Il progetto di "Europa politica" è più in crisi al Nord che al Sud
Giugno 2014 / Monografica
La Merkel è in fondo più euroscettica degli europopulisti mediterranei. Il rigore nordico-teutonico è un no alla socializzazione dei debiti, la presunta rivolta contro Bruxelles è invece una richiesta di trasferimenti "sociali" dal Nord tax-payer al Sud tax-consumer. Non solo gli inglesi, ma neppure i tedeschi cederanno mai a queste pretese.
Uno dei dati più significativi di queste elezioni europee – e sorprendente agli occhi di alcuni – è che le posizioni euroscettiche ed antieuropeiste si siano rivelate più forti nei paesi del centro e del nord Europa che in quelli del sud Europa. La vulgata italiana che vuole l'Unione Europea e l'Euro come un complotto delle "razze padrone" contro i popoli mediterranei non sembra, nei fatti, rispecchiarsi nell'esito del voto nei vari Stati. All'atto pratico italiani, spagnoli, portoghesi (e a loro modo persino i greci) hanno votato per una "Even Closer Union", mentre è proprio dall'Europa centrale e settentrionale che è arrivato un no alla prospettiva di un'Europa federale.
L'affermazione degli euroscettici dell'UKIP in Gran Bretagna è stata incontestabile, con il partito di Farage giunto davanti sia ai Conservatori che ai Laburisti. Ma affermazioni significative dei partiti ostili a Bruxelles sono emerse in vari altri paesi. In Danimarca è arrivato primo il Partito del Popolo e buoni risultati sono stati ottenuti, tra gli altri, dall'FPOE in Austria e, a dispetto degli exit poll, dal Partito della Libertà di Geert Wilders in Olanda. In Germania il fenomeno è meno netto ma il dato tedesco merita una lettura articolata.
L'attenzione di molti media è stata concentrata su Alternative fuer Deutschland (AfD), il partito antieuro, che raggiunge il 7%, un risultato notevole considerando le altissime barriere all'ingresso che da sempre caratterizzano il sistema politico tedesco. Tuttavia, per quanto molti possano ritenerlo paradossale o antiintuitivo, anche il voto alla CDU presenta una valenza "euroscettica" almeno potenziale.
Certo il partito della Merkel nominalmente è europeista, eppure negli ultimi tempi da quelle parti si sono intravisti anche accenti eurocritici, e si è cominciato a parlare del rimpatrio (Rückführung) di alcune competenze trasferite all'UE. La Merkel non è Farage e neppure Cameron; tuttavia, se andiamo oltre gli slogan, la sua visione è nella sostanza più "euroscettica" di quanto non lo sia quella di populisti mediterranei quali Grillo o Tsipras. Nei fatti, Il "rigore" della cancelliera all'atto pratico è un no contro la socializzazione dei debiti e del finanziamento della spesa pubblica. L'esatto contrario delle ricette di Grillo che chiede gli "eurobond" e di Tsipras che chiede una "riforma sociale" dell'Europa in cui le formiche paghino per le cicale.
La verità è che, da Beppe Grillo a Silvio Berlusconi, i cosiddetti "euroscettici" italiani più che essere anti-UE sono ostili ai princìpi di responsabilità di bilancio promossi dai tedeschi. Non si propongono di fare a meno dell'Europa politica, ma più semplicemente di andare a Bruxelles a "battere i pugni sul tavolo", quasi sempre, alla fine della fiera, per negoziare più interventismo europeo, sotto forma di garanzia ai debiti nazionali da parte della BCE, di politica monetaria espansiva e di trasferimenti di varia natura. Ma di "pugni sul tavolo" da battere si parla anche nell'area più governativa ed europeista della nostra politica; così possiamo immaginarci che anche l'azione politica di Matteo Renzi, pur con toni senz'altro più educati, sarà quella di andare a Bruxelles a "chiedere". E lo stesso faranno greci, portoghesi, spagnoli - probabilmente anche i francesi.
