papa francesco putin

«Non vi dimenticate della vostra identità. Voi siete eredi della grande Russia, la grande Russia dei santi, dei re, la grande Russia di Pietro il Grande, di Caterina II, quell’impero russo grande e colto, di tanta cultura, di tanti umanità, non vi liberate mai di questa eredità, siete gli eredi della grande madre Russia, andate avanti e grazie per il vostro modo di essere e per il vostro essere russi».

Ho letto, come molti, le parole pronunciate da Francesco e rivolte ai cattolici russi (lo 0,1% della popolazione - niente) con particolare dispetto, ma non perché pensi che in questo modo il Papa abbia voluto riservare un generoso tributo all'ideologia putinista e spostare il peso e la benedizione della Chiesa dal lato dell'aggressore contro l'aggredito.

Mi ha invece indispettito la gratuità di un gesto inutilmente ruffiano, che, anche in ottica pacifista, non crea nessun dissidio, né apre alcuno spiraglio di contraddizione o di dissenso tra i russi fedeli al regime, ma al contrario fa guardare la mediazione della Chiesa nella carneficina in corso con massimo sospetto proprio da parte delle vittime ucraine.

Non so quanto questa scelta dipenda dalla maldestra "furbizia", di cui Francesco ha spesso dato prova in frangenti delicati (ricordiamo la disastrosa uscita dopo il massacro di Charlie Hebdo: "Se qualcuno offende mia madre, io gli do un pugno!") o da un tragico errore di lettura della diplomazia vaticana, che è riuscita pure a censurare questo passaggio nelle note ufficiali, rendendo lo scandalo ancora più eclatante.

Tutto ciò detto, accumunare il pacifismo della Chiesa a quello della vasta retroguardia rossobruna italiana e europea non è esagerato: è letteralmente senza senso e senza misura. Il pacifismo della Chiesa, che non inizia con Francesco e non finirà con lui, ha una ragione, una sostanza e se vogliamo anche una pericolosità geopolitica del tutto diversa da quella dei manutengoli della criminalità mafiosa russa e dai putinisti per denaro o per amore o per disamore del nemico yankee, del relativismo o del politicamente corretto.

Dopo la stagione conciliare, pur con un Papa tutt’altro che “peronista” o “comunista” come Montini, l’ostpolitik vaticana era significativamente disallineata dalla strategia atlantista verso l’impero sovietico, che la Chiesa aveva finito per interpretare come uno dei tanti rovesci della storia e non come una sfida politico-religiosa esistenziale, che venne intesa come tale solo sotto il pontificato di Woytila, di un Papa, cioè, cresciuto dietro la Cortina di Ferro.

C’è poi una ragione preminentemente politica e non dottrinaria per il pacifismo della Chiesa – si tende a dimenticarlo, ma è una ferita rimasta aperta nella carne della cattolicità universale – ed è quella di lasciarsi definitivamente alle spalle il legame tra la croce e la spada, nella consapevolezza che il patrocinio “religioso” di qualunque guerra, fosse pure di resistenza, se investe la Chiesa e il suo Pontefice, rischia di trasformarla ipso facto in una guerra di religione. Cautela più giustificata, anche se malissimo praticata, rispetto alla Russia: Francesco, che in una delle sue uscite spericolate e sconclusionate, aveva (giustamente) accusato il Patriarca Cirillo di essere un chierichetto di Putin, non vuole apparire il chierichetto di nessuno.

Non ci si deve stupire, né scandalizzare dunque se il Papa non vuole benedire le armi (benedettissime) che consentono la resistenza dell’Ucraina e dell’Europa e non ha nessun senso chiederglielo. Ha invece senso chiedergli di evitare che il suo volere andare come “agnello in mezzo ai lupi” appaia tra parole sbagliate, gesti sconsiderati e paraculismi gesuitici una servile inchinata al lupo superior del Cremlino.

In ogni caso, Francesco non è Pagliarulo e la sua Chiesa non è l'Anpi, come Ratzinger non era Quagliariello e la sua Chiesa ossessivamente bioeticistica non era il circo di nani e ballerine cristiani rinati della corte berlusconiana, attorno al lettone – per l’appunto – di Putin.

Peraltro, proprio in prospettiva antinazionalista, nella stagione trumpiana (e quindi nel massimo fulgore del putinismo globale, di cui la Presidenza Trump è stato l’effetto politicamente più mostruoso e sinistro), fu laicamente provvidenziale il rifiuto di Francesco di farsi cappellano del tradizionalismo cristiano etno-sovranista: rifiuto a dire il vero necessitato dalle trasformazioni demografiche della Chiesa universale e dall'essere il popolo della Chiesa sempre più al di là e non al di qua del muro anti-migratorio che l'Occidente bianco e il Potus dai capelli arancioni voleva innalzare; ma rifiuto comunque propizio e, col senno di poi, profetico.

Insomma, tra i tanti difetti di Francesco, che a occhi laico-occidentali sono molteplici e pure gravi, sarebbe bene non vedere pure quelli che non ci sono.