elezioniucraina

L’estrema incertezza che regna sull’esito finale del voto presidenziale ucraino del 31 marzo, cui abbiamo già accennato nella prima parte di questo articolo, non deve fare passare in secondo piano alcuni punti fermi della competizione elettorale.

 

Filorussi

Il dato più evidente è che nessun candidato dichiaratamente filorusso ha la possibilità di vincere le elezioni. Non si ripeterà dunque quanto avvenuto nel 1994 con l’elezione di Kuchma e nel 2010 con quella di Yanukovych. L’annessione della Crimea e l’occupazione del Donbas hanno infatti eliminato una considerevole fetta di elettorato storicamente legato alla Russia. Alle presidenziali del 2010 e alle politiche del 2012, nei 27 distretti elettorali di Crimea e Donbas, ora occupati da Mosca, Viktor Yanukovych raccolse consensi intorno al 90%.

Inoltre la scissione avvenuta lo scorso novembre all’interno del Blocco di Opposizione (nome adottato dal Partito delle Regioni di Yanukovych dopo Euromaidan nel tentativo di rifarsi una verginità politica), tra la lobby del gas di Firtash e il clan di Donetsk di Akhmetov, ha rotto la monoliticità del fronte filorusso che si presenta a queste elezioni con ben tre candidati: Yuriy Boyko, Vadym Rabinovych e Oleksandr Vilkul. A detta di tutti i sondaggi, che vanno comunque presi con beneficio d’inventario, l’unico in grado di raccogliere consensi è Yuriy Boyko, che con l’8-9% potrebbe ad ogni modo, nella migliore delle ipotesi, arrivare quinto.

Nelle prime settimane di marzo il rating di Anatoliy Hrytsenko è infatti cresciuto di qualche punto percentuale assestandosi intorno al 9-10% per via del ritiro di alcune candidature eccellenti come quella del sindaco di Leopoli Andriy Sadovyi che ha dichiarato il proprio sostegno all’ex ministro della Difesa dei governi Tymoshenko, Yekhanurov e Yanukovych.

Il politologo Taras Kuzio in una videointervista dei primi di marzo ha inoltre sottolineato come in nessuno dei programmi elettorali presentati dai 44 candidati – dopo il ritiro di alcune candidature il numero è sceso a 39 – compaia l’adesione dell’Ucraina all’Unione Euroasiatica di Putin, neppure in quello di Boyko. Questo testimonierebbe una certa cautela, anche da parte dei candidati più legati al Cremlino, nell’enfatizzare tematiche potenzialmente divisive pure per l’elettorato russofilo, visto che nell’ultimo lustro l’identità ucraina è profondamente mutata a causa del conflitto con Mosca. Il fatto stesso che, secondo un Istituto di Ricerca di Kyiv, il 72% degli ucraini ritenga di essere in guerra con la Russia ha avuto sicuramente un impatto anche nell’Est del Paese.

Stando ai sondaggi, Boyko sarebbe in testa solo in 3 degli 8 oblast dell’Ucraina orientale e meridionale che in passato erano roccaforti del Partito delle Regioni, ossia Kharkiv, Luhansk e Donetsk. Certamente il Cremlino cercherà di influenzare l’esito del voto ma lo farà sponsorizzando alcuni candidati nascosti dietro una facciata populista, pseudo europeista o addirittura apparentemente patriottica e mettendo in atto un ampio spettro di azioni di ‘guerra ibrida’.

 

Populismo e dezinformatsiya

Le azioni di disturbo attraverso pratiche di hybrid warfare e di hybrid analytica orchestrate dall’abile regia moscovita vanno sicuramente annoverate tra le certezze di questa tornata elettorale. L’unica cosa difficile da stimare è l’impatto che avranno sulla psicologia degli elettori. Da un lato sarebbe ragionevole pensare che gli ucraini dopo cinque anni di guerra ibrida siano in grado di smascherare le narrative russe veicolate attraverso le fake news, dall’altro la straordinaria popolarità di cui gode nei sondaggi Volodymyr Zelenskyi, comico totalmente a digiuno di politica, incapace di esprimersi in ucraino, la lingua del Paese che dovrebbe rappresentare se venisse eletto, delinea uno scenario populista preoccupante.

