Della Vedova eutan

Nel suo ultimo libro, La Paura e la Ragione. Il collasso della democrazia in Russia, Europa e America, uscito per Rizzoli nell’aprile di quest’anno, lo storico statunitense Timothy Snyder analizza i principali eventi che hanno caratterizzato gli anni Duemiladieci, in Russia, Europa e Stati Uniti fornendo al lettore un affresco dettagliato della crisi che attraversa le democrazie occidentali.

Uno dei principali pregi dell’opera è quello di riuscire a stabilire delle connessioni e delle correlazioni tra accadimenti apparentemente indipendenti che, a ben vedere, sono tanti tasselli di un disegno unitario di distruzione delle democrazie occidentali. L’approccio sistemico delineato dallo storico dell’Università di Yale, che combina temi di stretta attualità quali guerra ibrida, fake news, uso discorsivo dei social, a tematiche più propriamente storico-filosofiche, fa di questo libro un prezioso strumento per l’elaborazione di un manifesto politico-culturale per contrastare il sovranismo e il populismo che stanno infettando il mondo Occidentale.

Per comprendere la valenza politica di questo saggio è fondamentale passare in rassegna il suo contenuto e soffermarsi su alcuni concetti chiave. Fondamentale, per esempio, è la definizione di guerra ibrida, espressione usata in questi anni per definire la guerra della Russia contro l’Ucraina. Snyder fa giustamente notare come “il problema di usare espressioni in cui il sostantivo «guerra» è qualificato da un aggettivo come «ibrida» è che suonano come «guerra meno qualcosa», mentre il loro reale significato è «guerra più qualcosa». L’invasione dell’Ucraina era una guerra regolare, come pure una campagna partigiana per indurre i cittadini ucraini a combattere contro il proprio esercito. Oltre a questo, fu anche la più vasta ciberoffensiva della storia”.

Procediamo con ordine e partiamo dal prologo del libro dove Snyder, prima di occuparsi degli eventi più importanti che hanno interessato la storia contemporanea dal 2011 al 2016, introduce i concetti di inevitabilità e di eternità.

Lo storico americano evidenzia come la politica dell’inevitabilità si sia manifestata all’inizio del nuovo secolo con un racconto sulla fine della storia, ossia attraverso “la convinzione che il futuro sia soltanto una continuazione del presente, che le leggi del progresso siano note, che non ci siano alternative e, dunque, nemmeno rimedi ”.

Il pensiero dominante in Occidente era più o meno sintetizzabile nei seguenti termini. Il comunismo è crollato, la vittoria della democrazia è definitiva e il nuovo millennio porterà pace e prosperità. In Europa il corollario principale della politica dell’inevitabilità era l’assunto che “la storia ha prodotto la nazione, che ha imparato dalla guerra l’utilità della pace, e pertanto ha scelto l’integrazione e la prosperità”, negli Stati Uniti l’assunto che “la natura ha prodotto il mercato, che ha prodotto la democrazia, che ha prodotto la felicità”.

La crisi economica a livello globale del 2008 e l’incapacità dei regimi ex sovietici di riformarsi in senso politico ed economico attraverso meccanismi di mercato e di contendibilità politica hanno palesato tutti i limiti di questa visione. Con l’effetto, nient’affatto trascurabile sul piano culturale, che le narrazioni dei politici dell’inevitabilità occidentali hanno allevato una generazione di Millennial senza storia.

L’incapacità del principale Paese dell’ex blocco sovietico, la Russia, di intraprendere un percorso di riforme economiche, politiche e sociali, ossia l’incapacità di sviluppare una vera democrazia, ha spinto il Cremlino, a partire dal 2011, a inaugurare una politica dell’eternità. “Mentre l’inevitabilità promette un futuro migliore per tutti, l’eternità colloca una nazione al centro di un racconto ciclico di vittimizzazione. Il tempo non è più una linea verso il futuro, bensì un ciclo che riproduce senza fine le minacce del passato”.

Nella politica dell’eternità i politici diffondono la convinzione “che il governo non possa favorire la società nel suo complesso, ma soltanto metterla in guardia dalle minacce”. Una volta al potere i politici dell’eternità fabbricano crisi e manipolano le emozioni per distrarre i cittadini dai problemi reali di un Paese. In politica estera screditano i successi di Paesi percepiti come modelli agli occhi di un vasto pubblico e servendosi della tecnologia negano la verità e trasmettono una fiction politica sia in patria sia all’estero.

