Il capitalismo di relazione è vivo e lotta insieme a noi
Secondo Matteo Renzi il capitalismo di relazione è morto. Ma se è ancora in piedi il sistema di incentivi perversi che lo sostengono, a cominciare da una giustizia civile da Terzo Mondo e da un'inadeguata protezione degli investimenti, è probabile che con il capitalismo di relazione avremo a che fare ancora a lungo.
"Voi imprenditori dovete tirare su l'ancora, dovete avere il coraggio di aprire le vostre aziende. Dovete essere parte di un sistema nervoso più ampio, e provare a governare le aziende con i mercati del capitale. È arrivato il momento di mettere fine a un sistema basato più sulle relazioni che sulla trasparenza, come chiede l'Italia". Lo ha detto recentemente il Presidente del consiglio Matteo Renzi parlando nella sede della Borsa di Milano, all'inizio di maggio. Aggiungendo che "il sistema che poneva la relazione come elemento chiave di un Paese in cui giornali, banche, imprese, fondazioni bancarie, partiti politici hanno pensato che si potesse andare avanti tutti insieme dialogando e discutendo, è morto".
Se il capitalismo di relazione è morto, allora dobbiamo esserci persi il funerale, al quale avremmo invece partecipato volentieri. Il problema è che, invece, il capitalismo di relazione in Italia gode ancora di ottima salute, dal momento che non sono mai venute meno le ragioni per le quali esso permea tanto profondamente il sistema economico italiano.
Il capitalismo di relazione non ci è piovuto in testa dal cielo. Non è il frutto di una congiuntura astrale sfortunata, che ha messo l'Italia in mano a cattivi capitalisti, e l'Inghilterra (per fare un esempio a caso) in mano a uomini d'affari trasparenti e cristallini. Il capitalismo di relazione è il frutto, marcio e bacato, di un sistema di incentivi grazie al quale i rapporti economici non possono svilupparsi altrimenti. Alla base di questi incentivi perversi c'è, prima di tutto, la giustizia che non funziona, in particolare quella civile.
"Contracts enforcement" è un'espressione che è difficile tradurre in italiano corrente, e che vuol dire, a grandi linee, "far rispettare i contratti", applicarli, dar loro esecuzione. È la base di un sistema economico efficiente, nel quale gli investimenti sono adeguatamente protetti. Significa che se Tizio presta dei soldi a Caio, e Caio scappa con la cassa, ci sono buone possibilità che un giudice prenda Caio per un orecchio e gli faccia, in tempi rapidi e certi, passare la voglia di riprovarci. E che in tempi altrettanto rapidi e altrettanto certi Tizio riveda i suoi soldi. Questo è l'ambiente "giuridico" migliore per scegliere il modo più efficiente e remunerativo di investire il proprio denaro, per affidare le redini di una società al manager migliore, per intrecciare le relazioni commerciali più solide e performanti. L'ambiente in cui i contratti si rispettano, e in cui c'è sufficiente fiducia che vengano fatti, in tutti i casi, rispettare.
Chiaramente non stiamo parlando dell'Italia. In Italia, se Caio scappa coi soldi di Tizio, è probabile che Tizio si debba mettere l'anima in pace.
Il rapporto "Doing Business" della Banca Mondiale, arrivato alla dodicesima edizione nel 2015, raccoglie alcuni indicatori per valutare l'attrattività di un paese per gli investitori internazionali. Uno di questi si chiama proprio "contracts enforcement" e misura l'efficienza della giustizia civile attraverso il tempo necessario per riscuotere un credito commerciale attraverso il ricorso a un tribunale. Ecco, in questa particolare classifica ci collochiamo al 146esimo posto su circa 190 paesi. Significa che moltissimi paesi del terzo mondo hanno una giustizia civile che funziona meglio della nostra, e che siamo lontani anni luce dalla media europea e da quella dell'area Ocse. E infatti sappiamo bene come in Italia si ricorra spesso ai tribunali non tanto per veder riconosciuto un diritto calpestato, quanto come sistema dilatorio per ritardare il riconoscimento di un torto perpetrato ai danni di qualcuno. D'altronde siamo il paese in cui la minaccia che intimorisce di più non è "le faccio causa" ma "mi faccia causa".
