Social e mala politica. Il ban non è una soluzione, ma un problema
Diritto e libertà
I social, carini come sono, di Trump, come ne hanno fatto uno, ne fanno cento: ed è il punto, temo rimasto sullo sfondo (nel senso che hanno creato “l’ambiente” socio-tecno-culturale, anarcoide e alienato, che è concime per simili malepiante; dove il rancore è una virtù, e il tempo perso una ricchezza: e con una vastità e potenza assolutamente inedite).
Anche questa, s’intende, non è “la” causa” di una grave malattia democratica; ma fra le molteplici “frontiere” aperte dall’evoluzione tecnologica, è la più esposta a indesiderabili eterogenesi dei fini.
Il ban della venticinquesima ora, come ogni badoglismo, lascia in piedi più problemi di quanti non pretenda risolverne. Nè, su questo nevralgico terreno, dovrebbe essere difficile distinguere una preoccupazione fondata da una lamentazione strumentale e interessata (cioè, Merkel da Trump, in sintesi).
È stato eletto un balordo che la metà basta: e per quattro anni ha usato tutti i social disponibili, scrivendo bestialità una via l’altra. Insalutato ospite. Bisognerebbe poterne chiedere conto; come della gestione dei dati (e si dovrebbero sempre rammentare tutti i “dico e non dico” che Zuckerberg ha consegnato al Congresso nel 2018, in occasione del “pasticcio” di Cambridge Analytica).
Ma non si può, ora come ora: perché la via giudiziaria è congegnata ovviamente sul singolo individuo-ricorrente, e, ad esempio solo FB ha 3 miliardi di utenti (e anche le class action attengono al ristoro post-danno da “pratica commerciale scorretta”, e non al distinto aspetto del ruolo “regolatorio” assunto dai social).
Peraltro, solo da poco si è posto il problema della responsabilità “editoriale” (negli USA le esenzioni da responsabilità civile, “legal shield”, sono fondate sulla Section 230 del Communications Decency Act, che ieri, Thierry Breton, Commissario per il Mercato Interno della UE, presentava su “Politico” come ormai “collapsed”).
La dimensione oligopolistica, di fatto incontrollabile nella sua complessiva “forza operativa”, è sempre “naturalmente illiberale”, un problema di democrazia, meglio: di “efficacia democratica” in sè.
Tanto, è valso per il petrolio un secolo fa; vale oggi per l’1% della popolazione che controlla il 30% della ricchezza totale di un sistema mondiale: mille volte vale per la parola, in ogni tempo, ma sempre più in futuro.
Il paradigma giuridico-formale pubblico/privato, di fronte alla “dimensione”, si riduce inevitabilmente ad una fictio.
Occorre costruire una dimensione “alternativa”, collettiva, cioè giuridico-politica, che costituisca essa l’ultima istanza, su ciò che si può e su ciò che non si può dire; e, soprattutto, che risponda delle sue scelte a noi-cittadini e non a noi-account. Un “Goebbels-Massa” non è meno tossico di un “Goebbles-Persona”.
Un grande filosofo politico, Leo Strauss, ha spiegato che “la” questione sempre ineludibile, è costruire un Ordinamento capace di “conciliare una libertà che non sia licenza, con un potere che non sia oppressione”. Il “ban” non è una soluzione. Il “ban” è un problema.