Di Maio

Gli oppositori della maggioranza gialloverde sostengono, con buone ragioni, che “il nuovo governo sta rovinando l’Italia” o che “il populismo porterà il nostro Paese alla deriva” o ancora che “stiamo mettendo a rischio i fondamenti della democrazia liberale”. Tutto vero - per chi ci crede, ovviamente. Ma tutto secondario, rispetto a un problema che sta a questi pericoli come la causa alle sue conseguenze e che si può riassumere in questa domanda: “Perchè gli italiani hanno voluto tutto questo? Perchè pensano a grande maggioranza di potersi “salvare” così?”

Per rispondere correttamente a questa domanda penso occorra ammettere che il grande “cambiamento” promesso dal nuovo Governo è in realtà in perfetta continuità culturale e ideologica con il (peggiore) passato politico del nostro paese. La nostra storia ci vede sempre in prima linea come paese assistenzialista, con un forte e invadente ruolo dello Stato (il livello dell’imposizione fiscale e del debito pubblico lo dimostrano in modo eloquente). La gran parte degli elettori sono da sempre abituati ad avere un rapporto di scambio diretto con la politica, e a cercare l’aiuto di quella grande mano invisibile (che non ha niente a che vedere con quella di Smith, anzi) che li aiuta a studiare, a curarsi, a lavorare ...e che avrebbe il "dovere" di farlo. Qualunque disoccupato, in Italia, pensa che la sua condizione sia “colpa” dello Stato. L’assuefazione allo Stato è una condizione di dipendenza culturale e psicologica.

Oggi i cittadini chiedono sempre più Stato, dalla quantità alla qualità degli interventi, pensando che la grande mano invisibile pubblica possa dar loro lavoro, soldi, felicità e chi più ne ha più ne ha più ne metta. Il problema principale è che la gran parte dei cittadini vogliono tutto questo senza impegnarsi in prima persona per ottenere ciò che desiderano e senza ammettere che le condizioni economiche e sociali dell’Italia sono la conseguenza di scelte politiche sbagliate, ma anche delle scelte di milioni di persone, che non possono considerarsi tutte “innocenti”.

Così si entra nel meccanismo di assuefazione statale dove tutto ci è dovuto indipendentemente dal nostro merito. La cosa più semplice da fare, è quindi quella di inveire contro chi ce l’ha fatta, contro il “sistema” e contro lo stesso Stato che anni prima ha sempre accontentato tutti i bravi bambini, un po’ come Babbo Natale. Oggi, che lo Stato non può più elargire assistenza a chiunque, si assiste parallelamente a una perdita di volontà di fare e a una cultura del mediocre che pone il cittadino davanti a una reazione unilaterale: la situazione è questa per cui mi adeguo, “tanto siamo tutti sulla stessa barca”.

Il populismo in Italia è in primo luogo la sindrome di astinenza di un Paese in cui è finita la “droga” assistenziale. Si tratta della versione domestica di quella che Alain Deneault chiama “mediocrazia”. Il mediocre non fa nulla per formarsi o per provare a cambiare le cose; il mediocre agisce in gregge e si sente sicuro nella sua mediocrità. Insomma, il mediocre non pensa a creare la sua realtà, ma a opporsi alla realtà che non lo soddisfa e che subisce passivamente.

Gli stessi cittadini hanno iniziato quindi a lamentarsi della classe politica, degli sprechi, degli abusi. Questi sono gli stessi individui che lavorerebbero tranquillamente (o stanno lavorando, o hanno lavorato) per raccomandazione politica o che farebbero di tutto per riuscire a saltare la fila alle Poste il sabato mattina. La politica è lo specchio del popolo. Piuttosto che puntare il dito sui politici, iniziamo a guardare cosa c’è che non va nel nostro giardino. Se vogliamo cambiare realmente il paese, dovremmo cambiare prima noi stessi ed è esattamente questa la cosa che la gran parte degli italiani non vogliono fare.

Siamo cittadini liberi di avere buone idee e liberi di realizzarle. Se mancano, prendiamocela con noi stessi e chiediamoci che uomini siamo. Ci siamo educati alla curiosità, allo studio, alla formazione e allo spirito critico? Se la risposta è no, prendiamocela ancora una volta con noi stessi. Il governo e la politica fanno schifo? Prendiamocela con noi stessi, abbiamo votato male o potevamo fondare un partito in assenza di alternative. Non ho il lavoro o quello che ho non mi piace? Bene, non piangiamoci addosso e facciamo in modo di acquisire competenze spendibili per cui altri sono disposti a pagare. Questo è però ciò che il “popolo populista” non vuole neppure sentire nominare.

Il reddito di cittadinanza, per esempio, è mediocrazia allo stato puro. Ancora una volta si vede la grande mano pubblica prendere il cittadino nullafacente e inserirlo in un contesto lavorativo che, oltre ad essere ormai sempre più ridotto, non gli appartiene. Altro esempio? Il nostro ministro Luigi Di Maio è il portabandiera di questa cultura, l’uomo medio, potrebbe essere tranquillamente il nostro vicino di casa che non ha completato gli studi, che non trova lavoro e che inveisce contro il Governo... Mi spaventa molto il fatto che milioni di persone vogliano davvero far prendere decisioni politiche complicatissime ad un ministro che ricorda loro il vicino che inveisce contro il Governo per un proprio fallimento.

Possiamo vedere il populismo quasi come il trionfo della mediocrazia. Possiamo certo vederlo come la vittoria del popolo - e in un certo senso lo è - ma chi o cosa sia diventato questo popolo non interessa a nessuno, anche perchè bisognerebbe ammettere che oggi è diventato al massimo grado ciò che in realtà è sempre stato e che una cattiva politica lo ha educato a essere.