Ora, per tornare a Tizio e ai suoi soldi, se le prime esperienze non gli avranno fatto passare definitivamente la voglia di investire e fare affari in Italia, è probabile che si rassegnerà a trovare altri sistemi per garantire che le sue relazioni commerciali, le sue scelte imprenditoriali e i suoi investimenti vadano, per così dire, a buon fine. E se non sarà il "fine" migliore di tutti, sarà almeno un "fine" accettabile. Cercherà di garantirsi le amicizie migliori, di intrattenersi con la gente giusta, nei salotti meglio frequentati. Alla fine sarà più o meno sicuro che, se i suoi affari si svolgeranno all'interno di quella cerchia di relazioni, correrà meno rischi di venire fregato, e che, se sarà fregato, magari riceverà qualche compensazione.
Ecco, semplificando all'osso, come nasce il capitalismo di relazione. Anno dopo anno, generazione dopo generazione, queste relazioni diventano un vero e proprio sistema, che si va progressivamente aggrovigliando attorno a ogni ganglio dell'economia, del credito e della politica – qualcuno ha detto "fondazioni bancarie"? – e che terrà rigorosamente fuori chiunque non si adegui alle sue regole non scritte. Certo, alla fine avremo (e abbiamo) una classe imprenditoriale che si è forgiata in questo ambiente, e quindi una (complessivamente) cattiva classe imprenditoriale, mediamente inadeguata ad affrontare la competizione internazionale, soprattutto laddove si compete secondo le regole "giuste", quelle che premiano il migliore, non il meglio ammanicato.
C'è anche questo dietro al declino italiano, così come dietro all'incapacità di questo paese di produrre innovazione. Perché dietro a qualsiasi innovazione, lo spiegava efficacemente Nicola Persico su Lavoce.info, c'è sempre un Caio con una buona idea e un Tizio con i soldi per realizzarla, ma se i soldi di Tizio arriveranno a Caio o meno, questo dipenderà dall'ambiente giuridico in cui i due potranno fare un contratto, e dalla possibilità concreta che quel contratto venga fatto rispettare.
Altrimenti Caio se ne andrà in America a farsi finanziare la sua idea, e a Tizio rimarranno i frequentatori del suo "salotto buono". E infatti gli Stati Uniti, che sull'innovazione sono in testa a tutti gli indicatori, sono anche ai primi posti della classifica Doing Business sulla protezione degli investimenti. Probabilmente non è un caso.
INDICE Maggio/Giugno 2015
Editoriale
Monografica
- La Via della Seta, tra insidie e opportunità
- Le Vie della Seta: un passo dopo l’altro, attraversare il mondo
- La Banca asiatica d'investimento, ovvero leggere Adam Smith a Pechino
- Oltre il Dragone: l’integrazione commerciale nel Sud-est asiatico
- A Sud della seta: gli accordi commerciali tra l'UE e i Paesi dell'ASEAN
- Taiwan e Hong Kong, due sfumature di grigio per Pechino
- Il futuro del Giappone: baluardo d'Occidente o coprotagonista asiatico?
- "Singapore condannata all'eccellenza, per l'Italia è un'opportunità enorme"
Istituzioni ed economia
- L’immigrazione come le droghe: quando il proibizionismo non produce risultati
- Chi rimpiange Gheddafi non è cinico. È cieco
- Spesa pubblica, il vero problema è lo spreco a norma di legge
Innovazione e mercato
- Centri per l’impiego? Non pervenuti. Jobs Act a rischio fallimento
- Tutti contro la cementificazione: da premesse ideologiche, una legge sbagliata
Scienza e razionalità
- L’Expo senza scienza non nutre né le menti né il Pianeta
- No, l'olio di palma non fa male alla salute