E’ stato recentemente varato in via definitiva il cosiddetto Foia italiano - da Freedom of Information Act, che sta per Legge sulla Libertà (di accesso) all’Informazione (pubblica). Nelle intenzioni dichiarate si propone di fare della Pubblica Amministrazione una "casa di cristallo”, accessibile a chiunque sia interessato ad esplorarne gli anfratti.

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Tuttavia, se “forma è sostanza”, un testo di legge in materia di trasparenza dovrebbe essere trasparente a propria volta. Invece, così non sembra, in primo luogo per l’opacità creata dalle settimane di attesa della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Prima di tale pubblicazione e dati i lunghi tempi a essa necessari, sarebbe trasparente rendere noti i testi approvati - seppur con opportuno disclaimer sulla mancanza di ogni loro valore legale ai fini della vigenza - immediatamente dopo le sedute del Consiglio dei Ministri. Non è utopia, bensì quanto accade comunemente per i testi delle leggi “parlamentari”, verificabili in tutti i loro passaggi ed emendamenti fino alla definitiva approvazione. Stante l’ingente attività di normazione da parte dell’esecutivo, si tratta di un’esigenza sentita ed evidentemente rilevata anche dal Governo, che ha divulgato il testo del decreto, nella sua versione definitiva, sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri lo scorso 20 maggio, senza tuttavia dotarlo di alcuna “ufficialità”.

In secondo luogo, un provvedimento può dirsi trasparente solo se conforme a quei principi di qualità della regolazione che ne favoriscono la chiarezza e la semplicità, quindi, la conoscenza e l’applicazione. Di conseguenza, in occasione della annunciata “rivoluzione” del Foia, si sarebbe potuto – anzi, dovuto - riorganizzare in un unico corpus normativo il complesso di prescrizioni in tema di disclosure, come peraltro auspicato per ogni argomento settoriale dalla Commissione per la Semplificazione (2014). Infatti, le disposizioni in materia di trasparenza della P.A. sono attualmente contenute in parte nel d.lgs. n. 33/2013, robustamente integrato e modificato dal nuovo decreto Madia, e in parte nella legge n. 241/90, sul procedimento amministrativo.

Il riordino dell’intera materia avrebbe non solo agevolato i destinatari e gli interpreti della relativa disciplina, ma anche comportato la necessaria armonizzazione delle regole dettate dalle leggi richiamate, ora parzialmente sovrapponibili e per alcuni profili tra loro poco coerenti: basti pensare che il Foia prevede due tipi di accesso, uno “civico” per i casi di trasparenza su richiesta e un altro, “civico” anch’esso, già esistente, per l’omissione di pubblicazioni obbligatorie; mentre la predetta legge n. 241 ne prevede ancora un terzo, spettante ai titolari di “un interesse diretto, concreto e attuale”, fondato su presupposti diversi e assoggettato a un differente regime di eccezioni rispetto al primo menzionato.

L’ipotesi di uniformare la normativa sull’accesso, proposta dagli stakeholders auditi in fase di approvazione del testo, non è stata presa in considerazione, e non paiono esserne state sufficientemente esplicitate le motivazioni. L’opzione prescelta dal regolatore – vale a dire quella di mantenere i vari tipi di accesso, le relative discipline distinte di riferimento e i casi di esclusione solo parzialmente coincidenti – sembra la più adatta a comportare complicazioni, non solo interpretative, ma anche operative: potrebbe verificarsi che il cittadino, al fine di aumentare le probabilità di ottenere quanto chiede, presenti più istanze aventi il medesimo oggetto, ai sensi di ciascuna delle leggi indicate. Ne scaturirebbe un inevitabile intasamento istruttorio per gli uffici della P.A., così gravati da richieste eventualmente duplicate, ognuna delle quali sottoposta a prescrizioni diverse.

