gorobarricate

Le barricate anti-migranti (12 donne, una incinta e forse in futuro 8 bambini) a Gorino - frazione di Goro - un paesino di pescatori che conta meno di 4mila anime, non rappresentano una scena inaspettata: sono frutto della politica anti-migranti e dell’esasperazione dei comuni virtuosi.

L’antefatto. Per spiegarla bisogna fare un passo indietro, non troppo in là: agosto 2016. Ferrara è una provincia che risponde bene alle esigenze di accoglienza che partono da Roma, arrivano all’hub di smistamento di Bologna e vengono diramate nel resto della regione. Al tempo ospita 685 persone dislocate in 47 strutture, circa la metà nel capoluogo che ha una convenzione attiva con la Prefettura e usufruisce dei servizi di una rete di imprese del Terzo Settore (tra cui la coop Camelot che gestisce il sistema quasi in monopolio, come notato anche dall’Anac). Al Ferrarese spettano il 7,3% dei migranti che arrivano a Bologna (che sono a loro volta il 10% su base nazionale), è un riparto matematico che sconta già la presenza dei territori terremotati ai quali viene concesso di non accogliere gli stranieri (è un accordo, non una legge). Si arriva però a un punto di saturazione delle strutture, per cui Comune e Terzo Settore cercano l’aiuto dei privati a cui viene ovviamente garantito un ‘affitto’ per la disponibilità degli immobili.

Il precedente di Gaibanella. Così accade a Gaibanella, frazione di Ferrara, dove la coop Camelot e i gestori di un vecchio albergo (la Locanda della Luna) stipulano una convenzione per ospitare 30 migranti. La proprietà non è d’accordo, ma anziché dirlo ai diretti interessati si rivolge alla Lega Nord. Il 3 agosto c’è un incontro in parrocchia sul tema, con l’assessore comunale alle Politiche Sociali. C’è anche il proprietario, c’è la Lega Nord, c’è Casa Pound. Il giorno dopo la Lega Nord, il proprietario e qualche cittadino, di fatto, bloccano la sistemazione dei locali della Locanda (che è soggetta a ipoteca e in corso ci sono alcune vicende legali) da parte della coop Camelot. Si parla di una villa di lusso con piscina data ai migranti, ma il lusso in realtà non esiste e la piscina è una pozza d’acqua verde e melmosa. Fatto sta che non se ne fa più niente, Gaibanella rimane libera e i migranti vengono spediti altrove, come pacchi.

Il sindaco di Ferrara, Tiziano Tagliani, però, si incazza. Prima per l’attacco (da molti definito un’imboscata) al suo assessore durante la riunione in parrocchia, poi perché si sente solo: “La città di Ferrara - scrive in una nota stampa - ha già fatto la propria parte, al 31 dicembre 2016 scade la concessione della Prefettura all’Asp (azienda servizi alla persona, ndr) per la organizzazione del servizio e a mio avviso non ci sono le condizioni per un rinnovo, ormai è chiaro che chi fa il proprio dovere passa per buonista o ancor peggio per servo di interessi economici. La verità è che otto comuni della Provincia di Ferrara non accolgono nessuno e se ne fanno un vanto politico. È dunque venuto il tempo di resettare a zero gli accordi e ricominciare daccapo. Non è più tollerabile che le istituzioni lascino soli i comuni virtuosi in balia di facinorosi noti fino a ieri più per vicende giudiziarie che politiche”.

La prefettura di Ferrara allora corre subito ai ripari: emette un avviso per la ricerca di spazi privati destinati all’accoglienza dei migranti. Il sindaco di Bondeno, Fabio Bergamini della Lega Nord, butta l’avviso nel cestino e lo fa rimuovere sia dall’albo pretorio che da ogni spazio dedicato alla comunicazione istituzionale. Fa di più: attacca il prefetto e avvisa i propri cittadini che chi metterà propri immobili a disposizione sarà considerato un “traditore”.

Capita allora che si incazzi anche il prefetto - Michele Tortora -, anche se con aplomb istituzionale, e spieghi che senza la collaborazione dei comuni le cose andranno molto male. “Finché si collabora – osserva Tortora in una conferenza stampa – si gestisce in modo ordinato l’accoglienza, fino ad ora lo abbiamo fatto gestendo in modo civile, grazie alla collaborazione dei comuni virtuosi”. Già, finché si collabora, perché in caso contrario: “Senza collaborazione di tutti saremo costretti pure noi ad agire nell’emergenza e organizzare queste misure impattanti. Se i Comuni si disimpegnano questo comporterebbe un grande problema per la prefettura a cui ritorna la palla e l’effetto sarà che faremo un bando per l’ospitalità e sistemeremo i profughi dove troveremo posto, al di là di qualsiasi programmazione”.

Barricate a Gorino. E, infatti, dopo pochi mesi scoppia il caso di Gorino. Arrivano nuovi migranti (12 donne, di cui una incinta all’ottavo mese e - forse - 8 bambini nel prossimo futuro) e la prefettura - in assenza di altri spazi disponibili - requisisce una porzione della struttura ricettiva Ostello Bar “Amore-Natura” - una ex scuola materna di proprietà della Provincia, data in locazione (non è un esproprio, dunque) - dopo aver chiesto la disponibilità ai gestori (ottenendo, pare, un secco rifiuto). Metà della piccola comunità di circa 600 abitanti non lo accetta: prepara vere e proprie barricate e rifiuta qualsiasi mediazione. Alla fine le 12 donne verranno portate - a notte fonda - da un’altra parte. Gorino è salva, i suoi cittadini, dice Matteo Salvini, “sono eroi”.

La contestazione occupa le prime pagine - almeno quelle online - delle testate nazionali, è oggettivamente impressionante ma non è inaspettata. È il frutto del disimpegno degli enti locali - chi per motivi politico-ideologici (come il Comune di Bondeno), chi perché stanco di essere attaccato senza protezione istituzionale per il proprio difficile impegno nell’accoglienza (Ferrara) - nella gestione ordinata delle migrazioni. Il risultato è che i migranti continuano ad arrivare, solo che, anziché organizzarsi al meglio per accoglierli e gestirli nel territorio, (quasi) tutto ora passa per la sola prefettura, che ha un unico obiettivo: sistemarli da qualche parte. E lo raggiunge nei modi che le sono consentiti a fronte della mancata collaborazione di chi potrebbe fare di più: con l'imposizione, con atti d’imperio. D’altronde, come spiega ancora Tortora commentando quanto avvenuto: “La prefettura non fa politica di accoglienza, ma è chiamata a gestire ciò che viene pianificato a livello nazionale dal Ministero e non possiamo nemmeno scegliere i tempi”.

Immaginarsi come possa finire un’accoglienza gestita in questo modo era ed è fin troppo facile, ma c’è sicuramente chi - davanti all’ennesimo conflitto tra chi ha poco e chi non ha niente - starà sorridendo. È la sua fortuna politica.