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Una delle argomentazioni fallaci sulla guerra in Ucraina riguarda la possibilità che si possa concludere con una “pace” frutto di negoziazioni tra le parti. Si tratta appunto di una fallacia logica, perché, per definizione, un tale esito dovrebbe essere il frutto di un compromesso in cui tutti i soggetti coinvolti, ragionando in termini costo/opportunità, scelgono di rinunciare a qualcosa a fronte di un beneficio certo, piuttosto che rischiare tutto per un risultato incerto.

Non è questa la situazione tra Russia, paese aggressore e invasore, e Ucraina, paese aggredito e invaso. Un “compromesso” che riconoscesse alla Russia la sovranità politica sui territori finora occupati, prevederebbe infatti solo costi per l’aggredito e benefici per l’aggressore: sarebbe, in sostanza, una vittoria russa, e una resa ucraina.

Si potrebbe controbattere, con un artificio retorico – del genere di quelli che piacciono all’ex premier, avvocato e professore Giuseppe Conte – che anche per la Russia, in un compromesso del genere, vi sarebbero costi: la Russia otterrebbe “solo” alcune aree dell’Ucraina dell’est, invece che una completa sovranità sul paese aggredito, avendo pur subito pesanti perdite umane e materiali per mano ucraina e grazie agli aiuti militari e economici occidentali.

Ma sarebbe, appunto, una descrizione fuorviante dei fatti, che attribuirebbe all’aggressore una falsa parità morale con l’aggredito, solo per aver ottenuto un “premio” più modesto per la sua iniziativa di aggressione rispetto agli obiettivi iniziali di conquista. In questa concezione capovolta dei rapporti di forza, la difesa delle vittime insomma giustificherebbe l’azione dei carnefici: “sono riuscito a picchiarti e derubarti solo un po’ perché ti sei difeso, e anzi, ho subito anche io dei danni, quindi quel che ti ho sottratto ora mi spetta di diritto”. Le argomentazioni degli autoproclamati pacifisti, relativamente alla guerra in Ucraina, si riducono a proposizioni assurde di questo tipo.

Passando a un livello di analisi più politico, si può facilmente dimostrare come simili argomenti svolgano un ruolo funzionale all’aggressione russa, alimentando divisioni e caos nelle opinioni pubbliche e nelle classi dirigenti dei paesi occidentali che aiutano l’Ucraina a difendersi. Promuovere l’idea, spacciandola per “pace”, di un riconoscimento delle conquiste russe a danno dell’Ucraina, accusando quest’ultima di irragionevolezza perché si rifiuta, altro non è che schierarsi a favore dell’aggressore.

Generalizzando il ragionamento, si dovrebbe infatti concludere che l’unico atteggiamento effettivamente ragionevole e funzionale alla pace da parte ucraina (e occidentale) dovrebbe essere arrendersi e basta, il prima possibile e incondizionatamente. In questa prospettiva, l’attivismo pacifista, nelle sue varie forme è, a tutti gli effetti, un’efficace arma propagandistica a disposizione della Russia nel perseguimento dei suoi obiettivi bellici e politici.

Un riconoscimento anche solo parziale di una annessione russa aumenterebbe poi, verosimilmente – al contrario di quanto sostengono i pacifisti – il rischio di escalation del conflitto e di coinvolgimento diretto dei paesi Nato dell’Europa, confinanti con la Russia, e forse dell’Occidente intero.

Solleverebbe infatti un semplice ma cruciale dilemma strategico: a quali condizioni e in quali circostanze un’ulteriore aggressione andrebbe considerata inaccettabile, per cui diventerebbe legittimo e giusto difendersi? Porre simili condizioni all’aggressore implicherebbe la certezza di un nuovo conflitto qualora provasse a violarle (in tal caso, che direbbero i pacifisti?); non porle significherebbe di fatto legittimare la sua guerra di conquista, e invitarlo a proseguirla segnalandogli una scarsa disponibilità concreta a resistere.

Una volta riconosciuto e affermato un diritto positivo all’aggressione, l’unica “pace”, intesa come cessazione dei combattimenti – non certo delle violenze – è quella in cui l’aggressore soggioga tutte le vittime.

@leopoldopapi