A cosa servono, oggi, le piazze?
Giugno 2014 / Terza pagina
Le piazze italiane da luoghi d’incontro a meri spazi vuoti. Il significato e il ruolo sociale della piazza, dall’età romana al Rinascimento ed oltre, sono ormai obsoleti nelle città moderne. Le funzioni di quei luoghi di aggregazione sono altrove. Forse le città perdono la loro identità anche per questo.
La piazza interna, insieme a quella esterna, coperta da una leggera membrana trasparente, che costituirà tra pochi mesi la cerniera tra la scuola elementare e la scuola media, a Cavezzo, centro agricolo e industriale tra Mirandola e Medolla, andato al tappeto dopo il sisma del maggio 2012.
L’agorà, un’enorme corte di oltre cento metri di lunghezza, perimetrata su due lati da magazzini, che costituiva il fulcro del palazzo miceneo di Pilo, databile ad epoca non anteriore al XIV secolo a. C.
Le piazze metafisiche di De Chirico sulle quali si allungano le ombre di edifici e statue.
L’agorà presso il porto di Scheria, città favolosa nell’isola dei Feaci.
Realtà e fantasia. Realizzazioni in corso d’opera e testimonianza documentate dall’archeologia più antica. Ambiti geografici lontanissimi, ma con un minimo comun denominatore: la centralità funzionale, non sempre connessa a quella topografica. Pezzi di città qualche volta anche prima che i centri urbani trovassero una loro definizione areale.
Quando nel XVI secolo alcune piazze sono perimetrate da porticati il modello è indubitabilmente quello antico. Il riferimento è ai fora romani. Così è per la piazza Ducale di Vigevano, per quella della Santissima Annunziata di Firenze. Così è anche a Loreto, dove Bramante propone di trasformare lo spazio aperto risalente al Medioevo in una “piazza grande”, modellata sul Foro di Giulio Cesare, a Roma. Ancora, così è anche, per certi versi, alla Piazza del Campidoglio, a Roma, rinnovata da Michelangelo con facciate identiche e contrapposte.
Si partiva dalla conoscenza degli impianti antichi nei quali l’area forense, prima che venisse adottato il cosiddetto impianto ippodameo, era dislocata in posizione variabile. In relazione anche dei condizionamenti orografici. Cosi, quasi indifferentemente si passa da casi di aree forensi terrazzate sul lato a valle, in presenza di morfologie impegnative, a quelle poste in terreni pianeggianti.
Dall’agorà greca, luogo di riunione della collettività, al forum romano, luogo di aggregazione, esiste una continuità non interrotta nei secoli successivi. La differenziazione medievale, a seconda delle funzioni, in realtà non è una novità. Roma repubblicana e imperiale in questo rappresentano un riferimento imprescindibile che, con oscillazioni e mutamenti dovuti alle tendenze di ogni epoca, durerà per sempre. La “bucatura” ottocentesca nel tessuto cittadino, che conteneva un elemento “forte”, per segnare il punto di fuga nelle prospettive dei grandi viali, non è altro che la riproposizione, aggiornata e parzialmente riveduta, dei fora delle città regolari romane. Lo slargo rettangolare o comunque regolare diventato il perimetro nel quale inserire una zona a verde, talvolta organizzata intorno ad un monumento, più recentemente ha subito un’involuzione.
Lo svuotamento delle funzioni e la realizzazione di nuove piazze accanto a quelle erediate dal passato, hanno contribuito ad accrescerne la marginalizzazione, a decretarne la “morte”. Sulla piazza, ormai spopolata, si sono scoperte le troppe contraddizioni delle città. Ad essere coinvolte in questo esito sfortunato sia quelle realizzate ex novo che quelle riprogettate. Le politiche urbanistiche hanno prodotto pianificazioni non di rado irragionevoli. Prive di prospettiva e senza legami con la tradizione. Ferme al presente, incapaci di immaginare e quindi indirizzare ogni tipo di sviluppo.
Così l’urbanistica ha guadagnato terreno sull’inedificato, stravolgendo paesaggi storicizzati. Ha aggiunto nuovi quartieri ovunque se ne profilasse l’occasione, disegnando piazze che della piazza avevano la forma, ma ne avevano perduto la funzione. Spazi destinati a rimanere vuoti, nei quali l’aggregazione è rimasta sulle tavole dei progetti. A Roma gli esempi di questo tipo si rincorrono, da Casal Bruciato a Tor de Cenci, dal Laurentino a Dragoncello, dalla Bufalotta all'Axa. Il verde in abbandono è il simbolo del degrado, mentre la solitudine che suscitano quei luoghi rappresenta la cifra di politiche urbanistiche fallimentari: città nelle quali si può solo abitare.
E poi ci sono i problemi connessi agli interventi sulle piazze centrali. Spesso, soprattutto, nelle città più grandi, la necessità iniziale, quella di provvedere alla loro pedonalizzare, è l’unica idea che sovraintende al restyling. Così nel tentativo di liberare le piazze dal passaggio dei mezzi, si commette l’errore di farne dei recinti chiusi sulla città. Impermeabili al resto che è intorno. Così è accaduto, ad esempio, a Piazza San Silvestro dove chiusura al traffico, nuova pavimentazione e panchine in abbondanza non hanno saputo ricreare uno spazio condiviso. Anzi hanno diluito la bellezza emanata dagli edifici che la perimetrano: il nuovo progetto ne ha dissolto l’appeal.
