Green pass grande

Premessa – Sono vaccinato, politicamente molto pro-vax e molto anti-no-vax e consapevole che una pandemia può esigere misure anche pesantemente limitative della libertà personale (a partire dall’isolamento e dalla quarantena). Non credo alla teoria del Grande Reset, né a un complotto giudo-pluto-masso-farmaceutico a sostegno della strategia vaccinale. Credo, al contrario, che proprio il capitalismo e gli interessi di Big Pharma abbiano consentito di avere vaccini efficienti in poco più di un anno dall’irrompere di quello che il Presidente anti-americano dell’America definiva “virus cinese”. Sono altresì persuaso che ogni limitazione della libertà, cioè ogni obbligo e ogni divieto, anche in contesti di emergenza sanitaria, debba trovare giustificazione all’interno delle regole dello stato di diritto e non possa essere immotivata e arbitraria o sproporzionata e incoerente rispetto a un obiettivo legittimo. Soprattutto credo che il merito di ogni provvedimento (intendendo sia il contenuto, sia la virtù) vada misurato dai risultati, non dalle intenzioni. Ah, credo anche che il Governo Draghi sia una fortuna sfacciata che l’Italia non si è meritata, ma ha avuto in dote dalle carambole di una storia politica disgraziata e spero anche che, per coincidenze altrettanto propizie, possa proseguire pure nella prossima legislatura (magari con una compagine ministeriale più “draghiana”) – Fine della premessa

Tra pochi giorni sapremo se la strategia del green pass obbligatorio sui luoghi di lavoro reggerà alla prova dei fatti. A essere oggi chiaro è che potrà reggere – cioè non provocare la paralisi della gran parte dei settori produttivi e del sistema dei servizi – solo consentendo, esplicitamente o implicitamente, che le prescrizioni dettate dalle norme e dai Dpcm collegati siano di fatto disattese.

È difficile circoscrivere la platea dei lavoratori non vaccinati, ma, incrociando la percentuale di vaccinati nelle fasce di età attive e il relativo tasso di occupazione e anche scontando una minore disponibilità alla vaccinazione della popolazione inattiva, si giunge a ipotizzare che vi siano almeno 3-3,5 milioni di occupati (dipendenti o autonomi) non vaccinati, che domani dovrebbero presentarsi al lavoro (anche se in smart working) con un tampone negativo.

I lavoratori che avrebbero bisogno di un tampone molecolare ogni 72 ore o rapido ogni 48 sono circa uno su sette rispetto al totale degli occupati italiani, in un sistema di laboratori e farmacie accreditate che fino ad oggi ne ha fatti, giornalmente, dieci volte di meno: per dare un ordine di riferimento, ieri, 13 ottobre, i tamponi sono stati in tutto 278.945.

Si può astrattamente sperare che i lavoratori non vaccinati, messi con le spalle al muro, da venerdì corrano in massa a vaccinarsi, ma fino a questo momento “l’incentivo costrittivo” del green pass non ha funzionato. Il tasso giornaliero di vaccinazione (dosi somministrate per 100 abitanti) in Italia ha continuato a scendere anche dopo il 15 settembre, quando fu decisa la linea dura del green pass obbligatorio per lavorare, e non è significativamente superiore a quello di altri paesi europei che hanno livelli di immunizzazione analoghi ai nostri.

È certo vero che la “linea dura”, dovendo affrontare una platea di destinatari recalcitrante, non poteva sortire come risultato una impennata della curva dei vaccinati. Ma la cosa più rilevante (e più negativa) è che le somministrazioni giornaliere (dosi per 100 abitanti) dei paesi senza alcun tipo di obbligo sono sostanzialmente analoghe a quelle italiane; peròl’Italia deve oggi affrontare, senza sapere come gestirli, gli effetti collaterali (economici, sociali e anche criminali) del green pass “lavorativo”.

vaccini per giorno1

Quanti sostenevano che, scelta la linea dura, la strategia dell’obbligo vaccinale sarebbe stata più efficiente di quella del green pass obbligatorio oggi vedono riconosciute dai fatti le ragioni della propria perplessità. Visto che la giustificazione ufficiale del green pass – la sicurezza dei luoghi di lavoro – è molto relativa (come hanno fatto notare anche alcuni esperti, tutt’altro che sospettabili di simpatie no-vax, tra cui Andrea Crisanti), l’utilità della misura avrebbe dovuto essere quella di costringere al vaccino un ampio numero di recalcitranti, cosa che non è avvenuta.

