bannonlepenHa ragione Steve Bannon. Ha ragione perché lo scontro politico elettorale, come dice, è ormai quello tra globalisti e nazional-populisti, non (più) quello destra vs sinistra. Ha ragione quando dice che la “storia è dalla nostra parte”, dalla parte dei nazional-populisti (come lui chiama il movimento di cui si sente un ispiratore), o almeno sembra proprio esserlo negli USA e in Europa. Ha ragione quando dice che l’Italia potrebbe essere determinante per l’implosione (da lui auspicata) dell'UE e dell’Euro. Ha ragione quando dice che M5S e Lega sono espressione di uno stesso fenomeno sovranista e populista e che dovrebbero governare insieme contro l’establishment di Roma e Bruxelles (anche se Di Maio un po’ troppo di sinistra e Salvini meglio).

Bannon ha arringato la platea del Front National: “lasciate che vi chiamino razzisti, nativisti, omofobici, islamofobici... lottate per il vostro paese e vi chiamano razzisti... lottate per la libertà e vi chiamano xenofobi... portate questi insulti come medaglie d’onore. I giorni in cui questi insulti funzionavano sono finiti. Noi diventiamo più forti, loro più deboli”. Dicendo che Bannon ha ragione non intendo per nulla usare una chiave paradossale. Lui, che è un ideologo del “movimento globale nazionalista e populista”, spiega esattamente quali siano i contenuti di questa svolta politica accelerata e vincente, di cui abbiamo visto un’esplosione domenica 4 marzo in Italia.

Bannon mette al centro della sua rivoluzione il ceto medio, che sarebbe vittima della globalizzazione che toglie prosperità e vittima dei migranti che sottraggono posti di lavoro. Non cita la tecnologia come fattore di spiazzamento, perché farebbe saltare il paradigma del “massacro americano”. Queste invece - globalizzazione e immigrazione - sarebbero le colpe dell’establishment e per questo bisogna aggredire le sovrastrutture dei governi e restituire gli stati ai cittadini (la visione Grillo-Casaleggio). Sul piano internazionale, alleandosi nel frattempo con la Russia, bianca ed antislamica. Si tratta, in effetti, di una piattaforma ideologica su cui si sono posizionati Lega e M5S ottenendo un successo straordinario e mandando KO il resto delle proposte politico elettorali.

Il bipolarismo “aperto vs chiuso” di cui abbiamo scritto negli ultimi tre anni su Strade, ha i suoi interpreti e oggi i suoi netti vincitori. Dobbiamo accettare il responso delle urne dove il popolo sovrano si è espresso. In molti possono pensare che la fine della democrazia rappresentativa, e del costituzionalismo liberal-democratico, sia un obiettivo lungimirante e che la democrazia istantanea in rete costituisca un migliore presidio di libertà e partecipazione. Oppure che l’Unione europea sia (divenuta) una dannosa sovrastruttura burocratica che conculca la libertà dei popoli e delle nazioni e impoverisce i ceti medi. Oppure che i dazi e la rinuncia a un commercio internazionale basato sulle regole porteranno maggiore occupazione senza penalizzare l’Italia del Made in Italy, sempre più esportato nel mondo. Oppure che la Corte Europea dei Diritti Umani debba diventare un organo consultivo e che le stesse Nazioni Unite vadano ridimensionate per lasciare posto ad accordi ad hoc tra potenze.

Le semplificazioni non colgono le sfumature, a volte decisive, ma quasi sempre colgono l’essenza: valeva per il giudizio sul PCI o sulla DC nella lontana storia dell’Italia della Prima Repubblica; valeva per il Tatcherismo e poi il Blairismo, per Obama o per Trump. Gli elettori probabilmente non pensano nell’immediato ad un destino così diverso per l’Italia, che si voti Salvini o Di Maio o Bonino. Ma io credo che il risultato del 4 marzo vada letto come ha fatto Steve Bannon, inserendo il successo di Lega e M5S in un contesto più ampio, di marcia vittoriosa dei movimenti nazional populisti: “l’Italia è ormai il centro del mondo in rivolta”; e per l’oggi sembra avere ragione.