La vera questione è che fino a questo momento l'Europa si è basata su un assetto prevalentemente orizzontale e questo ha conferito ai paesi più virtuosi un potere negoziale e di controllo sufficiente a difendersi da richieste di interventi perequativi incondizionati. Tuttavia se l'Europa evolverà nel senso di una democrazia unitaria, come prefigurano i sostenitori degli Stati Uniti d'Europa, per la Germania e per gli altri paesi dell'Europa "core" non ci sarà più alcun modo di fermare l'"assalto alla diligenza" da parte dei paesi periferici. Il modello europeo rischierebbe dunque di divenire un modello italiano su scala molto più vasta - e se non stupisce il fatto che in Italia autonomismo ed indipendentismo prendano quota nel nord tax-payer e non nel sud tax-consumer, difficilmente ci si può meravigliare che l'euroscetticismo segua le medesime dinamiche.
Obiettivamente non ci sono grandi ragioni per cui la Germania debba accettare di fare la Lombardia di un superstato europeo in cui altri si candidino a fare la Calabria. Di fronte ad un Sud Europa questuante, il progetto politico europeo si arresterà nel momento in cui la Germania deciderà di chiamarsi fuori da un'operazione politica della quale è destinata in breve a perdere il controllo. Da questo punto di vista non serve che Alternative fuer Deutschland arrivi al potere; lo scenario più probabile è che prima o poi le forze più mainstream, ed in particolare CDU e CSU, arrivino alla conclusione che i cittadini tedeschi abbiano più da perdere che da guadagnare da un patto di solidarietà europea.
È molto probabile che alla fine il futuro del progetto di unione politica continentale si giocherà a Berlino; al tempo stesso le dinamiche tedesche potranno essere accelerate dalle scelte che matureranno nel Regno Unito. Con il successo dell'UKIP aumenta significativamente la possibilità di un'uscita di Londra dall'Ue nel giro dei prossimi cinque anni, in quanto a questo punto David Cameron non potrà esimersi dall'includere nel proprio programma elettorale la tenuta di un referendum "in-out".
Nei fatti, la fuoriuscita britannica rappresenterebbe per la Germania la perdita di un fondamentale contrappeso al mood dell'Europa meridionale; lascerebbe i tedeschi culturalmente in minoranza e quindi vulnerabili rispetto a qualsiasi rivendicazione redistributiva proveniente dal Sud ed anche dall'Est Europa. In un simile scenario, è più che realistico che la leadership tedesca a un certo punto dica "basta".
INDICE Giugno 2014
Editoriale
Monografica
- Le nuove strade del consenso politico, in Italia e in Europa
- I voti ottimisti e moderati di mister 40%
- Alla Merkel conviene la Große Koalition anche a Bruxelles
- Che lingua parla la Gran Bretagna che vota per Farage?
- Le Pen vince, ma non trionfa. Il bipolarismo francese scricchiola, ma non crolla
- Da Atene, nessuna sorpresa. La vittoria di Tsipras fa comodo anche a Samaras
- Il voto europeo a est, all'ombra della crisi ucraina
- Il progetto di "Europa politica" è più in crisi al Nord che al Sud
Istituzioni ed economia
- Al centro-destra non serve una Leopolda, ma un bypass
- Il "caso Piketty", reloaded
- È il 2014, ma sembra il 1948
- L'economia illegale entra nel PIL? Tanto rumore per nulla
Innovazione e mercato
- Cosa non funziona (scientificamente) nella "decrescita felice"
- Le 50 sfumature di grigio abbandonate dalle banche
Scienza e razionalità
- Palestinesi ad Auschwitz: il viaggio dell'empatia
- Tempi e luoghi targati "Insettopia": per una corretta cultura sull'autismo
- Verso una diagnosi sempre più precoce dell'autismo
Diritto e libertà
- La libertà religiosa? È una questione politica
- Renzi, le toghe e i parrucconi. Ora tocca cambiar verso anche sulla giustizia