Non è soltanto Roma ad aver sperimentato la dissolvenza della piazza e delle sue funzioni vitali. Dal centro delle città alle periferie, dai piccoli paesi ai borghi nei quali la piazza è essa stessa l’agglomerato di edifici, la piazza ha perso quasi ovunque i suoi elementi distintivi. Diventando, nei luoghi turistici, location per ambulanti e mercati all’aperto, altrove, ancora una volta, spazi vuoti, dai quali sono scomparsi anche il pallone ed i ragazzi che lo rincorrono. Le nuove piazze sono i social network, dove virtualmente ci s’incontra, si parla, si gioca, ma senza incontrarsi, senza parlarsi, senza giocare davvero. I centri commerciali sono diventati i luoghi nei quali restituire fisicità alle relazioni. Ma né gli uni, né gli altri hanno di fatto sostituito le piazze, piuttosto ne hanno surrogato le funzioni.
In questo hanno fallito le politiche degli ultimi decenni. Non soltanto quelle urbanistiche, ma anche quelle culturali e quelle sociali. Beninteso non ovunque si è seguito il cattivo esempio di Roma. Ci sono isole felici, parti d’Italia nelle quali la piazza ha continuato a riempire città e paesi, ad innervarle di funzioni. Ma è innegabile che il trend è negativo. Troppo spesso la piazza è diventata un non luogo. Eppure, a dimostrare ulteriormente la sua essenzialità, si possono richiamare casi nei quali in sua assenza si è cercato di trovare dei surrogati ad essa, come accaduto a Settecamini, periferia romana. Un pezzo del IV municipio, confinante con il comune di Guidonia. Oppure a Passo di Treia, piccolo paese del maceratese.
Intanto, altrove e non solo in Europa, si sperimenta, introducendo il modello coperto, ad esempio. Nella Praça do Patriarca, a San Paolo, un progetto di Paulo Mendes de Rocha del 1992, l’enorme “ala” che la ricopre parzialmente ha determinato un fuori-scala rispetto alle dimensioni dell’area. Ma è assolutamente proporzionata se la lettura comprende anche i grattacieli che incombono sullo spazio urbano. Più di recente nella sistemazione del Porto Vecchio di Marsiglia, Norman Foster ha ripensato l’area intorno al molo. Trasformandola in una enorme piazza con spazi per manifestazioni pubbliche, mercato ed eventi. L’operazione raggiunta eliminando le installazioni portuali, allargando lo spazio pedonale ed aggiungendo una sottilissima pensilina in acciaio inossidabile. Tra le nuove piazze, una delle più significative è probabilmente la Plaza de la Encarnacion, a Siviglia. Con il Metropol Parasol, la sequenza di “ombrelloni ondulati” progettati da Jurgen Mayer, che ne costituisce la caratteristica copertura. Il fatto che la struttura poggi in soli sei punti non è elemento trascurabile, considerando che sulla piazza esiste un complesso museale archeologico, oltre ad altre strutture. Caso significativo di progetto che esalta una scoperta archeologica. Ne prevede l’esposizione piuttosto che decretarne la distruzione.
Nella città ideale rappresentata nella tavola di Urbino, della fine del XV secolo, sulla griglia grigia e bianca del pavimento disegnato in rombi e ottagoni della piazza non ci sono persone, ogni cosa sembra sospesa. Nel palazzo Lombardia, il grattacielo che ospita gli uffici e la presidenza della Regione, progettata da Pei, Cobb, Freed & Partners, c’è la piazza coperta più grande d’Europa. Uno spazio ogivale di circa 4.000 mq. Protetto da una struttura trasparente posta a circa 32 metri d’altezza. Piazze vuote e piazze piene, i due estremi che si fanno sempre più lontani. Che segnano, soprattutto, come sia cambiata la città e come siano mutate le sue parti. La piazza, da "parte" della città, è trasportata all’interno di uno degli edifici della città, indicando come la città abbia ormai scomposto le sue funzioni e rimescolato le sue parti, perdendo forse definitivamente la sua identità.
INDICE Giugno 2014
Editoriale
Monografica
- Le nuove strade del consenso politico, in Italia e in Europa
- I voti ottimisti e moderati di mister 40%
- Alla Merkel conviene la Große Koalition anche a Bruxelles
- Che lingua parla la Gran Bretagna che vota per Farage?
- Le Pen vince, ma non trionfa. Il bipolarismo francese scricchiola, ma non crolla
- Da Atene, nessuna sorpresa. La vittoria di Tsipras fa comodo anche a Samaras
- Il voto europeo a est, all'ombra della crisi ucraina
- Il progetto di "Europa politica" è più in crisi al Nord che al Sud
Istituzioni ed economia
- Al centro-destra non serve una Leopolda, ma un bypass
- Il "caso Piketty", reloaded
- È il 2014, ma sembra il 1948
- L'economia illegale entra nel PIL? Tanto rumore per nulla
Innovazione e mercato
- Cosa non funziona (scientificamente) nella "decrescita felice"
- Le 50 sfumature di grigio abbandonate dalle banche
Scienza e razionalità
- Palestinesi ad Auschwitz: il viaggio dell'empatia
- Tempi e luoghi targati "Insettopia": per una corretta cultura sull'autismo
- Verso una diagnosi sempre più precoce dell'autismo
Diritto e libertà
- La libertà religiosa? È una questione politica
- Renzi, le toghe e i parrucconi. Ora tocca cambiar verso anche sulla giustizia