Dopo aver usato bot e troll su Twitter per incoraggiare il Leave nel referendum sulla Brexit del 2016, per sostenere direttamente Trump nei momenti cruciali delle presidenziali americane dello stesso anno e per attaccare le forze europeiste nelle elezioni dell’ultimo triennio nei principali paesi della UE, Mosca riattiverà quasi sicuramente quegli stessi account, o ne costituirà altri ad hoc, per colpire Poroshenko e per manipolare la percezione dell’elettore su argomenti sensibili (corruzione, guerra in Donbas, tariffe delle utilities e pensioni) destinati a influenzare la scelta al momento del voto.

Dalla fine di dicembre, quando la campagna elettorale è entrata nel vivo, i fake relativi all’Ucraina, in vero sempre presenti nei media vicini al Cremlino, hanno fatto registrare un notevole incremento. Si sono intensificati in particolar modo gli attacchi all’amministrazione presidenziale, al governo e alla Chiesa Ortodossa Ucraina cui è stata riconosciuta nel dicembre 2018 l’Autocefalia da parte del Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli.

Il sito EU vs Disinfo, che analizza le narrative del Cremlino e fa il debunking delle fake news che compaiono sui principali outlet russi, nella newsletter settimanale del 14 marzo ha evidenziato come, a meno di tre settimane dalle elezioni presidenziali ucraine, la campagna di disinformazione russa sia in pieno svolgimento. Il voto ucraino è una fissazione costante delle televisioni della Federazione Russa, le quali raccontano quotidianamente ai propri utenti che l’Ucraina anziché muoversi in direzione dell’Europa è bloccata dal suo sciovinismo, che Kyiv desidera tornare al suo passato fascista, che il governo filo-occidentale sta sterminando la lingua russa, che Poroshenko, qualora fosse rieletto, trasformerebbe il Paese in una repubblica della banane, e così via…

Chi volesse approfondire gli oggetti dei fake e i principali filoni narrativi di Mosca sull’Ucraina può visitare il sito EU vs Disinfo e consultare in particolare questo e questo link.

 

Sondaggi e candidati

Un'altra considerazione importante riguarda l’attendibilità dei sondaggi. Gli ultimi appuntamenti elettorali, basti pensare alle presidenziali americane, hanno dimostrato come i sondaggi non siano più indicatori affidabili del sentire della gente ma si siano trasformati in veri e propri strumenti per influenzare l’opinione pubblica e creare narrative a supporto di un certo candidato.

Anche per questo motivo il voto che uscirà dalle urne potrebbe riservare qualche sorpresa, premiando più del previsto candidati “tradizionali” con alle spalle macchine di partito oliate e capillari sul territorio (Poroshenko, Tymoshenko), rispetto a candidati mediatici sorti dal nulla (Zelenskyi) o privi di grandi risorse finanziarie e/o di un forte partito (Hrytsenko).

Cerchiamo ora di capire come mai, a differenza che in altri Paesi, l’Ucraina faccia registrare un numero così elevato di candidature. Se, stando ai sondaggi di tutti i principali istituti di ricerca, solo sei candidati (Boyko, Hrytsenko, Lyashko, Poroshenko, Tymoshenko, Zelenskyi) raccolgono consensi superiori al 5% e solamente tre di loro – Poroshenko, Tymoshenko, Zelenskyi – hanno reali possibilità di arrivare al secondo turno, come si spiegano ben 33 candidati in lizza oltre a quelli già menzionati ?

Alcuni di essi sono “candidati tecnici”, ossia politici il cui scopo è servire il big con cui si sono in precedenza accordati cercando, per esempio, di screditare il principale rivale del candidato cui fanno riferimento attraverso azioni di “kompromat”. Altro scopo della candidature tecniche è confondere gli elettori. È il caso della polemica scoppiata alla fine di febbraio intorno alla figura di Yuriy Tymoshenko, accusato dall’ex pasionaria arancione di essere stato candidato da Poroshenko al solo scopo di ingannare gli elettori e di rubarle i voti. L’aspra polemica ha avuto anche un seguito giudiziario allorché mercoledì 6 marzo il procuratore generale dell'Ucraina Yuriy Lutsenko ha annunciato la detenzione di due persone accusate di aver tentato di consegnare a Yuriy Tymoshenko, una tangente pari a 5 milioni di UAH (circa 160mila euro), per convincerlo a ritirare la sua candidatura. Altra funzione del candidato tecnico è portare voti al secondo turno al suo big di riferimento. A detta di molti osservatori se Yuliya Tymoshenko dovesse contendersi la presidenza con Poroshenko o con Zelenskyi, potrebbe contare sui voti dell’oligarca di Mariupol Serhiy Taruta. 

