Dal Medioevo a Chernobyl. La storia dell’Ucraina di Massimiliano Di Pasquale
Istituzioni ed economia
Al centro dell’opera di Massimiliano Di Pasquale intitolata “Abbecedario Ucraino II” (Gaspari Editori 2021) vi è la storia dell’Ucraina, narrata per lemmi, ordinati alfabeticamente – tecnica narrativa già impiegata nel precedente volume edito sempre da Gaspari Editore – che copre un arco temporale assai esteso, che parte dal Medioevo e giunge sino al tragico aprile del 1986, quando la centrale nucleare di Chornobyl, sconquassata da un’esplosione a causa di una serie incredibile di leggerezze ed errori, che si sono andati ad affastellare a difetti progettuali specifici della centrale, provoca il peggior incidente nucleare nella storia del genere umano.
L’obiettivo che il giornalista si pone, in perfetta continuità con il precedente volume, è quello di smontare la narrazione granderussa prima, sovietica poi e quindi putiniana, che vuole un’Ucraina “russa”, simbiotica ed inscindibile dalla Moscovia e da tutto ciò che essa rappresenta in termini, storici, socio-politici ed economici.
Lo stile adottato si distingue per semplicità e asciuttezza, sinonimi di facilità di lettura e quindi di comprensione. Oltre alla semplice quanto utilissima partizione in sezioni dedicate all’esposizione di episodi storicamente rilevanti – in alcuni casi corredati da interviste a personaggi della cultura e dell’accademia, sia ucraini sia italiani – una parte assai importante dell’opera è dedicata all’esposizione delle esperienze vissute da Di Pasquale nei suoi numerosi soggiorni in Ucraina. Elementi questi che concorrono a rendere le 211 pagine di “Abbecedario Ucraino II” un testo vivo e partecipato, frutto non solo di una profonda conoscenza del Paese, ma anche di una attenta quanto appassionata ricerca storica, politica e sociologica. Molto utile, per un migliore “inquadramento storico” dei lemmi esposti, il sintetico dizionario cronologico che riepiloga i principali avvenimenti storico-culturali del Paese dai tempi della Rus di Kyiv fino al 24 Agosto 1991, giorno dell’agognata indipendenza.
Il libro si apre con una voce dedicata alla recente autocefalia della Chiesa ucraina, sistema valoriale, quello religioso, di riferimento imprescindibile per una comprensione del Paese. Di Pasquale affrontare il delicato tema, ben sapendo che questo rappresenta uno dei cardini della storia sociale e politica dell’Ucraina e che, proprio per la sua valenza specifica, è uno degli elementi che vede contrapposi due opposte narrazioni, quella ucraina e quella russa.
Ciò che emerge dalla lettura del lavoro è la specifica origine di quella che diverrà l’Ucraina, rintracciabile sin della remota storia di questo Paese, che trova nella complessa ed articolata genesi della “Rus di Kyiv” – siamo tra l'800 ed il 900 D.C. – una sorta di iniziale cifra istituzionale con l'arrivo di popolazioni vichinghe (Variaghi) invitate dalle tribù slave che vivevano nei territori prospicienti il Dnipro a guidarli.
Di Pasquale dedica un lemma intero al passaggio delle popolazioni ucraine dal paganesimo al Cristianesimo, conversione voluta da Volodymyr il Grande, e dei molteplici effetti che questa transizione religiosa ebbe su destini di quelle popolazioni e di come questo snodo fondamentale rappresenti tutt'ora uno dei punti di divergenza tra la visione ucraina di quei fatti e quella russa.
Al fine di rimarcare la particolarità della storia ucraina, Di Pasquale riporta alla luce un periodo della storia europea dimenticata ai più, quella che ha visto il regno ucraino emergere quale uno dei più importanti d'Europa, secondo solo all'impero carolingio, e tanto rilevante che il monarca “ucraino” dell’epoca, Yaroslav il Saggio – siamo intorno all'anno 1019 – era stato soprannominato il “Suocero d'Europa”, per via dell’adozione di una politica matrimoniale assai accorta che aveva portato numerose delle sue figlie a sposare buona parte dei monarchi europei, prima di tutte quell'Anna Yaroslavna, andata a sedere sul trono di Francia accanto ad Enrico I.
