FOIA italiano: fu vera trasparenza?
Diritto e libertà
(Public Policy / stradeonline.it) Si attendeva da tempo l’adozione del c.d. FOIA italiano – la legge base per l’accesso all’informazione pubblica - e forse per questo motivo si è deciso di non attendere oltre per svolgere qualche breve considerazione sul testo trapelato informalmente, non essendo ancora disponibile lo schema di decreto approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 21 gennaio.
Di certo, la mancanza di trasparenza di un testo normativo in materia di trasparenza - un vero e proprio ossimoro - non pare l’esordio migliore.
Il decreto segue gli annunci fatti nel corso degli ultimi anni dal Presidente del Consiglio, il quale, sin dal 2012, riassumeva sinteticamente via Twitter il senso e le finalità di un provvedimento che, analogamente al Freedom of Information Act statunitense, avrebbe consentito ai cittadini di controllare “la gestione della PA contro corruzione e inefficienze. Trasparenza totale con il FOIA”.
Il nuovo provvedimento nasce con lo scopo di sovvertire il c.d. paradigma della trasparenza configurato dalle normative previgenti: al cittadino viene riconosciuto un vero e proprio diritto alla richiesta di dati e notizie inerenti alle pubbliche amministrazioni, a qualunque fine e senza necessità di motivazioni, insomma una sorta di “accesso civico” illimitato. Dunque, la disclosure non è più limitata a quelle informazioni riguardo alle quali il richiedente sia titolare di un interesse specifico e qualificato - “diretto, concreto e attuale”, come previsto dall’art. 22 della l. n. 241/1990 (c.d. legge sul procedimento amministrativo) - idoneo a “motivare” la sua istanza di accesso a determinati documenti; né a quelle la cui pubblicazione sui siti web di determinati enti sia obbligatoria, come prescritto dal d.lgs. 33/2013 (c.d. decreto trasparenza). Il passaggio dal “need to know” al “right to know” rappresenta una sorta di rivoluzione, astrattamente idonea a realizzare un’amministrazione trasparente come la “casa di vetro” immaginata dall’onorevole Turati all’inizio del secolo scorso.
Le nuove regole in tema di disclosure sono state incorporate nel d.lgs. n. 33/2013 - “Pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni” - in parte aggiungendosi a prescrizioni già vigenti, in parte modificando altre disposizioni, nonché operando complessivamente una sistemazione dei relativi adempimenti ed alcune abrogazioni esplicite.
A nostro avviso, sarebbe forse stato più opportuno procedere alla contestuale abrogazione - con successiva riscrittura nel corpo del d.lgs. n. 33/2013 - del Capo V della menzionata legge n. 241/1990, rubricato “Accesso ai documenti amministrativi”, al fine di garantire una maggiore omogeneità e, contestualmente, evitare i continui rimandi alla previgente legge.
Un primo, sommario esame della bozza del provvedimento che circola in questi giorni mostra le prime crepe nel “vetro” della disclosure sui seguenti punti:
• mancanza dell’obbligo di motivazione da esprimere in caso di rifiuto e previsione del silenzio-rigetto: una considerazione equilibrata delle esigenze contrapposte dei soggetti interessati avrebbe reso necessario, a fronte dell’attribuzione ai singoli cittadini del diritto di richiedere informazioni alle amministrazioni, il corrispondente obbligo di queste ultime di provare l’esistenza di ragioni atte a impedire di soddisfare le istanze avanzate. Negli ordinamenti in cui vige un vero FOIA, l’onere di motivare il rigetto della domanda di accesso è posto a carico degli enti destinatari. Sul punto, il FOIA nazionale laconicamente prevede che “decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta”: dunque, al cittadino non resterà che presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale. Certo, si potrebbe far ricadere anche la nuova disposizione sotto l’egida del generale obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo, ma stupisce come un provvedimento in tema di trasparenza non espliciti il diritto di chi fa istanza di conoscere, in totale trasparenza, gli argomenti in base ai quali la P.A. non gli accorda l’accesso richiesto.
Il “cambiamento di verso”, così tanto auspicato e proclamato, potrebbe quindi subire una pericolosa inversione di marcia, tale da far tornare il cittadino al punto di partenza. Infatti, la “semplificazione” - consistente nell’attribuire a chiunque la possibilità di conoscere agevolmente atti amministrativi anche in assenza di un interesse qualificato e di una specifica giustificazione – rischia di tradursi nell’esatto opposto, ossia in una onerosa complicazione: decorsi invano trenta giorni, l’incombenza di adire le vie giudiziali per vedere riconosciute le proprie ragioni potrebbe gravare sul cittadino istante, senza che egli sia neanche a conoscenza delle motivazioni per cui l’amministrazione gli ha negato determinate informazioni;
• mancata previsione di sanzioni espresse per la PA e dirette per i funzionari/dirigenti: la nota farraginosità operativa della P.A., cui ora si aggiunge l’equiparazione del suo silenzio a un rigetto di accesso, la conseguente insussistenza in capo a essa del relativo obbligo di motivazione, nonché la mancanza di sanzioni a carico dell’amministrazione che neghi l’accesso agli atti in mancanza di fondati presupposti - ad esempio, qualora quegli atti non siano coperti da riserbo o segretezza - potrebbero facilmente indurre le P.A. a lasciar decorrere il termine disposto dalla legge. Eppure, la previsione di sanzioni in caso di accesso illegittimamente negato era uno dei “dieci punti” posti da Foia4Italy, in mancanza dei quali una nuova legge sulla trasparenza non avrebbe potuto definirsi un Freedom of Information Act. Per quanto riguarda, invece, gli “operativi” - funzionari e dirigenti - rimane pressoché invariato l’impianto del decreto n. 33/2013, con poteri sanzionatori rimessi all’Autorità nazionale anticorruzione, con proprio, adottando regolamento, nel rispetto delle norme previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689.
Le numerose eccezioni previste dal recente provvedimento all’obbligo di disclosure completano il quadro di una trasparenza non perfettamente compiuta: ad esse si aggiunga il segreto istruttorio cui sono tenute le autorità amministrative indipendenti, espressamente richiamate nel FOIA, con buona pace di chi ultimamente, a seguito dei recenti fatti che hanno interessato alcune banche italiane, auspicava la conoscibilità di atti e scambi di corrispondenza di organismi di vigilanza.
Dunque, se l’amministrazione potrà non assolvere - ingiustificatamente e altresì impunemente - a quanto richiesto dall’istante, cosicché quest’ultimo si troverà gravato dall’onere di agire in via giudiziaria per ottenere la trasparenza che gli è dovuta, il FOIA italiano - se verrà confermato nella bozza esaminata - non sarà così rivoluzionario come i relativi annunci l’hanno presentato. A farne le spese, come spesso accade, sarà il cittadino-contribuente che, in quanto tale, vanterebbe comunque, anche in assenza di una specifica legge, il diritto a conoscere dati e notizie su attività ed enti pubblici che egli stesso provvede a finanziare.
Fu vera trasparenza? ci si potrebbe domandare. Ma soprattutto: c’è bisogno di aspettare i posteri per poterlo valutare? Attendiamo il testo definitivo per vedere fugati - lo speriamo davvero - i nostri legittimi timori.
Questo articolo appare anche su #STRADEBLOG, il primo blog ospitato sul notiziario di un'agenzia di stampa, curato da Strade. Tutti i post di #STRADEBLOG diffusi da Public Policy - grazie per la fiducia e la collaborazione! - sono pubblicati, più o meno in contemporanea, su Strade.