taglio poltrone grande

Se vince il sì, basteranno 267 Deputati e 134 Senatori (che sarebbe una maggioranza qualificata di due terzi di ciascuna camera) per:

- eleggere il Presidente della Repubblica; però, dopo il terzo scrutinio, basta la maggioranza assoluta dei componenti delle camere, quindi non più che 201 Deputati e 101 Senatori; cui vanno sommati, complessivamente, 58 delegati regionali, che, fra le pieghe del “taglio”, vedrebbero accresciuta la loro originaria incidenza percentuale;

- abrogare o modificare qualsiasi norma costituzionale, senza passare da un referendum popolare “confermativo”;

- eleggere un terzo dei componenti la Corte Costituzionale: quota decisiva ai fini della formazione di qualsiasi decisione della Corte stessa (ma, dopo il terzo scrutinio, quando è richiesta la sola maggioranza dei tre quinti degli aventi diritto al voto, bastano 240 Deputati e 120 Senatori);

- eleggere gli 8 componenti cd laici (cioè, non magistrati) del CSM: quota decisiva ai fini della formazione di qualsiasi decisione del Consiglio stesso; però, dopo il terzo scrutinio, potrebbero bastare 121 Deputati e 61 Senatori: quest’ultima particolare maggioranza dipende dal fatto che, in questo caso, sono richiesti non i voti di tre quinti del Parlamento in seduta comune, ma solo i tre quinti dei votanti presenti; essendo i votanti minimi, per un voto valido - cosiddetto quorum strutturale - i ridetti 201 Deputati e 101 Senatori, due terzi di questi danno quella cifra esangue.

Ovviamente si assume – in linea teorica – che il quorum richiesto per la validità di queste votazioni sia in tutti i casi assicurato in proporzione identica dai deputati e dai senatori. Potrebbero esserci anche un po’ più di deputati e meno di senatori, o viceversa, ma il numero dei voti complessivo necessario sarebbe comunque quello indicato.

Il “taglio”, è risaputo, consentirebbe un “risparmio” dello zero virgola: con cui – se anche fossero vere le stime di 100 milioni di risparmi all’anno propagandate dai favorevoli (e non lo sono) – si potrebbe finanziare non più di quattro giorni del reddito di cittadinanza (che sul bilancio dello Stato incide per circa 25 milioni di euro al giorno).

Ma non sarà, per questo, solo un “simbolo”. Tutt’altro. Sarà un “colpo di mano” contro la Democrazia e la Libertà; formalmente legittimo, col suo bravo foglio sulla Gazzetta Ufficiale; e col suo corteggio di chierici scodinzolanti. Come tutti i “colpi di mano” realmente determinanti, e “pietre miliari”.

Avrebbe la sua cornice di gagliardetti, di pugnali (o di forbici, in nome della “continuità della lama”) e di lugubre gioia.

Con il “taglio”, combinato alla “designazione” digitale dei candidati del M5S o, in alternativa, con quella per “casting segretariale” degli altri partiti, si costituirà una formale oligarchia.

Senza nemmeno il parziale temperamento del voto di preferenza. Riavremo agli onori del mondo il vecchio (?) “Listone”.

Ecco il “nuovo edificio” politico. Alla sua “base”, i nuovi sudditi. Noi. A metà, staranno pochi e sicuri “caporali”, che tutto devono al loro padrone: e che ogni “decisione” faranno osservare col dovuto nerbo. E potranno farlo.

Infatti, un numero così ampio di poteri sull’intera struttura dello stato, si fonderebbe, e così costituirebbe, un Superpotere: di ricatto permanente e indominabile.

Nessun “simbolo”, dunque. Sarebbe una reale mutilazione, capace di consegnare la vita di ciascuno, e in ciascuno dei suoi più personali aspetti, all’arbitraria disponibilità di pochi “SuperEsecutori”.

Norme da dichiarare “amiche” o “nemiche”; uffici direttivi giudiziari (e composizione, fra le altre, della Commissione Disciplinare per gli “infedeli”), che direttamente incidono sul “chi” e sul “come” le norme assumono concreta vita e fisionomia.

E, coronamento dell’impostura, la Prima Carica della Repubblica.

Tutto questo, tutto quanto, sarà materia di potere continuo e diretto dei “caporali”. Chi potrà resistervi? Pochissimi. Il risultato sarà un allineamento di ogni ufficio pubblico, dal minore al maggiore, agli ordini di chi, all’apice della piramide, dà ordini ai “caporali”.

Non si tratta di un generico “stare con chi comanda”. Si tratta di una capillare capacità di intervenire, attraverso una catena di comando agile e cortissima, su tutti i presupposti normativi di qualsiasi potere dello stato; soprattutto, sulle suprema “Istituzioni di chiusura” del sistema repubblicano: Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale. Che da “valvole di sicurezza” per tutti, si trasformerebbero in “cassette di sicurezza” per pochi.

Chi darebbe ordini ai “caporali”? Ovviamente, non c’è bisogno di pensare al Bildeberg e similari amenità, o alla dannunziana “Alta Banca”, precorritrice di ogni studiata paranoia militante. Sono mestatori sotto gli occhi di tutti. Ne conosciamo nome, cognome e soprannome.

Per offrire una sintesi, diremo allora che sono i “Quadrumviri del Referendum”: Di Maio, Meloni, Salvini e Piddini. Perché, ciò che si vorrebbe imporre sarebbe, esattamente, “Un Referendum su Roma”. Non “intorno a”: ma proprio “sopra”. Per calpestare. Per umiliare. Per dominare.

“Cultura fascista” non è solo la mimesi squadristica che si vede scagliata sul povero Willy. È, più deliberatamente, più durevolmente, la violenza politica, giuridica, istituzionale, che sembra “in parata” e invece è “in azione”. È il pestaggio del Parlamento. È il presupporlo indegno come “un bivacco di manipoli”, da destinare più convenientemente a ristretta caserma obbediente.

Violenza politica, dunque, senza denunciare la quale, ogni violenza fisica rimane protetta: o risolta in infame geremiade.

Si voti NO a questo scempio annunciato.