bandiera Ucraina grande

È pacifismo chiedere la “resa” dell’Ucraina? Un buon strumento concettuale per rispondere in modo efficace a questo interrogativo può essere tratto dall’insegnamento di Frédéric Bastiat in economia: è facile trarre conclusioni apparentemente confortate da riscontri fattuali prendendo in considerazione solo “ciò che si vede”, ma se si vuole correttamente spiegare i fenomeni economici bisogna segnalare e comprendere “ciò che non si vede”.

Bastiat faceva l’esempio della “finestra rotta”: se un teppista rompe la vetrina del panettiere, il negoziante dovrà sostituirla, e farà quindi arricchire il vetraio, che a sua volta spenderà gli importi ricevuti nel sistema economico generando una apparente crescita dell’economia, che è appunto “ciò che si vede”. Tuttavia, nota Bastiat, tale crescita è appunto solo apparente: “ciò che non si vede” è che la spesa per far fronte alla distruzione di un bene capitale (la vetrina) rappresenta uno spreco di risorse e risparmio che il panettiere avrebbe potuto impiegare, ad esempio, per comprare un nuovo macchinario e diventare più efficiente, rendendo disponibile più pane allo stesso prezzo per i propri clienti, quindi apportando un reale beneficio all’intera comunità. Il danno del teppista e lo spreco del risparmio del panettiere è una perdita per tutta la collettività.

Si può trasferire il ragionamento alla geopolitica e all’analisi di un conflitto. A fronte di una aggressione militare - come è senz’altro, indiscutibilmente qualificabile l’invasione russa dell’Ucraina - cosa significa “la resa” dell’’aggredito, che richiedono e auspicano vari personaggi pubblici, politici e accademici di sinistra, e esponenti di una certa destra nazionalista? “Ciò che si vede”, o si vedrebbe, sarebbe forse “la pace”, nel senso di cessazione dei combattimenti sul territorio ucraino, e delle devastazioni indiscriminate di città ucraine e omicidi di massa della popolazione civile, compresi bambini, per mano dell’esercito russo.

Ma il “ciò che non si vede” di tale pacifico esito sarebbe qualcosa di assai diverso, anzi l’esatto contrario della “pace”: l’instaurazione, in Ucraina, di un regime filoputiniano e filofascista russo - con tanto di bandiere con la Z, la nuova odiosa e minacciosa svastica europea del 21 secolo - che verosimilmente ridurrebbe in uno stato di schiavitù la popolazione di quel paese, assoggettandola a una sanguinaria e sadica repressione sistematica.

È chiaro tuttavia che l’argomento di Bastiat qui utilizzato non è del tutto appropriato: un regime repressivo di occupazione dell’Ucraina instaurato dalla Russia sarebbe qualcosa sotto gli occhi del mondo intero, salvo appunto di certa sinistra che odia la società aperta, la libertà individuale e lo stile di vita del mondo occidentale, e di certa destra nazionalista per cui la gestione violenta del potere è un valore e un obiettivo culturale pressappoco dichiarato. È dunque evidente che il “ciò che non si vede” di Bastiat, nel caso dell’Ucraina è solo un “ciò che non vogliono vedere” i fautori della sua resa di sinistra e di destra, ben trincerati dentro la disonestà intellettuale del loro "pacifismo".

La resa dell’Ucraina non sarebbe affatto un conseguimento della pace, ma la vittoria sulla scena internazionale del nuovo fascismo di Putin e del suo espansionismo. Sul piano formale (nelle relazioni internazionali le forme sono spesso sostanza, in termini di costi e benefici) auspicare questo esito significa riconoscere e legittimare (di necessità anche sul piano giuridico) il regime dittatoriale russo, e la sua aggressività nei confronti dell’intero sistema politico internazionale.

Ottant’anni fa un altro tiranno ha occupato l’intera Europa, ne ha ridotto in condizione di schiavitù e terrore la popolazione e ne ha sterminato con scientifica e industriale determinazione una parte significativa, quella di religione ebraica. Auspicare la resa dell’Ucraina per far cessare i combattimenti equivale a sostenere che, tutto sommato - e non è un giudizio di valore, ma una constatazione logica - sarebbe stato meglio lasciarlo fare senza opporsi combattendo. In nome della pace.