffiare i vasi del balcone, vi spargeva acqua una volta l’anno in una sera particolare (nell’articolo di Molinari “l’uomo” della mia immagine era, appunto, il Presidente Mattarella). Ma l’acqua dell’innaffiatore non faceva neppure il solletico alla aridità del campo. La vedevo evaporare appena toccato terra.

Quella che ho visto è l’aridità dell’uomo italiano ed europeo in generale. Come è possibile utilizzare una barca in mezzo al mare da giorni, abitata da poveri disgraziati, come strumento di pressione e ricatto al fine di trovare una soluzione al problema, ormai radicato e consolidato e quindi ben conosciuto, dei migranti e degli sbarchi?

Dov’è la dignità delle persone che incarnano oggi l’autorità europea e quella italiana? Sì, “dignità”, perché è questione di dignità personale; le istituzioni non c’entrano, perché sono gli uomini, con la loro testa e magari con qualcosa altro che non hanno più (l’intelligenza, la cultura e il cuore), che danno forma e sostanza alle Istituzioni.

Olanda, Germania, Belgio… e anche Italia …“sì, siamo disposti a prenderne qualcuno, donne, bambini…no, anche i padri…non si possono spezzare le famiglie…, purché Malta apra il suo porto…”. E Malta… “no, perché potrebbe costituire un precedente”. E Salvini “…i porti italiani restano chiusi…noi abbiamo dato, ora tocca a Malta…”.

Chi avesse seguito le conversazioni dei signori del potere, dico del potere e non della politica, si sarebbe trovato di fronte a questo campo arido di umanità, solcato dagli innumerevoli solchi delle reciproche ostilità sotterranee e non, diffidenze, protagonismi, supponenze, ignoranza intellettuale e umana…. Allora, la domanda: sono queste le persone che incarnano oggi la politica degli Stati e delle Istituzioni Europee?

Una politica fatta da persone serie avrebbe dovuto comunque, prima, mettere a terra quella barca di disgraziati, ovunque: in mare il porto di approdo non può mai costituire una condizione. Poi avviare una concertazione seria sulla gestione degli sbarchi e sulla distribuzione dei migranti. Cosa mai fatta fino ad oggi; anzi è stato fatto il contrario: chiudere le frontiere e sottarsi agli obblighi di accoglienza. Per cui ora, di fronte a quest’ultimo episodio, si ricorre all’unica arma che politicanti senza idee politiche hanno: il ricatto sulla pelle di altri uomini.

Il punto è qui, ed è ciò che mette a nudo la mediocrità dell’uomo politico europeo di questi tempi. Da un lato la indubbia difficoltà di governo di un fenomeno epocale, nel quale si mescolano forme di sfruttamento della sofferenza di migliaia di persone, di arricchimento indebito, di violenza, di delinquenza organizzata, e così via, insieme alla salvaguardia della sicurezza e tranquillità di un ambiente sociale europeo che è popolato da milioni di persone che da settant’anni non sanno più cosa sia il dolore e la sofferenza di una guerra e di una povertà ai limiti della sopravvivenza.

Il punto è proprio qui, perché i padri fondatori del pensiero europeo, che uscivano da un cinquantennio di guerre e dittature avrebbero agito assai diversamente. Entra in gioco, allora, la figura stessa di ciò che comunemente chiamiamo della “storia”. Essa è un racconto di fatti, avvenimenti, formazioni sociali, politiche culturali e così via, certamente sì, ma attenzione, alla radice è un racconto di uomini e delle loro azioni. Intendo sottolineare che la storia di un determinato tempo, e degli eventi che lo distinguono, è alla sua origine una questione generazionale. Tutto dipende dalle caratteristiche di fondo del tempo nel quale le generazioni che ne sono protagoniste si sono formate (non sono “nate”, ma si sono “formate”). Veniamo così alla contemporaneità.

Le generazioni che oggi governano il mondo, in senso lato, dalle istituzioni all'economia alla finanza alla cultura alla comunicazione, sono quelle che si sono formate negli anni ’90, allorché la caduta del muro di Berlino ha fatto pensare alla vittoria definitiva del capitalismo sul comunismo. Una delle conseguenze è stata l’affermarsi di modelli pragmatistico-negoziali in tutti settori della vita; affermazione, salutata come liberazione da quella visione “ideologica” che, soprattutto negli ’70, aveva prodotto violenza e sangue. Senonché si è buttata via l’acqua con il bambino: riducendo tutto a negoziazione pragmatistica, le generazioni degli anni ’90 sono cresciute con il mito della tecnocrazia economica e degli equilibri del puro potere (qui la questione si apre ad altri profili che attraversano il ‘900, anche dal punto di vista epistemologico, che tuttavia non è luogo di trattare).