Questa sortita in un tempo ormai remoto, permette al lettore di comprendere quanto sia autonoma, europea e occidentale, sin dai suoi albori, la civiltà ucraina, ben lontana da quella omogeneità slava di stampo russo che vuole l'Ucraina unicamente slava e, soprattutto, “russa”.
Attraverso questo particolare excursus storico l’autore schiude le porte al lettore ad alcuni degli episodi più salienti della storia ucraina, in un percorso culturale e politico connotato dalla ricerca e dall'affermazione di una propria dimensione ed autonomia e dalla ricerca di un equilibrio tra il sempre più potente vicino moscovita e le popolazioni confinanti e non (polacchi, turchi, svedesi, mongoli) altrettanto interessati a porre sotto la propria tutela i vasti e ricchissimi spazi ucraini.
Grazie al libro di Di Pasquale scopriamo che la prima comparsa sulla scena politica ucraina di quella che diverrà la Moscovia risale al 1169, quando le truppe del principe Andrei Bogoliubsky, signore di Vladmir e Suzdal, attaccarono e diedero alle fiamme Kyiv, e che il termine “Ucraina” ha fatto la sua prima comparsa ufficiale nel 1189, nelle note di un cronachista dell'epoca.
“Abbecedario Ucraino II” consente, inoltre, di apprendere quali siano state le sorti di quella porzione di terra che fa del Dnipro il proprio baricentro, grazie ad una attenta descrizione dei rapporti, certamente non facili, tra Polonia ed Ucraina che risalgono ai tempi dell’annessione dei territori ucraini al principato di Polonia-Lituania. Ed ancora, di come la prima citazione riferita ai Cosacchi come nucleo socio-politico autonomo risalga al 1492 e di come sull’isola di Khortytsya questa comunità diede vita al primo nucleo politico cosacco che passerà alla storia come “Sich di Zaporizhzhya”. Le vicende di questa singolare autorità – spiega Di Pasquale – assunsero una rilevanza particolare nella storia dell’Ucraina imprimendole una dinamica assai specifica, ad iniziare da quando, nel 1648, i cosacchi guidati da Bohdan Khmelnytsky, attaccarono i polacco-lituani dando vita al quel Cosaccato ucraino, che svolse un ruolo fondamentale per il futuro della nazione ucraina.
Attraverso questi episodi l’analista conduce il lettore allo snodo fondamentale, l’autentico dirimente tra la lettura ucraina e quella russa delle vicende ucraine, rappresentato dal trattato di Pereyaslav, sottoscritto il 18 gennaio 1654.
Con questo patto il Cosaccato, al solo scopo di appoggiarsi a un vicino in grado di garantirgli un'adeguata protezione dalle scorrerie e dalle pretese di vicini alquanto aggressivi quali erano i polacco-lituani e i tatari, si affida al principe della Moscovia suggellando in tale maniera l’entrata di Mosca nella vita politica, sociale ed economica dell’Ucraina, “intromissione” che perdura sino ai giorni nostri.
In un contesto dove l'interpretazione del trattato di Pereyaslav rimane al centro di accesa discussione tra russi e ucraini, si staglia la figura di Ivan Mazepa, l’etmano cosacco amico di Pietro il Grande che non esitò a schierarsi dalla parte degli svedesi di Carlo XII che attaccarono proprio il dominio di Mazepa quando Mosca, viene meno al dettato proprio del trattato di Pereyaslav che vincolava il Cosaccato e la corte dello Zar ad una alleanza difensiva di reciproco appoggio in caso di attacco.
