"Destinazione Italia" è un documento di politica economica elaborato da una equipe di analisti ed esperti di politiche pubbliche per il Ministero degli Affari Esteri, a metà tra un libro bianco e un esperimento wiki con il quale la Farnesina guidata da Emma Bonino mette nero su bianco un pacchetto di misure atte a favorire l'attrazione di capitali e talenti nel nostro Paese. Un progetto interessante con buone proposte, la metà delle quali riuscirebbe a scuotere l'economia italiana, rendendo l'ambiente più fertile per gli investimenti stranieri e i cervelli del pianeta.

Come aumentare la quota misera (appena l'1,6%) di investimenti esteri appannaggio dell'Italia? Come contrastare quelle due fallacie che gli autori del rapporto chiamano "sindrome dell'outlet" (per cui attrarre investimenti significherebbe svendere allo straniero per fare cassa) e "sindrome di Fort Apache" (che spinge a dire "siamo in declino, alziamo muri per chiuderci e difendere così quello che ci resta")? Per chi volesse distrarsi dal circo patetico della politica politicante, la consultazione delle 50 misure di Destinazione Italia è un toccasana. Come lo sono stati in passato la lettura dell'Agenda Monti, i 10 punti del manifesto di Fermare il Declino o il volume Sudditi dell'IBL, per citare alcuni esempi noti.

Alla fine della lettura di Destinazione Italia, tuttavia, è al quadro politico che la mente ritorna. In lingua inglese si distingue tra policy (le politiche pubbliche, le cose da fare) e politics (la politica, gli attori che dovrebbero fare le cose). Anche quando a Palazzo Chigi siede una personalità come Enrico Letta, storicamente attenta alle policy, la paralisi dei partiti e la loro incapacità di sdoganarsi dagli interessi costituiti e dai cacciatori di rendite di posizione vanificano ogni sforzo e afflato riformatore. Come ne usciamo? Non con l'antipolitica, quella che trova nel M5S il suo apogeo, perché il suo sostrato culturale è il qualunquismo e il nichilismo, cioè il contrario del pragmatismo necessario a trasformare buone idee in buone pratiche. Nemmeno ci si può limitare alla manutenzione dello status quo, confondendo l'obiettivo imprescindibile della stabilità finanziaria dello Stato con quello della stabilità degli assetti di potere e delle poltrone.

Usciremo dalla palude solo con una profonda rigenerazione morale della politica, come scrive oggi Antonio Polito sul Corriere della Sera. Solo in un secondo momento vengono le riforme costituzionali, la legge elettorale, la forma-partito e l'emersione di leadership credibili e di qualità. Prima di ogni cosa urge una rivoluzione di civiltà, di onestà intellettuale, di buon senso. Il vero bipolarismo, oggi, attraversa i partiti e gli schieramenti: è la contrapposizione tra chi vuol amministrare il declino e chi volge lo sguardo oltre il breve periodo. La rivoluzione è pronta, insomma, mancano i rivoluzionari.