vaccino

Provo a indossare i panni assai poco immaginari e abbastanza di moda di uno convinto che per contrastare l’epidemia occorra sviluppare l’azione pubblica lungo una linea di fermezza (si perdonerà se la dicitura rimanda molto volontariamente a esperienze conosciute).

Quella scelta, mi dice il mio abito, si rende necessaria sulla constatazione che a rischio sono beni sovraordinati, a petto dei quali è più che giusto, è doveroso, che una certa quota di ordinarie libertà individuali sia posta in posizione recessiva: discutiamo infatti di salute pubblica, una cosa che se non c’è salta tutto il resto; e discutiamo della stessa tenuta democratica del Paese (vabbè, è la stessa tenuta democratica che un ministro progressista riteneva di difendere dall’assalto migratorio, con i lager libici elevati a punti di riferimento fortissimo delle politiche sicuritarie nazionali: ma sorvoliamo).

Ora, si capirà che, in questo quadro di indiscutibile emergenza, l’ordinamento democratico deve con rigorosa inflessibilità impedire l’insorgere e l’accreditarsi di qualsiasi istanza capace anche solo indirettamente, anche solo inconsapevolmente, di indebolire l’azione pubblica rivolta a quei fini supremi di tutela generale. Altrimenti, e cioè se lo Stato mostrasse cedimenti, si assisterebbe alla colpevole abdicazione a un preciso dovere di salvaguardia delle stesse ragioni per cui esso si giustifica: la manutenzione di quel bene comune, la protezione di interessi collettivi che non ammettono egoistiche contrapposizioni anti-sociali. E questa inibitoria deve essere tanto più radicale quanto più, come purtroppo liberamente accade, certe inammissibili divagazioni libertarie e, sotto sotto, social-fasciste, assumano toni contro-rivoluzionari (ops, pardon: anti-scientifici) e oggettivamente fiancheggino l’ormai dilagante fenomeno sedizioso.

Non dobbiamo avere paura delle parole, se sono espressione di esigenze effettive e descrivono rimedi irrinunciabili: un giro di vite è il meno che ci vuole, se davvero abbiamo a cuore la libertà di tutti, che è l’unica vera e deve trionfare su quella illusoria e dopotutto immorale agitata da certi presunti pensatori, parassiti sul manto splendente ma troppo tollerante del modello italiano.

Occorre, inutile precisarlo, che la magistratura democratica faccia la sua parte, se non vuole pavidamente sottrarsi a questo cimento che deve coinvolgere l’impegno di tutti. Se pure non fosse vero, infatti, che certe propalazioni giustificano apertamente le trame contro-rivoluzionarie (e ridaje, mi è scappato ancora, chiedo scusa: i disegni eversivi, intendevo dire), resterebbe tuttavia innegabile che esse alimentano iniziative di destabilizzazione che è impossibile mancare di reprimere senza arrecare un danno irrimediabile alla verità rivoluzionaria (uffa, sorry: alla tenuta democratica, anzi no, quella è già spesa; diciamo ai valori della Repubblica antifascista, che sono una cosa sola con quelli della Resistenza al virus).

Salvo credere che si possa mettere in pericolo la vita del consorzio civile in nome di qualche improbabile personalismo spacciato per diritto, è insomma giunta l’ora di qualche saggia decisione impassibile di revoca: e c’è da essere certi che le masse popolari staranno dalla parte dello Stato che finalmente si prende cura di loro, e non sentiranno amarezza se qualche irresponsabile sarà finalmente messo in condizione di non nuocere. Naturalmente lo Stato democratico, nell’adempimento del suo compito, non si affiderà soltanto ai pur necessari strumenti sanzionatori e profilattici e, piuttosto, all’opportuno apparato di divieti procurerà di associare idonee politiche di rieducazione rivolte al recupero di chi faccia un uso tanto sconsiderato delle libertà concesse dalla carta costituzionale più bella del mondo. Perché anche a loro, come a tutti noi, deve essere assicurato di uscire migliori da questa prova.

Domandina: non è che per caso alcuni, forse tanti, sarebbero disposti a sottoscrivere queste pericolose fesserie? A me pare di sì, ma mi pare che non se ne avverta il pericolo.