Il testo di Snyder, nato come tentativo di smascherare le fiction politiche e di restituire il presente al tempo storico e “dunque di restituire il tempo storico alla politica”, indaga la storia russa, ucraina, europea e americana “per definire i problemi politici del presente e per sfatare alcuni dei miti che li ammantano”.

 

Fascismo cristiano e stalinismo

Per comprendere le fondamenta teoriche del regime putiniano Snyder passa in rassegna il pensiero di Ivan Ilyin, filosofo di fine Ottocento teorico del fascismo cristiano.

Agli inizi degli Anni Duemila Ilyin, morto in Svizzera nel 1954 in oblio, viene rispolverato dal Cremlino alla ricerca di un ideologo per il nuovo corso. A Mosca vengono ristampate le sue opere e le sue idee conquistano nuovi potenti sostenitori. Nel 2005 Putin, che di lì a poco inizierà a citare Ilyin nei suoi discorsi annuali alla Duma, organizza persino la sua risepoltura a Mosca presso un monastero dove la polizia segreta sovietica aveva incenerito i cadaveri di migliaia di cittadini russi giustiziati durante il Grande terrore.

Analogamente a Marx, Ilyin si rifà al corpus filosofico hegeliano, offrendone però una lettura di destra. Ilyin sostiene che la storia sia iniziata con un peccato originale così grave da condannare l’umanità alla sofferenza. Ma il peccato originale, a sua detta, non fu perpetrato dall’uomo sull’uomo attraverso la proprietà privata ma da Dio sull’uomo attraverso la creazione del mondo.

Secondo Ilyin la patria di Dio era la Russia. La Russia era da tutelare a tutti i costi perché era l’unico territorio da cui sarebbe potuta iniziare la ricostruzione della totalità divina. Una ricostruzione che sarebbe avvenuta “grazie al miracolo compiuto dal redentore”. Nonostante Ilyin fosse antibolscevico e ammirasse Hitler, il suo pensiero era molto simile nelle sue implicazioni pratiche a quello di Stalin. Non stupisce dunque che la Russia attuale, che lo elegge a suo ideologo, è lo stesso Paese che riscrive i libri di storia riabilitando il culto di Stalin.

Nella visione di Ilyin la parentesi comunista vissuta dalla Russia era il frutto della corruzione proveniente dall’Occidente perché il comunismo era stato imposto alla Russia dall’esterno. La Russia è innocente ma la sua innocenza non è osservabile nel mondo e “la purezza di questa visione è più importante di qualunque cosa i russi abbiano effettivamente fatto”.

Ilyin, rifacendosi al teorico nazista del diritto Carl Schmitt, afferma che la politica è l’arte di identificare e neutralizzare il nemico. E dal momento che la Russia è l’unica fonte di totalità divina e di purezza, l’uomo spuntato dal nulla, che i russi riconosceranno come il redentore, potrà muovere guerra a chi minaccia i successi spirituali della nazione. La fantasia di una Russia innocente in eterno che comprende la fantasia di un redentore innocente in eterno torna utile al regime cleptocratico di Putin che la sfrutta opportunisticamente per coprire una realtà fatta di ingiustizie sociali, soprusi e incapacità di evoluzione in senso democratico.

 

Putin il Redentore

L’anno di svolta della Russia coincide con il biennio 2011-2012 quando Putin, gettando discredito sulle elezioni democratiche, indossa il mantello dell’eroico redentore e getta il suo Paese nel pieno dilemma di Ilyin, riassumibile in questa proposizione: ‘nessuno può cambiare in meglio la Russia finché Putin rimane in vita, e nessuno in Russia è in grado di dire cosa accadrà dopo la sua morte’.

A partire dalle elezioni del 2012, la Federazione Russa, nata nel 1991 come una repubblica costituzionale, legittimata dalla democrazia, dove il presidente e il parlamento sarebbero stati scelti attraverso elezioni libere, abdica al principio di successione. Putin spinge alle estreme conseguenze il concetto di “democrazia gestita”, al punto di non negare neppure di aver alterato le regole del gioco democratico. Le elezioni, non sono più un mezzo per esprimere la volontà dei cittadini ma diventano, proprio come teorizzato da Ilyin, solo un rituale. Per il filosofo fascista la Russia avrebbe dovuto essere uno Stato apartitico, redento da un solo uomo e i partiti semplicemente dei simulacri utili unicamente per ritualizzare le elezioni.