Uso le parole dell’ex capo strategia di Trump non perché consideri oro colato ciò che dice o pensa, ovviamente, ma perché ho visto già abbastanza analisi e dichiarazioni tese a spiegare il successo di Di Maio e Salvini in modo molto diverso, meno radicale e più “business as usual”. Forse pensando che le parole e i progetti dei leader in fondo non contino, che alla fine gli elettori hanno votato per ottenere altro da quello che veniva loro offerto e altro otterranno. Una lettura rassicurante, di una scossa salutare piuttosto che di un drastico cambio di paradigma. In fondo, ci dicono e ci diranno, un cambiamento serviva, gli elettori volevano solo dare un segnale e lo hanno dato. Salvini e Di Maio, ci spiegheranno, hanno capito il disagio e saputo parlare al cuore delle persone, bisogna pensare all’interesse dell’Italia ed aiutarli a usare questo consenso per il meglio. Ma questo significa aspettarsi che nessuno cancellerà la Fornero, applicherà la flat tax, concederà un reddito di cittadinanza, se ne fregherà dei vincoli europei, opererà per i dazi ed espellerà gli stranieri irregolari; insomma una politica pantomima come alternativa ai governi degli ultimi anni.

Lo so, chi ha perso dovrebbe interrogarsi sulle ragioni del proprio fallimento. Giusto: si è fatto, si fa e si farà senza remore. Ma, semplicemente, credo sia importante anche spiegarsi le ragioni e i contenuti della vittoria degli altri e prefigurarne le conseguenze. Dopo la Brexit e la vittoria di Farage, con temi ed argomenti sovrapponibili a quelli di Salvini e Di Maio, il successo di Macron ha arrestato l’onda della demagogia nazionalista ed antieuropea. Le elezioni italiane hanno riaperto la partita e riportato in vantaggio i profeti del mondo chiuso e dell’antieuropeismo. Fra quattro anni, con le nuove elezioni in Germania e in Francia, la costruzione europea potrebbe subire un colpo finale. O forse no, ma il gioco sarà durissimo e l’esito niente affatto scontato.

Vedere l’avversario per quello che è, serve a prendere le misure della sfida durissima che abbiamo davanti noi che crediamo che stato di diritto, diritto internazionale, cooperazione multilaterale, mercato unico e soprattutto integrazione europea siano il futuro migliore tra quelli possibili, in un mondo cambiato negli equilibri demografici ed economici per la forza della storia assai più che per le debolezze delle élite. E che avrà come futuro driver rivoluzionario della produzione e della distribuzione del reddito la tecnologia, prima che la globalizzazione. 

Le istituzioni sono di tutti e la democrazia ha portato al governo Salvini e Di Maio in Italia come Orban in Ungheria o Kurz e Strache in Austria. A loro il compito di governare. Noi dobbiamo costruire un’alternativa politicamente ed elettoralmente efficace: cercando di fare tesoro degli errori, naturalmente. Quando abbiamo dato vita a Forza Europa, lo abbiamo fatto alla ricerca di una “retorica uguale e contraria”, in termini di efficacia, a quella etnonazionalista e sovranista. Abbiamo pensato che si dovesse contrastare gli avversari non seguendoli sulla loro agenda ma contrapponendo loro un’agenda alternativa sull’immigrazione, sulla crescita e soprattutto sull’Unione europea, il vero centro simbolico dello scontro in corso. Abbiamo fallito nell’obiettivo. Lo abbiamo fallito in modo selettivo: abbiamo tenuto e “vinto” nelle città, abbiamo perso nelle tante periferie, reali e simboliche. Un po’ come per la Brexit e per Trump.

Dovremmo ripartire (anche) da qui, noi che non crediamo alla opzione nazional-populista. Non rinunciare ma rilanciare, fare di più e meglio per spiegare e coinvolgere. Spiegare i rischi e coinvolgere nella formulazione e nella condivisione delle “nostre” soluzioni. Guardare in faccia le realtà senza filtri buonisti (per una volta usiamo noi un termine che ci è stato scagliato contro con veemenza....) e darle il volto e il pensiero di Steve Bannon può servire a questo. E forse servirà, ma di questo sono meno convinto, vedere all’opera dal Governo Di Maio e Salvini che tengono fede alle loro promesse. Servono energie, convinzione e fantasia. Vedremo nei prossimi mesi.

@bendellavedova