Dalla battaglia di Poltava del 1709, nella quale le speranze di Mazepa di riuscire in un difficile gioco di equilibri tra Russia, Polonia e Svezia, alla ricerca di una propria autonomia, si infransero di fronte alla superiorità delle armi dell'ex alleato russo, alla totale distruzione dell'Etmanato cosacco, voluta da Caterina di Russia il passo è breve.
La vicenda ucraina approda, siamo nel 1772, alla tripartizione della Polonia che consegna la Galizia a Vienna e la Volina e l’Ucraina a Mosca.
Di Pasquale dedica un bellissimo lemma alla Galizia, luogo prima di tutto culturale prima ancora che geografico, dove alla sottomissione ad una casa regnante aliena, che considera i propri sudditi ruteni – così venivano chiamati gli ucraini – con una buona dose di paternalismo, corrisponde, proprio in ragione di quello stesso paternalismo tipicamente asburgico, la possibilità per il lembo più orientale dell'impero di godere di una libertà, soprattutto di carattere culturale, sconosciuta al di fuori dei domini asburgici. Tale libertà renderà la Galizia un luogo unico nel contesto europeo e mondiale e fungerà da sfondo alle opere di scrittori ed intellettuali quali Joseph Roth o Leopold von Sacher-Masoch. E proprio a quest'ultimo l'autore dedica pagine che fanno emergere una dimensione assai diversa dello scrittore asburgico, lontana da quella stereotipata che definisce e delimita al solo “Venere in pelliccia” l'opera dello scrittore ucraino, relegandolo in tale maniera tra i paria della letteratura mondiale.
Questo affresco di un luogo e di un’età unica ed irripetibile contribuisce a una migliore comprensione di quale fosse il retroterra culturale politico e sociale che ha concorso a formare la “mentalità ucraina” e definisce al contempo l'alterità, rispetto al resto delle culture che circondano geograficamente il territorio ucraino, nonché il suo volgere lo sguardo sempre e comunque ad Occidente.
L’autore dedica ampio spazio anche alla città di Chernivtsi, la asburgicissima Czernowitz, capitale della Bucovina, autentico topos culturale-letterario della Mitteleuropa. Qui vissero scrittori e poeti come Gregor von Rezzori, Paul Celan, Rose Ausländer e Aharon Appelfeld. Di Pasquale, affascinato da questa città, racconta cosa abbia rappresentato Chernivtsi, per gli ucraini, ma non solo per essi, narrando dei suoi incontri con personaggi rappresentativi della vita culturale della città e di come questi confermino la natura multietnica e multiculturale del centro, dove, grazie alla tollerante politica asburgica, convivevano culture ed etnie diverse (tedeschi, ucraini, polacchi, ebrei) dando vita ad un milieu culturale dalle caratteristiche irripetibili.
Nel solco letterario, si inseriscono tre lemmi che il ricercatore dedica ai due maggiori poeti ucraini, Taras Shevchenko e Ivan Franko, interpreti della lotta contro l'oppressione moscovita e a Mikhail Bulgakov, autore de “il Maestro e Margherita” e de “La Guardia Bianca”. Se i due poeti ucraini rappresentano la massima espressione delle aspirazioni autonomiste ucraine in campo e artistico e politico – Franko forse in modo ancor più radicale di quanto non faccia Shevchenko – Bulgakov si pone all’estremo opposto.
Bulgakov, sebbene amasse Kyiv, non risentì in alcun modo del richiamo indipendentista ucraino, ma anzi lo rigettò, non nascondendo la propria appartenenza alla Russia zarista, sentimento questo che trova forse la sua massima espressione proprio nel romanzo “La Guardia Bianca”, dove il protagonista, il giovane medico Aleksey Turbin, afferma: “...non sono socialista, purtroppo: sono ...monarchico. E devo dire la parola socialista non la posso proprio sopportare”.
