L'approccio scientifico è profondamente controintuitivo, forse inadatto a rappresentare al grande pubblico l'anima di una manifestazione come Expo2015. Ma la scelta di tenere fuori la scienza dal racconto di Expo è più grave di quanto immaginiamo.

Ferrario expo grande

Tra le frasi di circostanza dell'inaugurazione di Expo 2015 è interessante la risposta di Andrea Bocelli alla domanda del conduttore televisivo Paolo Bonolis: "Cosa fa un ambasciatore Expo come te?". È stata una risposta sincera: "Non lo so, io non faccio nulla, per lo più sono un simbolo".

Sul ruolo degli ambasciatori qualcosa in più ce la dice il sito ufficiale Expo: "una rete internazionale di opinion leader pronti a veicolare i principi legati al Tema cardine dell'Esposizione Universale... Gli Ambassador di Expo Milano 2015 sono i portavoce del messaggio dell'evento". Il sito internet ci dice anche chi sono questi ambasciatori: "Scrittori, sportivi, filosofi, personaggi dello spettacolo, attori, creativi, architetti, designer, chef, musicisti, cantanti, registi".

Una comitiva di 83 personaggi assortiti fra cui non si trova un solo esponente della ricerca scientifica. Questo la dice lunga sui simboli scelti e sul messaggio da convogliare: il senso comune è allergico alla scienza e l'establishment culturale attua la rimozione di ciò che provoca allergia. Una scelta deliberata, a guardare i numeri, che evidenziano anche una maggioranza di simboli e un gruppo ristretto di "opinion leader", oltre a un gruppo nutrito di non meglio definibili "comparse", personaggi che sembrano finiti lì per caso, con l'unico requisito fondamentale di non mettere in discussione l'ideologia dominante di tutta la manifestazione.

Si può pensare che gli scienziati siano stati interpellati per consulenze tecniche e che appariranno durante la manifestazione per dar vita ad approfondimenti: normale, in un Paese come il nostro, relegarli dietro le quinte e lasciar spazio a chi può attrarre più attenzione. Un'impostazione che forse soffre della tendenza a ritenere "cultura" solo ciò che riguarda le arti: letteratura, pittura, musica, scultura, architettura. Si aggiungono design, cinema, cucina, filosofia, sport, persino lo spettacolo d'intrattenimento, ma la scienza sembra ancora avere nella mente degli italiani il posto in cui la relegò Benedetto Croce: una pseudo conoscenza adatta agli "ingegni minuti", nulla a che vedere con le manifestazioni delle "grandi menti universali".

E infatti, ai volti e alle menti di persone che avrebbero potuto spiegare ai visitatori la complessità dei temi ambiziosi di Expo si sono preferiti quelli di persone come Vandana Shiva e Jeremy Rifkin, che ai dati tecnici sostituiscono pomposi quanto ideologici e vuoti disegni, pure se sostenuti da dati inventati. Così non solo si perdono tante informazioni valide in favore di bufale (valga come esempio quella dei suicidi di massa dei contadini indiani in reazione all'avanzata degli OGM, propagandata dalla Shiva) o di ideologie da salotto borghese, come la favola della decrescita felice: si perde anche l'occasione di rompere quello schema crociano che declassa la scienza al livello di una stramberia da cui stare alla larga.

La nostra società vive di simboli, ed escludere da essi una parte così importante della storia può avere delle conseguenze che forse non è facile comprendere nella loro gravità. Faccio un tentativo: In Nigeria una frangia estremista religiosa ha sabotato il programma di vaccinazione per la poliomielite del WHO diffondendo un'ipotesi di complotto per cui il mondo starebbe tentando di rendere le loro donne sterili attraverso i vaccini. "Terzo mondo"? In Italia un nutrito gruppo di artisti e personaggi pubblici ha alimentato una battaglia contro gli Ogm facendo leva sull'ipotesi che la Monsanto potesse aver diffuso un batterio per sterminare i nostri ulivi secolari e vendere i suoi ulivi Ogm. Cosa innesca reazioni tanto assurde? La mancanza di simboli, o la presenza di simboli distorti appioppati al sapere scientifico. Gli italiani (ma in fondo è un problema diffuso, come ha mostrato Silvia Bencivelli nello scorso numero di Strade) sono affascinati dalla scienza, ma degli scienziati non si fidano.

Perché, in fondo, chi è uno scienziato? È una persona che fa una cosa profondamente controintuitiva per l'istinto umano: si sforza di considerare i fenomeni non dal proprio personale punto di vista, ma dalla prospettiva più generale, condivisibile e replicabile possibile. Il che vuol dire andare contro l'esperienza stessa di vita di ciascuno di noi: l'uomo vive infatti in quella che lo scrittore americano David Foster Wallace ha chiamato efficacemente "l'impostazione predefinita", descrivendola meglio di Cartesio.

"Pensateci: non avete vissuto una sola esperienza che non vi vedesse al suo centro esatto. Per voi il mondo è una cosa che vi sta davanti o dietro, a sinistra o a destra, sullo schermo del televisore o su quello del computer. I pensieri e i sentimenti degli altri devono esservi comunicati, i vostri invece sono così vicini, pressanti, reali... [questa modalità predefinita] è per forza di cose profondamente e letteralmente egocentrica e vede e interpreta tutto attraverso la lente dell'io".

La scienza consiste nello scremare tutto ciò che ha a che fare con l'impostazione predefinita, formalizzando i fenomeni ed effettuando esperimenti che servano a comprenderli in un'ottica "oggettiva", cioè replicabile e confermabile da altri.

Questo processo spaventa, perché sembra che tagli fuori proprio la parte "più reale" della realtà, restituendoci un mondo fatto di cose che nessuno ha mai visto: io sento gli odori, non le molecole, vedo i colori, non le radiazioni, percepisco il calore, non certo lo stato di agitazione degli atomi! E, se si cerca di spiegare il motivo fisico (scientifico) per cui una medicina omeopatica è solo un placebo, dall'altra parte ci sarà sempre qualcuno che porterà la propria personale esperienza per dire: "con me ha funzionato!". Replicabilità contro individualità, sobrietà contro intimità, statistica contro soggettività: gli scienziati possono davvero sembrare pazzi visionari, se non si trova il modo giusto di comunicare in simboli comprensibili che quella realtà alternativa, fredda e "decentrata" ci permette di vivere meglio la nostra personale, vivida realtà.

Come se non bastasse, negli ultimi anni si è scoperto anche che la nostra "modalità predefinita" è basata su circuiti innati che rendono problematica la comprensione stessa dell'approccio scientifico: siamo strutturalmente e "biologicamente aristotelici", per dirla con Paolo Bozzi (Fisica Ingenua, Garzanti, 1990): "inclini a categorizzare il mondo in bianco e nero, potenza e atto, materia e forma, salute e malattia, moti naturali e moti violenti, ateniesi e barbari". Vittime inconsapevoli di quelle euristiche che ci hanno permesso di sopravvivere bene, ma che ora pongono problemi alla diffusione delle conoscenze e quindi all'applicazione pratica, tecnica e politica di una vita migliore.

Che fare, quindi? Forse la strada l'ha tracciata Galileo, che volle scrivere in dialetto e presentare le sue scoperte sotto forma di dialogo per avvicinarle alle persone, presentandole con simboli e soprattutto con tanta ironia. Ecco, l'ironia ci servirà anche per sopravvivere a questa Expo milanese rappresentata da nostalgici paladini della "modalità predefinita".