Veniamo ora al principale motivo che rende ragione dell’elevato numero di candidati, ossia lo stretto legame che unisce il voto presidenziale a quello politico. Per la maggior parte dei candidati le presidenziali sono solo un banco di prova per fare conoscere le proprie proposte e saggiare il proprio peso elettorale in vista delle elezioni parlamentari. Dal momento che è la Rada ad eleggere il primo ministro è fondamentale per tutte le formazioni assicurarsi il più elevato numero di deputati. Gran parte delle difficoltà incontrate dall’azione riformatrice di Yushchenko negli anni arancioni sono imputabili alla debolezza del suo partito. Al contrario Poroshenko, potendo contare sul sostegno di deputati del suo partito e di quelli del Fronte Nazionale di Yatsenyuk, ha trovato meno ostacoli nella sua azione di governo.

Occupiamoci ora dei tre candidati che, secondo i sondaggi, avrebbero maggiori chances di contendersi la presidenza al secondo turno. Come ricordato in precedenza la possibilità di vittoria al primo turno con il 50% più 1 dei voti da parte di un candidato è ritenuta da tutti gli istituti di ricerca decisamente improbabile.

 

Tymoshenko. Un “Nuovo Corso” populista

Nata in un quartiere popolare di Dnipropetrovsk (oggi Dnipro) il 27 novembre 1960, Yuliya Tymoshenko è il personaggio più controverso della politica ucraina degli ultimi vent’anni. Un passato di imprenditrice nel settore energetico che le varrà nei primi anni Novanta il soprannome di Principessa del Gas, Yuliya Volodymyrivna – caduto in disgrazia il suo referente politico a Kyiv, Pavlo Lazarenko, ex Primo Ministro oggi detenuto negli Stati Uniti per frode fiscale – fa il suo esordio nella scena politica nel 1996.

Nel 1999, dopo una parentesi come Presidente della Commissione Economia del Parlamento, viene nominata, dall’allora Premier Viktor Yushchenko, Ministro dell’Energia. Il programma riformista del governo Yushchenko, intenzionato a dare un giro di vite alla corruzione dilagante nel Paese, si scontrerà presto con gli interessi degli oligarchi che costringeranno il Presidente Kuchma a licenziare il governo Yushchenko.

Nel febbraio 2001 Tymoshenko viene arrestata per falsificazione di documenti e importazione illegale di metano. Un’accusa, a detta di Yuliya Volodymyrivna, basata su documenti falsi creati dall’entourage di Kuchma di comune accordo con gli oligarchi che si oppongono alle riforme di mercato. Liberata la settimana successiva, Tymoshenko diventa la figura di riferimento dell’opposizione al regime che porterà, quattro anni più tardi, alla Rivoluzione Arancione.

Nel febbraio 2005 il Presidente Viktor Yushchenko la nomina premier del primo governo arancione. Ma l’alleanza tra i due leader del Maidan si rivelerà ben presto problematica. Yushchenko e Tymoshenko, nonostante la comune scelta di campo europeista e filo-occidentale, hanno personalità molto diverse, visioni strategiche differenti e un modo di fare politica diametralmente opposto. Qualche anno più tardi, Yushchenko definirà Tymoshenko il principale fattore di destabilizzazione dell’Ucraina in quanto dietro una facciata apparentemente patriottica, la sua agenda è filorussa.

Nel febbraio 2010, seppure per una manciata di voti, Tymoshenko viene sconfitta al secondo turno delle presidenziali da Yanukovych. Nel maggio 2011 il regime di Yanukovych inizia a incarcerare i suoi oppositori. Tymoshenko, viene accusata di ‘abuso di ufficio’, per aver sottoscritto nel 2009, con la Russia di Putin, un contratto troppo oneroso per l’importazione di gas russo, per giunta senza il via libera del Consiglio dei Ministri. L’11 ottobre 2011, dopo un processo giudicato anche da Bruxelles “viziato dalla mancanza di standard internazionali di equità, trasparenza e indipendenza”, Tymoshenko viene condannata a sette anni di carcere e al pagamento di una multa di 188 milioni di dollari.

