putin grande

Aldo Capitini distingueva bene tra il Potere, necessario e declinabile al meglio come "Omnicrazia", Potere di Tutti e la Potenza: esercizio di violenza e arbitrio, nemico della libertà di coscienza e dell'apertura propria di un "Tu" detto a "Tutti".

Ciò che accade oggi in Russia è l'espressione finale di una Potenza che già conosce la propria fine: l'estremizzazione personalistica della forza bruta contro gli oppositori svela tale situazione. È necessario colpire i simboli, le coscienze, appunto, per tentare una proiezione impossibile dell'Autorità.

La stessa guerra in Ucraina - l'aggressione - è tutta un movimento "difensivo", la reazione contro l'incubo del superamento, contro l'avvento di ciò che non è più rinviabile. È la "morte della Potenza", quindi, a legittimare l'esagerazione della violenza, a motivare l'arroganza paranoica del Capo: l'Unico tiene lontano dal trono non solo i sudditi ma, soprattutto, tiene lontano il futuro, lo esorcizza con la cristallizzazione di una forza terminale, pericolosissima.

Che l'avversario - in Russia - sia il futuro lo si comprende bene dalle stesse motivazioni offerte, più volte, per giustificare l'invasione in Ucraina: il "nuovo" non può trovare spazio in un contesto storicistico, fossilizzato sugli eventi sacralizzati. Gli ucraini, i singoli ucraini, non possono decidere del proprio destino, non possono sperare e agire per un futuro europeo, per l'affermazione di uno stato di diritto fondato su valori universali.

Ciò cozza con la Storia, rompe un'Unità costruita sul modello (im)Potente di una Patria spirituale superiore, legittimata dall'alto, imperiale nel senso russo del termine; ossia un senso teologico-politico di derivazione sacrale.

E il sacro non è semplicemente la benedizione cesaropapistica della Chiesa Ortodossa succube della Potenza; il sacro, appunto, è la Storia inviolabile di una derivazione ereditaria: è la "Terza Roma" che conta, un percorso tra i secoli che è destino.

Il compito, lo scopo, l'origine, la causa, la forma, la necessità, la missione russa è una sola: improntare di sé il Mondo, universalizzare uno scudo difensivo contro la degenerazione di un futuro possibile (quello della libertà non protetta, propria della contingenza moderna aperta al contributo di tutti) ma non "giusto", incontrollabile dalla Potenza, che, in quanto tale, va annientato ... nonostante abbia già vinto nei cuori di tutti.

Navalny, Politkovskaja, Zelensky, infatti, hanno già ottenuto il risultato più grande: il futuro è già in Russia e minaccia l'ordine sclerotizzato di una steppa bloccata nel tempo, di una popolazione rurale - la grande maggioranza - resa estranea allo scorrere del tempo, anestetizzata dalla Potenza in un fermo immagine ormai pieno di crepe, di rovine: più che immobile, vetusto, passato appunto.

Non c'entra nulla la pressione europea ai confini, non conta nulla l'arroganza americana, non ha più valore la narrazione di una Superpotenza aggredita dai fautori del pensiero unico; non interessano al Capo le difficoltà economiche di un Paese arretrato che potrebbe solo crescere "aprendosi".

Ciò che è in campo, ed è sempre più evidente, è la chiusura di un paradosso temporale: il "niet" che svela l'angoscia del passaggio di testimone, della svolta critica che depone una "Sovranità" consunta. E se il sacro è la Storia di una "Gloria" eterna, e se la sconfitta del "futuro" va allontanata come il regno dell'anomia annunciata, l'invasione e la fine dell'Ucraina non è un accidente, non sarà un episodio.

Il ritorno all'autentico, all'originario, non può fermarsi ad un semplice ritocco della cartina geografica. Il quadro va restaurato compiutamente; le linee temporali del futuro vanno annichilite. La Polonia, i Paesi Baltici e Scandinavi lo hanno compreso bene; sanno cosa c'è in gioco: la Russia, oggi, è come un enorme buco nero ... la potente macchinazione di un salto nel passato che si compie con la forza delle armi, con il sopruso dell'annientatore.

Se si comprende questo si può davvero capire l'atteggiamento politico degli amici italiani di Putin, la degenerazione della narrazione pacifista e, di contro, il ruolo imprescindibile e davvero "futuro" di una Nonviolenza attiva pannelliana, non arrendevole, coraggiosa, conscia delle distinzioni e della dialettica in atto.