Con la Grande Guerra e lo scoppio della Rivoluzione d'Ottobre che porta i bolscevichi al potere in Russia, inizia quella parte della storia ucraina più vicina a noi e che vede, ancora una volta, il Paese al centro di avvenimenti tanto importanti per la storia mondiale quanto drammatici. Di Pasquale narra con dovizia di particolari gli avvenimenti relativi alle vicende che hanno portato alla creazione di due repubbliche ucraine, al ruolo che l'Austria e la Germania hanno avuto nella repentina scomparsa di un'entità autonoma ucraina unificata e di come questa, nel suo brevissima esistenza, abbia cercato di resistere alle fortissime pressioni che avvenimenti storici di portata incomparabilmente più forte la abbiano costretta a soccombere a quella che si rivelerà una delle due maggiori potenze espresse dal '900.
E qui l'autore dedica un importante parte del proprio lavoro alla figura di Mykhailo Hrushevsky, eminente storico nonché presidente per il solo giorno di esistenza, della prima repubblica indipendente Ucraina. Con la conquista della quasi totalità dei territori ucraini da parte dell'Armata Rossa inizia uno dei periodi più tetri della storia umana, politica e sociale del Paese.
L'esempio più significativo della rilevanza che questi fatti assumono si fa tragica quando il libro affronta il delicatissimo tema del Holodomor – termine ucraino frutto dell'unione di due termini: holod, ovvero “fame” e moryty, cioè “uccidere” – il cui apice venne raggiunto nel biennio 1932-1933 e che provocò la morte per fame ed inedia di milioni di persone – nella stragrande maggioranza contadini - frutto avvelenato della demoniaca politica staliniana il cui scopo era quello di piegare gli ucraini al proprio volere, adottando una politica basata su collettivizzazioni e industrializzazione forzate e concretizzatasi nel sequestro di generi agricoli provocando, conseguentemente, la morte di donne, bambini, ed anziani.
Di Pasquale non trascura di mettere a confronto la molto più sofisticata e fruttuosa politica di “ucrainizzazione” adottata dal Lenin, conscio del fallimento del “Comunismo di guerra”, e che permise agli ucraini di uscire da uno stato di prostrazione e di asservimento, permettendo loro, ancora una volta appoggiandosi alla propria cultura ed alla propria lingua, di percepire meno indigesta la preminenza sovietica, rispetto alla cieca furia distruttiva che Stalin riservò all'Ucraina.
In un lemma ampio e ben strutturato, l'autore spiega cosa significhi e cosa abbia significato per l'Ucraina il termine “Rinascimento Fucilato”, ovvero quel particolare periodo a cavallo degli anni '20 e '30 nel corso del quale Stalin represse in modo brutale, con deportazioni e fucilazioni, quel movimento culturale che aspirava ad una maggiore autonomia dell'Ucraina dalla signoria sovietica.
La politica dell'Urss di quegli anni trova il proprio completamento nel capitolo, delicatissimo ma imprescindibile, che Di Pasquale dedica al tema, spinosissimo, rappresentato dalla Seconda Guerra Mondiale e più in particolare dal rapporto ambiguo che si instaurò tra tedeschi, lanciati alla conquista dell'Unione Sovietica e una certa parte della popolazione ucraina, che aveva accolto quali liberatrici le truppe germaniche.
Il Holodomor, con il suo immancabile lascito di rabbia e risentimento, spiega l'atteggiamento che una certa parte di ucraini avevano assunto al momento dell'invasione nazista, ma che non giustifica in alcun modo gli episodi di vera e propria complicità - vennero creati due battaglioni di militari ucraini inquadrati regolarmente nelle forze armate germaniche – nei fatti che portarono alla collaborazione tra autorità germaniche e parte dei movimenti autonomisti ucraini nella cancellazione della quasi totalità della popolazione di religione ebraica in Ucraina. Dolorose quanto illuminanti le pagine che il ricercatore dedica ai fatti di Babyn Yar, località nei pressi di Kyiv, dove vennero uccisi circa 30.000 ebrei ucraini massacrati dagli “Einsatzgruppen” nazisti, spalleggiati da volontari ucraini, che adottarono la tecnica della fucilazione denominata “a scatola di sardine”, tragico prodromo tecnico dell'Olocausto compiuto nei campi di sterminio allestiti nei territori finiti sotto il dominio del Reich edificato dal “caporale boemo” e che hanno portato alla cancellazione della stragrande maggioranza della popolazione ebraica dall'Europa Orientale.