L’obbligo vaccinale, posto che passasse indenne al giudizio della Consulta, cui presto o tardi sarebbe arrivato, avrebbe avuto comunque il vantaggio di non trasformare i luoghi di lavoro in una trincea della resistenza no-vax. A chi non si fosse vaccinato, sarebbero toccate multe salate o altri tipi di sanzione, non l’impossibilità di lavorare o, paradossalmente, l’agio di ricattare un intero paese, come minacciato ad esempio dai portuali, che hanno sdegnosamente rifiutato i tamponi gratuiti loro offerti dal Viminale (che peraltro così ha contraddetto la scelta dello stesso esecutivo).

Peraltro, considerando che da settimane la situazione dei contagi è abbastanza sotto controllo, proprio per l’alto livello di vaccinazione spontanea degli italiani, e i luoghi di lavoro non sono in ogni caso il canale principale di trasmissione, anche il tema della sicurezza sul lavoro (giustificazione giuridica dichiarata per il green pass) acquisisce un profilo sempre più relativo e lo stesso fondamento dell’obbligo vaccinale tout court mostra giuridicamente basi assai meno solide.

Insomma, se i vaccini hanno una utilità indiscutibile (che solo gli accecati dal fanatismo non vogliono vedere), tutto l’apparato ideologico costruito intorno a essi rischia di servire a poco e a fare non pochi danni (che solo gli accecati dall’ideologia possono sottovalutare). L’impressione peraltro è che anche il green pass, come molte altre “leggi manifesto” in Italia, sia stato soprattutto un provvedimento esemplare, finalizzato a consolidare il consenso sulla strategia vaccinale – in Italia già altissimo prima del green pass – e a garantire dividendi politici ai suoi sostenitori.

Anche le critiche e le richieste di modifica dal fronte più contiguo alle minoranze no-vax mostrano peraltro la stessa caratteristica ideologica. La richiesta di gratuità dei tamponi di Lega, FDI e M5S, è infatti del tutto incoerente con la logica e la finalità del green pass, che è di aumentare i vaccinati tra i lavoratori, ma serve unicamente a fiancheggiare la posizione dei contrari al vaccino, per incassarne i favori elettorali.

L’inclinazione italiana a usare una “segnaletica” politica di obblighi e divieti, in luogo di strategie più complesse fondate sulla cooperazione e sull’adesione spontanea dei cittadini a pratiche utili e convenienti, ha trasformato quella sul vaccino in una guerra di religione, che, come tutte le guerre ideologiche, è destinata a sfociare nel ricorso alla violenza, in scontri di piazza e soprattutto a polarizzare in modo radicale lo scontro, neutralizzando ogni tentativo di persuasione dei dubbiosi e riluttanti. Questa preoccupazione, oltre al timore per i cortocircuiti giuridici di un obbligo vaccinale generalizzato, è quella per cui tutti i paesi dell’occidente democratico (nessuno escluso, tranne l’Italia, neppure quelli dove i contagi sono di più e i vaccinati di meno) continuano a escludere il ricorso a un green pass all’italiana. L'Italia ha invece scelto questa strada, non so con quanta consapevolezza di dove l'avrebbe portata.

In ogni caso, a un giorno dall’entrata il vigore nelle norme sul green pass, di una cosa possiamo essere ragionevolmente sicuri, cioè che milioni di lavoratori non vaccinati non potranno materialmente presentarsi, neppure se volessero, con un tampone negativo al lavoro venerdì prossimo. Quindi, o si fermerà di fatto il Paese, oppure si fermerà in qualche modo la macchina dei controlli e delle sanzioni legate al green pass. Entrambe le alternative confermerebbero in ogni caso il fallimento dell’operazione green pass.