Quando il 5 marzo 2012, circa venticinquemila cittadini russi protestano a Mosca contro i brogli alle elezioni presidenziali, Putin decide in uno primo tempo di associare l’opposizione democratica alla sodomia globale (il tema verrà ripreso ai tempi del Maidan di Kiev dipingendo l’Accordo di Associazione Economica dell’Ucraina con la UE come un tentativo, da parte della Gayropa, ossia dell’Europa dei gay, di minare i valori cristiani in Ucraina), in una seconda fase afferma che i contestatori sono al servizio di una potenza straniera, ossia degli Stati Uniti, il cui diplomatico più importante è una donna: Hillary Clinton.

Ovviamente il Cremlino non produce alcuna prova, del resto il punto non è quello piuttosto scrive Snyder “inventare una storia sull’influenza straniera e usarla per cambiare la politica interna”. Putin decide di scegliersi il nemico che meglio si adatta alle sue necessità di leader, non quello che minaccia realmente il suo paese.

L’Unione Europea e gli Stati Uniti vengono dipinti dalla propaganda del Cremlino come minacce semplicemente perché le elezioni russe sono state manipolate. La presentazione degli Stati Uniti e della UE come nemici sarebbe diventata la premessa della politica russa, dopo che “Putin aveva ridotto lo Stato russo al proprio clan oligarchico e al suo momento presente”. Con il ritorno di Putin alla presidenza nel 2012 la Russia si trasforma in uno stato fascista. La diffamazione diventa un illecito penale, il Patriarcato Ortodosso di Mosca si allea con il Cremlino divenendo a tutti gli effetti un suo braccio armato, comincia la persecuzione delle organizzazioni non governative, si glorificano carnefici del passato come Felix Dzerzinskij, fondatore della Cheka, cui viene intitolata una nuova unità dell’FSB, si distruggono gli archivi di Memorial, centro che aveva documentato le sofferenze dei cittadini sovietici ai tempi di Stalin.

In un articolo del 23 gennaio 2012 Putin abolisce i confini legali della Federazione Russa e descrive la Russia non come uno Stato ma come una condizione spirituale gettando di fatto le basi per la ‘giustificazione teorica’ della guerra in Ucraina di due anni più tardi. Vladimir Putin si erge dunque a redentore ilyiniano che emerge da oltre i confini della storia e incarna misticamente il passato millenario russo. Peccato, fa notare Snyder, che ai tempi di Volodymyr e del battesimo della Rus, la città di Mosca non esistesse neppure e che lo stato medioevale della Rus non coincida affatto con l’attuale Russia.

 

Successione, integrazione e responsabilità

Il capitolo Integrazione o Impero si apre con una riflessione sul principio di successione attraverso il quale uno Stato esiste nel tempo e sul principio di integrazione attraverso il quale uno Stato, organizzando i propri rapporti con l’estero, esiste nello spazio. La riflessione su ciò che in apparenza sembra scontato si rivela in realtà molto utile per comprendere la crisi delle nostre democrazie e per offrire qualche risposta di carattere politico.

Le tre risposte politiche che Snyder fornisce – a parer di chi scrive – fondamentali per ogni piattaforma politica europeista e liberale, sono la necessità di uno Stato di dotarsi di un principio di successione che garantisca l’alternanza democratica attraverso un meccanismo elettorale genuino, la necessità di una qualche forma di integrazione, che implica ovviamente anche qualche cessione di sovranità nazionale, e la necessità da parte dei cittadini di coltivare una politica della responsabilità perché “studiando le virtù che la storia ci rivela, diventiamo i costruttori di un rinnovamento che nessuno può prevedere”.

Attraverso lo studio della storia Snyder smaschera le menzogne del Cremlino sulla Rus di Kiev quale presunta culla della civiltà russa ma anche gli eccessivi entusiasmi occidentali su cui si è basata prima la politica dell’inevitabilità e oggi, anche grazie al dilagare della propaganda russa, la rinascita in Europa dei nazionalismi. Considerare l’integrazione europea come qualcosa di dato, dimenticando l’esistenza di altri modelli, è stato sicuramente un grave errore che combinato alla dezinformatsiya russa ha contribuito a incrinare la fiducia nelle istituzioni democratiche europee. Lo studio della storia ci dice come i nazionalismi siano stati l’anticamera di nazismo e stalinismo, ossia del totalitarismo.