Attraverso la ricostruzione della vita di Stepan Bandera e della politica indipendentista perseguita dai gruppi di nazionalisti ucraini, l’autore rende possibile comprendere cosa abbia indotto alla vicinanza che un primo momento caratterizzò i rapporti tra gli indipendentisti ucraini ed i nazisti, vicinanza che si annullò nel momento in cui i leader degli indipendentisti si resero conto che tra gli odiati sovietici ed i tedeschi non passava alcuna differenza e che entrambe avevano come unico scopo la sottomissione della popolazione ucraina e lo sfruttamento delle risorse agricole ed industriali che abbondavano nel Paese. Definita una volta per tutte la propria posizione nei confronti di Mosca e di Berlino, gruppi di indipendentisti armati iniziarono a combattere su due fronti, opponendosi sia all'Armata Rossa sia alla Wehrmacht, mentre molti giovani ucraini andarono a rafforzare i battaglioni russi che combattevano contro la macchina da guerra tedesca, chiarendo, ancora una volta, come nella storia ucraina le scelte compiute da leader o da semplici cittadini siano state informate al criterio del “male minore”. Di Pasquale non tralascia di informare il lettore che lo stesso Bandera, ormai inviso ai vertici nazisti, venga internato nel campo di Sachsenhausen, e liberato solo dopo un lungo periodo di detenzione, quasi a guerra terminata, mentre i suoi fratelli, Oleksander e Vasyl furono assassinati ad Auschwitz.
Di Pasquale passa quindi ad affrontare, dotato di un corposo bagaglio storico, la fase del secondo dopo guerra, dove la potenza sovietica, ed in particolare lo stalinismo più intransigente, lascia la sua profonda impronta sul sistema sociale e culturale ucraino, intensificando ed accelerando il processo di russificazione che nei piani di Stalin avrebbe dovuto portare alla cancellazione di qualsiasi traccia di “ucrainicità” che avranno proprio nelle provincie orientali/oblast del Donbas e di Donetsk – quelle interessate dalla guerra strisciante che attualmente oppone Mosca a Kyiv – i punti di maggiore pressione.
Il percorso che Di Pasquale intraprende per descrivere quel momento storico e politico è, ancora una volta, quella della descrizione di personaggi di spicco della politica e della cultura ucraina che hanno agito nel periodo storico preso in considerazione, mettendo in evidenza, proprio attraverso la loro azione, la lotta senza quartiere che gli organi di repressione sovietici avevano scatenato contro chi desiderava un'Ucraina indipendente da Mosca.
In questo ambito vanno ricordate le figure del “Principe Rosso”, Guglielmo d'Asburgo, ucraino per scelta – tanto che adotterà il nome di Vasyl Vyshyvanyi, dal nome della tipica camicia ricamata ucraina – e che sognava di sedersi sul trono di un principato ucraino, inserito all'interno di un riformato sistema imperiale asburgico – o l'attività che lo stesso Bandera continuò a svolgere subito dopo il termine della Seconda Guerra Mondiale. Due vicende che si conclusero nei peggiori dei modi; con l'uccisione dell'indipendentista ucraino da parte di un agente del KBG a Monaco di Baviera nel 1959 e con la tragica fine del nobile di origini austriache in una prigione sovietica nel 1948. Nella lista dei personaggi che Di Pasquale descrive nell'ambito della “russificazione” massiccia a cui era stata sottoposta la società ucraina, spicca la figura di Aleksey Stakhanov, il minatore ucraino dalle iperboliche quanto false prestazioni lavorative che la macchina propagandista sovietica esaltò a tal punto da trasformarlo in una figura ormai entrata a far parte dell'immaginario collettivo e addirittura nel lessico internazionale.
