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In cosa dovrebbe consistere una soluzione diplomatica tra Russia e Ucraina? Se non corredata da questa domanda, la mera invocazione di un compromesso tra le parti in guerra può apparire insincera, o comunque sterile. Vi sono infatti tre possibili esiti dell’invasione russa. Il primo è che la Russia rinunci ai suoi obiettivi di conquista, e si ritiri spontaneamente dal territorio ucraino. Il secondo è che le forze ucraine ricaccino quelle russe oltre il confine. Il terzo che la Russia si annetta tutto o in parte il paese, e l’Ucraina cessi quindi di esistere parzialmente o completamente. Poiché la prima possibilità è irrealistica, e la seconda è un risultato puramente militare, chi parla di soluzione diplomatica deve necessariamente riferirsi alla terza, immaginando una cessione volontaria di territorio da parte ucraina, a fronte della fine dell’aggressione. La quale tuttavia non rappresenterebbe una “soluzione diplomatica”, ma una vittoria parziale o totale della Russia, militare e politica.

In un compromesso infatti, per definizione, le parti sacrificano qualcosa per ottenere qualcos’altro funzionale al reciproco interesse, con un bilanciamento equamente ripartito di costi e benefici. Ma in questo caso la Russia otterrebbe solo benefici: l’annessione di territorio strappato ad un altro stato con la violenza, e il suo riconoscimento politico. L’Ucraina solo costi: la cessione del proprio territorio al paese aggressore, dopo aver subito lo sterminio, lo sfollamento e la deportazione di parte della propria popolazione, la distruzione delle sue città e infrastrutture, e un vasto repertorio di altre efferatezze e crimini perpetrate dalle forze russe. Ne conseguirebbe poi un’implicazione più generale, tutta a beneficio della Russia e di paesi autoritari e bellicosi, come la Cina, e tutta a danno dell’ordine internazionale multilaterale, faticosamente costruito e condiviso dopo le due guerre mondiali: la reintroduzione della conquista e annessione di altri paesi manu militari come principio di regolazione delle questioni internazionali.

Auspicare una soluzione per forza di cose solo a beneficio della Russia e solo a danno dell’Ucraina e dell’intero ordine internazionale ha dunque ben poco di “diplomatico”: significa apertamente o inconsapevolmente appoggiare l’aggressione russa. Ciò nonostante, viene talvolta addotta una ragione “pragmatica” a favore di questa ipotesi: la necessità di evitare l’escalation del conflitto militare da regionale a globale, con il coinvolgimento diretto della Nato, e forse della Cina e degli altri alleati autoritari della Russia, con il conseguente rischio di escalation nucleare. Anche in questo caso, l’appello al pragmatismo appare poco convincente e poco credibile se non accompagnato da considerazioni sul “come” affrontare la questione. Se la si esamina un po’ più da vicino, si può facilmente notare come nelle circostanze attuali, un eventuale accordo potrebbe aumentare il rischio di un’escalation, invece di ridurlo, per il semplice fatto di essere esso stesso il risultato della paura di un’escalation.

Poniamo che si addivenga ad un accordo per cui si riconosce alla Russia l’annessione delle ormai tristemente celebri “regioni russofone” del Donbass. Per essere credibile, e dunque efficace, dovrebbe prevedere, in caso di trasgressione da parte russa, qualcosa di simile a un automatico intervento dei paesi Nato a difesa dell’Ucraina. Di fatto, dovrebbe quindi implicare l’ingresso immediato dell’Ucraina nella Nato. Per scongiurare l’escalation, si formalizzerebbe quindi una esplicita “linea rossa”, collocata sui confini del Donbass, oltre la quale l’escalation sarebbe assicurata. Una situazione ad oggi indeterminata verrebbe cristallizzata entro termini rigidi e privi di margini di errore, che la renderebbero molto più pericolosa, mentre fino ad oggi proprio questa indeterminatezza ha consentito alle parti una certa flessibilità di azione e propaganda, senza incorrere nell’allargamento del conflitto. La rinuncia occidentale e ucraina a imporre una tale “linea rossa” sarebbe d’altronde per la Russia una prova inequivocabile della bontà della sua strategia: aggredire facendo leva sulla paura occidentale dell’escalation. Avrebbe quindi, verosimilmente, l’effetto di un semaforo verde a proseguire l’offensiva, fino alla conquista completa del Paese, e perché no, anche oltre fin dove si riesce, guardando alla Moldavia, alle repubbliche baltiche, alla Polonia.

Chi inverte “l’onere della pace” sugli aggrediti, attribuendo alla loro volontà di resistere e liberarsi dall’aggressore la difficoltà a raggiungere una soluzione diplomatica – come gli autoproclamati pacifisti o esperti del pragmatismo geopolitico – dovrebbe forse essere consapevole di queste fastidiose implicazioni, salvo dover riconoscere le fallacie delle proprie granitiche convinzioni. Tirando le somme: la sfida esistenziale posta dal regime russo all’Ucraina e all’ordine internazionale, rimane legata alle sue mire medievali di conquista, da perseguire ricorrendo a violenze senza limiti e minacciando l’Armageddon nucleare. Il che induce a ribadire l’ovvio: nessuna pace sarà possibile, né sarà possibile escludere una drammatica escalation, finché Putin non deciderà, o sarà costretto con la forza a tornare a più miti consigli. Ad ascoltare un qualsiasi delirante discorso recente nel dittatore russo, è una possibilità su cui c’è da avere poche o punte speranze.