La storia ci insegna che gli Stati nazionali, sorti dalla disgregazione dei quattro grandi imperi (zarista, asburgico, tedesco e ottomano), hanno avuto una vita piuttosto breve finendo presto risucchiati entro entità totalitarie come la Germania Nazista e l’Unione Sovietica che, con il Patto Molotov-Ribbentrop, strinsero addirittura un’alleanza per spartirsi l’Europa. “Nel 1950, il comunismo aveva conquistato quasi tutta quella zona dove, al termine della Prima guerra mondiale, si erano affermati degli Stati nazionali. In seguito alla Seconda Guerra Mondiale, così come in seguito alla Prima, l’opzione dello Stato nazionale dimostrò di essere un’alternativa impercorribile per l’Europa”.

Mentre l’Europa orientale stava sperimentando il comunismo sovietico, quella occidentale, sfruttando l’appoggio finanziario statunitense, aveva intrapreso un nuovo esperimento con il principio di legalità e le elezioni democratiche. “Anche se le politiche si differenziavano profondamente da Stato a Stato, in generale in quei decenni l’Europa costruì un sistema di assistenza sanitaria e di previdenza sociale che le successive generazioni avrebbero dato per scontato. Nell’Europa centrale e occidentale, lo Stato non dipendeva più dall’impero ma poteva essere salvato attraverso l’integrazione”.

L’efficacia di questo modello fa sì che, con il crollo dell’URSS, ben undici Paesi post-comunisti (Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Lettonia, Lituania, Estonia e Croazia) aderiscano alla UE. Nel 2013 anche l’Ucraina decide di avvicinarsi, inizialmente con la sottoscrizione di un Trattato di Associazione Economica, alla UE. Ma la firma avverrà solo nel 2017 dopo che la Russia per impedire l’avvicinamento di Kiev all’Europa, ha invaso prima la Crimea, annettendosela e ha poi aperto un fronte di guerra nella regione orientale del Donbas.

Negli anni Duemiladieci, nazionalisti, sovranisti e fascisti contrari alla UE iniziano a promettere agli europei un ritorno a una storia nazionale immaginaria. La Russia, incapace di creare uno Stato stabile caratterizzato da legalità e da un principio di successione, si presenta come un modello per l’Europa enfatizzando non la prosperità e la libertà, valori non conseguibili in Russia, ma sessualità e cultura dipingendo Europa e Stati Uniti come minacce ai presunti valori della Santa Madre Russia.

 

Eurasia e schizofascismo

Il modello da contrapporre all’Occidente corrotto e all’Unione Europea governata da gay, pervertiti e lobby ebraiche è l’Eurasia ossia un impero che si estende da Vladivostok fino a Lisbona con capitale Mosca. Snyder dedica diverse pagine all’eurasiatismo degli anni Venti di pensatori contemporanei di Ilyin, alla tradizione slavofila che si opponeva al pensiero degli occidentalisti nell’Ottocento e al pensiero di Lev Gumilev con cui negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta del Novecento si ebbe il rilancio della tradizione euroasiatica in Unione Sovietica. Poi passa ad esaminare l’Eurasia proposta negli anni Duemiladieci da Aleksander Dugin e dall’Izborsk Club, un club fondato dallo scrittore fascista Prokhanov, un’Eurasia fondata su due concetti: la corruzione dell’Occidente e la malvagità degli ebrei.

Snyder sottolinea come Dugin, che nei primi Anni Novanta scriveva usando lo pseudonimo Sievers, scelto per richiamarsi a Wolfram Sievers, un nazista tedesco famoso per la sua collezione di ossa di ebrei assassinati, abbia sempre usato il termine Eurasia “per dare un suono più russo alle sue idee naziste”.

Dopo aver perorato la causa di “un fascismo rosso e senza confini”, agli inizi del XXI secolo Dugin, dovendosi confrontare con il successo dell’Unione Europea, inizia a parlare di “un’Eurasia che avrebbe dovuto includere l’Ucraina come elemento della civiltà russa”. L’ucrainofobia, l’antisemitismo e l’odio per l’Occidente lo portano a fondare nel 2005 un movimento giovanile, sostenuto dallo Stato, i cui membri chiedono la disgregazione e la russificazione dell’Ucraina. Nove anni più tardi Dugin, nel frattempo divenuto uno degli ideologi e degli spin doctors del Cremlino, sarà tra i massimi sostenitori dell’intervento russo in Donbas. Sarà proprio lui a fabbricare la fake news secondo cui l’esercito ucraino durante la ‘primavera russa’ avrebbe crocifisso un bambino nella città di Slovyansk.