L’ex pasionaria arancione diviene così la vittima più illustre del regime corrotto e autoritario di Yanukovych. Nonostante i numerosi appelli per la sua liberazione da parte di eminenti personalità del mondo politico internazionale, Yuliya Volodymyrivna, verrà scarcerata solo il 22 febbraio 2014 in quel convulso sabato in cui Yanukovych abbandona l’Ucraina e la Rada nomina come speaker e Presidente ad interim Oleksandr Turchynov. Tre mesi più tardi Tymoshenko tenta di nuovo la scalata alla Bankova ma i suoi consensi si fermano al 12,8%.

La candidatura di Tymoshenko per la terza volta consecutiva, con una campagna elettorale iniziata nel giugno 2018, non stupisce affatto chi conosce la determinazione, la forza e l’ambizione dell’ex principessa del gas. A differenza di un altro “pluricandidato” come Anatoliy Hrytsenko (terza volta anche per lui), privo di carisma e con evidenti problemi di immagine, Yuliya Tymoshenko ha conservata intatta la capacità di bucare lo schermo e di sedurre una certa parte dell’elettorato grazie a un sapiente uso retorico.

In una stagione politica caratterizzata a livello mondiale dal populismo il fatto che Tymoshenko sia, secondo il sito Vox Ukraine che analizza le affermazioni fatte dai politici ucraini, l’esponente politico che più mente agli elettori con un livello di menzogne pari all’80%, sembrerebbe non influenzare troppo il suo gradimento presso certe fasce della popolazione, tipicamente pensionati con basso livello di istruzione e mentalità “sovok”. Ma procediamo con ordine. Lasciamo da parte la questione se Tymoshenko sia un progetto, seppure più sofisticato, di Mosca (oggi anche diversi analisti e commentatori politici sono propensi ad avallare la tesi di Yushchenko), e concentriamoci sul programma elettorale dell’ex premier arancione e sulle sue uscite pubbliche.

Lo slogan scelto da Tymoshenko per le presidenziali 2019 è “Un Nuovo Corso per l’Ucraina”. Yuliya Volodymyrivna, che ha definito il suo un programma riformista, una sorta di New Deal Rooseveltiano, sostiene che il Paese in questi cinque anni non abbia attuato alcuna riforma e che i dicasteri Yatsenyuk e Groysman, succedutisi nel corso della presidenza Poroshenko, abbiano messo in atto politiche di “impoverimento”, di “sterminio” e di “genocidio” per gli ucraini.

Al di là dell’uso di un linguaggio violento e demagogico, è interessante notare come le presunte credenziali riformiste ed europeiste della Tymoshenko non trovino alcun riscontro nel comportamento in aula dei deputati del suo partito che hanno sistematicamente votato contro ogni riforma in settori cruciali come l’energia, la sanità, i terreni agricoli, le pensioni, la giustizia. A dispetto di una retorica riformista, Tymoshenko ha in realtà cercato di impedire, grazie al voto contrario dei suoi deputati, importanti riforme necessarie per modernizzare il Paese e aprirlo alla concorrenza e alla trasparenza.

Gli attacchi al Ministro della Sanità Ulyana Suprun, oggetto di una campagna di disinformazione in cui Tymoshenko l’ha accusata di essere stata inviata dagli Stati Uniti per condurre esperimenti sulla popolazione ucraina, dicono di un politico che ha abbracciato i metodi e la retorica (vedi tematiche anti-vax) dei più fervidi populisti. Gli attacchi al Fondo Monetario Internazionale, senza i cui aiuti l’Ucraina sarebbe fallita all’indomani del Maidan, il suo voler risolvere la questione della Crimea facendo partecipare ai negoziati addirittura la Cina che al consiglio di sicurezza dell’ONU dal 2014 ad oggi ha sempre votato come la Russia o al massimo si è astenuta e mai ha votato a favore dell’Ucraina, e l’aver accusato in un dibattito pubblico il rappresentante speciale americano per l'Ucraina Kurt Volker di essere filo Poroshenko, gettano diverse ombre su un’eventuale presidenza Tymoshenko.

 

Zelenskyi. Niente è vero, tutto è possibile

L’autentica novità di questa tornata elettorale è rappresentata dalla figura di Volodymyr Zelenskyi, un comico televisivo quarantenne che ha annunciato ufficialmente la sua candidatura il 31 dicembre 2018 sulla rete 1+1 dell’oligarca Ihor Kolomoyskyi, proprio mentre altri emittenti trasmettevano il tradizionale discorso di fine anno del Presidente Poroshenko.