Sempre nel rispetto dei canoni di better regulation, nonché in conformità a quanto raccomandato in via generale dalla citata Commissione per la Semplificazione, sarebbe stato meglio evitare i molti richiami ad articoli di altre leggi che, obbligando alla composizione di una sorta di puzzle regolatorio, ostacolano l’agevole conoscenza del dettato normativo: un assurdo, specie per un testo in tema di diritto alla conoscenza. A ciò si aggiunga il singolare rimando del Foia a un decreto non esistente al momento della sua emanazione, riguardante il riordino delle società a partecipazione pubblica e, in particolare, una nuova definizione di società in controllo pubblico, necessaria a definire l’ambito soggettivo di applicazione del Foia stesso. Forse il regolatore reputava che tale decreto venisse licenziato prima di quello in discorso e che il rimando sarebbe stato colmato con i relativi riferimenti: invece, dato che il testo non è ancora stato approvato, anche a causa dei pesanti rilievi formulati da parte del Consiglio di Stato (che hanno caratterizzato l’iter consultivo di tutti i decreti della riforma Madia, con esiti in alcuni casi surreali, come per quello inerente al Codice dell’Amministrazione Digitale), esso è stato identificato all’interno del Foia mediante il richiamo all’articolo della delega in attuazione della quale verrà emanato.

Il metodo utilizzato, da un lato, crea un vuoto normativo fino a quando il decreto sulle partecipate non sarà varato; dall’altro, aggiunge confusione a quadro regolatorio già poco chiaro. Infatti, anche quando il decreto di riferimento sarà vigente, continuerà a sussistere il rimando, anziché ai suoi estremi ufficiali, alla legge su cui esso trova fondamento. All’interprete, di conseguenza, non resterà altro da fare che addentrarsi nell’ordinamento alla ricerca di misterioso decreto, cosa - eufemisticamente - bizzarra per una disciplina in materia di disclosure.

Quanto alla sostanza del testo, nonostante il governo abbia operato diverse correzioni rispetto a quello originario accogliendo molti suggerimenti della società civile, la portata della rivoluzione annunciata appare ridimensionata: se il Foia ha – tra le altre cose – lo “scopo di favorire forme diffuse di controllo (…) sull'utilizzo delle risorse pubbliche”, il fatto di rendere in molti casi più difficoltosa, o addirittura negare, la conoscenza su ambiti nei quali esse vengono impiegate appare poco coerente. Ad esempio, rispetto alla versione del gennaio scorso, l’area dei destinatari è stata ristretta in maniera rilevante mediante la previsione di maggiori requisiti per alcuni soggetti facenti parte della galassia dello Stato; inoltre, sono stati esclusi dall’obbligo di trasparenza gli incarichi a titolo gratuito, “ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione”, come se la gratuità esentasse dal rendere conto circa la scelta di soggetti che potrebbero concorrere a decisioni, anche di spesa, riguardanti la collettività e non potesse essere addirittura un’aggravante nei casi di manifesta opacità.

Soprattutto, continuano a sussistere amplissimi casi di eccezioni alla disclosure, teoricamente idonei ad evitare una molteplicità di accessi: se concetti come “sicurezza pubblica e ordine pubblico”, “sicurezza nazionale”, “difesa e questioni militari” sono ormai entrati nel linguaggio giuridico come ambiti off limits anche in forza della citata legge n. 241/1990, troppo vaghe e onnicomprensive restano le definizioni di “relazioni internazionali” o di “politica e stabilità finanziaria ed economica dello Stato”, mentre non è chiaro in cosa gli elementi relativi a “indagini sui reati e il loro perseguimento” differiscano dai dati sensibili per i quali vige già una tutela a sé da parte dell’ordinamento. Quanto agli interessi privati da salvaguardare, se “la protezione dei dati personali” o “la libertà e la segretezza della corrispondenza” paiono concetti ovvi, molto più generico sembra il riferimento agli “interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica”, nonostante vi siano compresi espressamente “la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali”. Le predette fattispecie risultano quindi troppo ampie e, probabilmente, eccedenti la delega che si limitava a menzionare “casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dall'ordinamento e nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati”. Nonostante il Foia preveda che le eccezioni elencate vengano sostanziate e dettagliate mediante linee guida elaborate dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali, si prospettano, comunque, anche sotto questo profilo, difficoltà interpretative e applicative notevoli.