Con l’occupazione della Crimea e la guerra in Donbas caldeggiate da Dugin e dal circolo fascista di Prokhanov la Russia di Putin inaugura una nuova era nella sua storia quella dello schizofascismo. Scrive acutamente Snyder come la ‘primavera russa’ abbia portato alla ribalta “una nuova varietà di fascismo, che si potrebbe chiamare schizofascismo: i veri fascisti che chiamano «fascisti» gli avversari, accusando gli ebrei dell’Olocausto e usando la Seconda guerra mondiale per giustificare ulteriori violenze”.

Putin arrivò a definire fascisti gli ucraini che si opponevano all’invasione del Donbas. La politica estera russa del 2014 era molto simile a quella praticata da Hitler e da Stalin negli Anni Trenta. Per giustificare l’invasione dell’Ucraina il ministro degli Esteri russo Lavrov “ribadì il principio secondo cui uno Stato poteva intervenire per proteggere chiunque considerasse un rappresentante della propria cultura”. Ossia la stessa argomentazione usata da Hitler per annettere l’Austria, per dividere la Cecoslovacchia e per invadere la Polonia nel 1938 e nel 1939, e la stessa usata da Stalin per invadere la Polonia nel 1939 e annettere i Paesi Baltici nel 1940.

 

Il caso Trump

Nel capitolo Verità o menzogne Snyder, dopo aver spiegato che attraverso la dezinformatsiya diffusa da social media, spesso attraverso account fake (bot) e troll, la Russia ha consolidato la sua politica dell’eternità, passa a esaminare casi concreti di fake news utilizzate per riorientare le opinioni della gente su temi sensibili, come l’immigrazione, capaci di creare delle fratture all’interno delle democrazie occidentale in Europa e negli Stati Uniti.

Approfondendo con dovizia di particolari e veri e propri case studies (abbattimento del MH17 in Donbas, Brexit e presunto stupro, in realtà mai avvenuto, di una cittadina tedesca di origini russe da parte di un immigrato) temi cruciali quali guerra ibrida e uso manipolativo dei social, questo capitolo risulta propedeutico a quello finale Uguaglianza e Oligarchia, in cui l’autore svela i contorni dell’operazione che ha portato nel 2016 all’elezione negli Stati Uniti di Donald Trump. Sicuramente il più grande successo assieme alla Brexit della guerra di Putin contro l’Occidente.

“Dopo aver usato i propri bot su Twitter per incoraggiare il «Leave» nel referendum sulla Brexit, la Russia li rimise all’opera negli Stati Uniti. In diverse centinaia di casi (come minimo), gli stessi bot che avevano lavorato contro l’Unione Europea attaccarono Hillary Clinton; la maggior parte dei messaggi dei bot stranieri erano pubblicità negativa nei suoi confronti. […] Troll e bot russi si mossero anche per sostenere direttamente Trump nei momenti cruciali: lodarono lui e la Convention nazionale repubblicana su Twitter, e quando Trump dovette affrontare il difficile momento del dibattito con la Clinton, troll e bot russi riempirono l’etere con dichiarazioni che sostenevano che aveva vinto o che il dibattito era stato in qualche modo manovrato contro di lui. Negli Stati in bilico vinti da Trump, l’attività dei bot si intensificò nei giorni prima delle elezioni. Il giorno stesso delle votazioni, i bot stavano lanciando l’hashtag #WarAgainstDemocrats («Guerra ai Democratici»)”

 

Conclusioni

La lettura del saggio di Snyder, finora l’unica opera capace di analizzare in dettaglio, con tanto di evidenze empiriche e in ottica sistemica, l’attacco portato al mondo liberale dal Cremlino, scuote le nostre coscienze e ci desta dal torpore in cui siamo vissuti per un quarto di secolo convinti che l’Occidente e i suoi valori avessero trionfato.

L’unico modo per difendere il mondo libero e pluralista dalle minacce esterne è rigettare l’idea che l’eternità e l’inevitabilità siano la storia e riappropriarsi della verità.

“Tutte le virtù dipendono dalla verità, e la verità dipende da tutte le altre. In questo mondo, la verità ultima resta irraggiungibile, ma la sua ricerca allontana gli individui dal rischio di perdere la libertà. […] L’autoritarismo nasce quando non siamo più in grado di indicare la differenza fra ciò che è vero e ciò che risulta attraente. Allo stesso tempo, il cinico che stabilisce che non esiste nessuna verità è il cittadino pronto ad accogliere a braccia aperte il tiranno”.