Una scelta di tempi questa nient’affatto casuale che aiuta a delineare i contorni di una candidatura, pianificata con abile strategia di marketing e cinismo, che fa leva sulla disillusione e sul malcontento della gente di un Paese in guerra. Zelenskyi, pur provenendo dal Sud-Est industriale dell’Ucraina – è nato nel 1978 a Kryvyi Rih, agglomerato urbano famoso in epoca sovietica per le sue acciaierie – non è il classico candidato filorusso.

Zelenskyi è un prodotto mediatico abilmente costruito usando le regole della fiction politica che, in epoca di post-verità, si fa essa stessa politica. Non sappiamo se dietro Zelenskyi ci sia il Cremlino, più facile che il suo demiurgo sia uno spin doctor ingaggiato dall’oligarca Kolomoyskyi, per sconfiggere l’acerrimo nemico Poroshenko, ma la trasformazione dell’attore della serie televisiva “Sluha Naroda” (servo del popolo) in candidato presidenziale che potrà servire il popolo meglio degli attuali politici, facendosi dettare il programma dal popolo stesso, come il personaggio che interpreta in tivù, è degna dell’odierna drammaturgia russa, dove per dirla alla Pomerantsev “niente è vero, tutto è possibile”.

Come sottolinea Nataliya Kudrik, giornalista ucraina corrispondente dall’Italia di Radio Svoboda, sostenere che Zelenskyi sia assimilabile a Beppe Grillo non aiuta a comprendere la complessità e la pericolosità del Servo del Popolo divenuto Candidato del Popolo. Nonostante Zelenskyi e Grillo si rivolgano a un elettorato stanco della politica tradizionale, il Movimento Cinque Stelle di Grillo si è presentato alle elezioni dopo anni di manifestazioni di piazza, forte di una piattaforma politica che, seppure opinabile, aveva comunque dei contenuti. Zelenskyi, affermando che il programma glielo detterà il popolo, dimostra di non avere alcun contenuto.

Il lato più triste di questa vicenda è che alcuni commentatori internazionali ritengano un comico senza alcuna esperienza politica l’opzione migliore per un Paese che, forse è il caso di ricordarlo, è in guerra con la Russia.

 

Poroshenko. Un voto per rafforzare la svolta europeista

Avevo concluso la prima parte di questo lungo articolo sottolineando come alcuni indubbi successi di Poroshenko, quali la firma dell’Accordo di Associazione con la UE, la stabilizzazione dell’economia, il regime di liberalizzazione dei visti, le riforme nel settore energetico, bancario e sanitario, l’introduzione del sistema di e-procurement ProZorro, la formazione di un esercito efficiente e professionale, potrebbero non essere sufficienti a garantirgli un secondo mandato.

Nonostante la campagna di Poroshenko enfatizzi il cambiamento intervenuto in Ucraina negli ultimi cinque anni dove sono state realizzate più riforme che nei precedenti ventitre, il rischio che l’attuale inquilino della Bankova venga sconfitto al ballottaggio e sia costretto a cedere la poltrona a Zelenskyi o a Tymoshenko, o che non arrivi neppure a giocarsi le sue chances al secondo turno, è reale.

Il paradosso di Poroshenko, così l’ha ribattezzato il politologo statunitense Alexander Motyl, è che un presidente che ha conseguito risultati tangibili sul fronte delle riforme non dovrebbe avere problemi a vincere un secondo mandato e a sconfiggere candidati che parlano alla pancia del popolo e flirtano con Mosca. Ma così non è. L’accusa più spesso rivolta all’attuale presidente è quello di non aver fatto abbastanza sul fronte della corruzione.

È indubbio che la corruzione rimane uno dei più gravi problemi che affliggono l’Ucraina ma asserire che nulla è stato fatto è falso. Uno studio realizzato da un autorevole istituto di ricerca economica e politica di Kyiv ha evidenziato come le misure anticorruzione vagliate sotto la presidenza Poroshenko abbiano permesso di recuperare una cifra pari al 6% del PIL, ossia 6 miliardi di dollari.

Un dato questo che ha sensibilmente innalzato il rating dell’Ucraina presso la Banca Mondiale quale paese in cui è “più facile fare business”. L’Ucraina deve continuare su questa strada. Per riuscirci deve proseguire in questo cammino di progressivo avvicinamento alle istituzioni euro-atlantiche. E l’unico candidato credibile per portare avanti questa opera è Petro Poroshenko.