Inoltre, il sistema trasparenza-eccezioni, così come elaborato dal regolatore, non sembra orientato verso la massima apertura della pubblica amministrazione, stante il concorso di due elementi da considerare congiuntamente. In primo luogo, le linee guida, strumenti di soft law, per definizione non dettano obblighi, né è stato previsto diversamente nel decreto in esame: la P.A. resta pertanto titolare di una discrezionalità molto ampia nella valutazione di un eventuale pregiudizio “concreto” che induca a respingere l’istanza di accesso. In secondo luogo, per l’ipotesi di dinieghi pretestuosamente motivati nell’esercizio della discrezionalità citata, non sono previste sanzioni dotate di reale efficacia deterrente, né la moral suasion che le “indicazioni operative” fornite da parte dell’ANAC potranno esercitare nei confronti delle P.A. sembra essere fattore determinante. La combinazione dei due elementi esposti rende evidente come il meccanismo elaborato non possa dirsi realmente idoneo né a spingere l’amministrazione a puntuali comparazioni ponderate nelle istruttorie di istanze di trasparenza, né a tutelare il soggetto istante circa l’ottenimento delle informazioni richieste.

Nel nuovo testo del Foia, oltre al ricorso in sede giudiziale, è stato previsto che coloro cui sia stato negato l’accesso possano adire, per il riesame, il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza dell’amministrazione alla quale sia stata rivolta la richiesta o il difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, altrimenti quello competente per l'ambito territoriale immediatamente superiore. La soluzione prescelta desta qualche dubbio. Innanzitutto, il responsabile suddetto non assicura la terzietà necessaria all’organo di seconda istanza, non solo perché appartenente all’amministrazione che ha adottato alla decisione oggetto di giudizio, ma altresì in quanto potrebbe aver contribuito all’adozione della decisione stessa: potrebbe così trovarsi a giudicare un diniego cui egli stesso ha concorso. Inoltre, quanto al difensore civico, la relativa previsione potrebbe risultare discriminatoria per coloro nelle cui aree territoriali tale figura non sia presente, rendendo per essi i ricorsi più difficoltosi. Lascia perplessi la circostanza che la soluzione più equilibrata - il ricorso ad ANAC, oltretutto già previsto della stessa legge delega sotto forma di “procedure di ricorso all’Autorità nazionale anticorruzione in materia di accesso civico”, in aggiunta alla tutela di tipo giurisdizionale - non sia stato preso in considerazione nella versione finale del testo. Si sarebbe trattato di un caso in cui l’affidamento di poteri all’Autorità guidata da Cantone avrebbe avuto un solido fondamento.

In conclusione, si evidenzia la necessità che venga costituito un Osservatorio – la cui istituzione e i cui compiti avrebbero meritato di essere inseriti nel testo del decreto - per monitorare l'attuazione del Foia, con la partecipazione di soggetti terzi e indipendenti. Tale organismo dovrebbe essere preposto ad accertare se il provvedimento sia stato adeguatamente implementato dalle amministrazioni competenti e come abbia funzionato in concreto, nonché a verificare che abbia realmente ottenuto gli esiti previsti e apportato valore aggiunto: ciò consentirebbe di poter effettuare, decorso un congruo periodo di tempo, una solida verifica di impatto (VIR), soprattutto considerato che, come spesso accade, non sembra essere stata svolta una preventiva analisi (AIR) adeguata sul decreto in discorso, come è facilmente desumibile dalla relazione accompagnatoria al testo, oltre che dal parere del Consiglio di Stato.

Una rivoluzione molto vantata nelle parole con cui è stata descritta necessita di essere accertata nei fatti. Se quanto sopra esposto ne costituisce una valutazione ex ante, il riscontro ex post sarà forse ancora più importante. Un regolatore che oggi è stato troppo timido nel realizzare la trasparenza annunciata, domani saprà essere severo con se stesso nel rilevare errori e fattori di inefficacia, apportando al testo le eventuali correzioni? Il dubbio resta.