Di particolare interesse la voce dedicata a un gruppo piuttosto nutrito di dissidenti sovietici ucraini, gli “Shistdesiatnyky” che cercarono di modificare l'approccio repressivo e volto alla cancellazione di ogni traccia della cultura ucraina posto in essere da Leonid Brezhnev, il leader che sostituì Khrushchev ai vertici del Presidium sovietico dando inizio a una politica di oppressione e di congelamento di ogni politica volta al riconoscimento di qualsiasi autonomia da parte delle numerose repubbliche facenti parte dell'Urss.
Di Pasquale, nel lungo lemma dedicato a Chornobyl (Chernobyl per la traslitterazione russa), oltre a descrivere con dovizia di particolari le ragioni/cause che portarono all'esplosione della centrale nucleare dipinge un quadro assai chiaro di quella che era l'autentica portata della “Glasnost” e della “Perestrojka” e dell'azione di Mikhail Gorbaciov. Nelle pagine conclusive di questa voce è possibile osservare come la Russia di Putin cerchi di distorcere la realtà dei fatti che hanno portato al disastro nucleare dell'aprile del 1986, addossando la responsabilità di quanto avvenuto, per il tramite ad una serie televisiva di “controinformazione”, addirittura alla CIA ed al governo statunitense, in un'ottica di rivalutazione del sistema staliniano e del relativo culto della personalità, funzionale alla continuità del sistema di propaganda avviato dall'ex funzionario del KGB nella DDR.
L’Abbecedario ospita anche un lemma dedicato a un personaggio di prima grandezza della letteratura e del giornalismo italiano, Giorgio Scerbanenco. La figura di questo “giallista”, nato in Ucraina nel 1911 e che con il suo Paese d’origine intrattenne sempre un rapporto “complesso, contraddittorio, tormentato”, è ritratta in modo gentile, forse anche affettuosa. Nell’appendice del libro l’autore si occupa di Kryvyi Rih, città industrial-mineraria, nota in epoca sovietica per essere uno dei principali poli siderurgici dell’URSS, oggi tornata alla ribalta per aver dato i natali a Volodymyr Zelensky, l’attuale presidente ucraino.
Di Pasquale approfitta di questo particolare elemento per esporre, in contrapposizione con la vulgata corrente che descrive l'ex comico come un riformista filo-occidentale, quale sia il vero volto della sua politica. Ai cultori delle tecniche di comunicazione politica non sfuggiranno certamente raffinatezze come quelle rappresentate dalla disamina che l’autore compie circa alcuni dei sistemi messi a punto dai consulenti elettorali di Zelensky per vincere le elezioni presidenziali del 2019 e le seguenti elezioni politiche. Tecniche, espedienti e narrative che ricordano da vicino quelle usate dal Cremlino.
Ciò che emerge dalla lettura di queste pagine è la scoperta di una presidenza ucraina finora molto indulgente con Mosca, pronta ad accettare la politica del “fait accompli” in Crimea e che potrebbe spingere Kyiv ad accettare le rivendicazioni russe in Donbas e nelle oblast orientali dell'Ucraina.
Solo negli ultimi giorni, a causa dell’aggravarsi della situazione dovuta all’ingente ammasso di truppe russe ai confini del Paese accompagnata dalle minacce di Putin, Zelensky, allarmato da un’invasione russa su grande scala, ha accennato ad un eventuale, quanto improbabile a questo punto, ingresso dell'Ucraina nella NATO.
L’opera di Massimiliano Di Pasquale merita di essere annoverata tra i volumi la cui lettura risulta indispensabile per tutti coloro che vogliono comprendere quanto stia accadendo in Ucraina, squarciando i veli posti dalla narrazione russa.