Le istituzioni delle democrazie rappresentative del dopoguerra sono divenute via via delle forme piene di retorica, ma senza contenuti corrispondenti e prive di categorie ideali. Anche la mentalità comune ne è stata contaminata, dando vita ad un generico e apatico individualismo egoistico di massa reso concreto e anzi esaltato dall’affermarsi di modelli comunicativi volti più a colpire il disagio corrente (anche psicologico) che non a stimolare la voglia di idee per un effettivo rinnovamento. Si è puntato sull’impact factor e non sulla nascita di un pensiero. E qui i detentori della comunicazione hanno una grave responsabilità: quella di aver scelto di “azzuppare il pane” nelle manifestazioni eclatanti di pratiche di vita correnti, mediocri e violente, anziché “allenare” ad una riflessione critica; con ciò distruggendo l’idea di società e con essa la politica come pensiero e come istituzioni, le quali ultime non solo hanno perso credibilità, ma addirittura riconoscibilità da parte della gente comune.

Due esempi di linguaggio che mi sembrano uno specchio della situazione che ho descritto. Il primo riguarda l’esprimersi dell’uomo della strada; il secondo tocca il nostro sistema costituzionale.

Primo esempio: “…non per essere buonista…, ma…”, Questa presa di distanza dalla bontà con il neologismo “buonista” sottintende che ormai, nel clima umano che viviamo, la “bontà” si confonde con la “fesseria” o comunque con un livello di ingenuità tale da sfiorare la fessaggine. Dunque occorre prendere le distanze: basta con l’essere buoni! Conseguenza: aridità umana, e solchi di diffidenza a priori. Ne sono testimonianza i giovani: l’espressione che più ricorre tra di loro (ne ho conoscenza diretta) è “paura” per una sorta di ignoto umano nel quale si muovono e “mancanza di fiducia” nel mondo che li circonda e soprattutto tra di loro (e questo è ancora più grave, poiché genera solitudine e incapacità di immaginare una impresa da fare insieme). Al “perché” di questi atteggiamenti la risposta è: “perché, così, il mondo che ci circonda ci viene rappresentato e raccontato”.

Il secondo esempio riguarda l’espressione ricorrente “premier” e "i due vice premier”, per indicare il Presidente del Consiglio, Conte, e i dioscuri Di Maio e Salvini. In questo vezzo linguistico massmediale non vi è solo una forte inesattezza delle espressioni sotto il profilo costituzionale, poiché quelle qualificazioni appartengono ad altri sistemi costituzionali, che con il nostro non hanno alcuna somiglianza, ma vi è qualcosa di più grave. Proprio perché la persona comune non è necessariamente uno studioso di diritto costituzionale, italiano e comparato, usare il termine “premier” induce nell’inesperto la sensazione che il governo non sia l’esercizio di una “funzione” (Presidente del Consiglio), quanto piuttosto la manifestazione di un potere concreto e personale.

Che si ingeneri questa sensazione, d’altra parte, è proprio il fine perseguito dai due contraenti il “contratto”: con “vice premier” gli italiani devono avvertire che il potere effettivo è nelle loro mani: altri ministri e lo stesso Parlamento scivolano così in una nebbiosa indifferenza, cui si accompagna una sorta di salutare diffidenza, quella per la “vecchia politica”. “Nuova politica”!, dove il Presidente del Consiglio (pardon, “premier”), essendo solamente “uno”, conta meno dei due.

Una conferma, tratta da un evento recentissimo. La presa di posizione del Presidente del Consiglio sulla questione-migranti, nei confronti di Salvini, è stata riportata dai mass media più come una emancipazione del personaggio da una subordinazione ad un altro personaggio, che come il doveroso esercizio del potere connesso alla sua funzione istituzionale.

Comunicando secondo queste e simili modalità, nelle quali il tratto della personalità caratteriale si sovrappone a quelle dei ruoli istituzionali, che è ciò che genera il successo del modello massmediale, si riempie più facilmente la pancia della gente comune, ma se ne svuota la testa e se ne inaridisce il pensiero. Di qui quella immaturità della attuale società italiana (e non solo) denunciata in modo allusivo, quanto brillante, da Gabriele Molinari.