La leggenda nera del Fiscal Compact
In rete - e non solo - circola una leggenda secondo la quale le regole del Fiscal Compact ci costringeranno a tagliare il debito pubblico di 50 miliardi ogni anno per i prossimi vent'anni. E' una leggenda sulla quale molti euroscettici, tra cui Beppe Grillo, stanno costruendo la loro propaganda. Ma, come per tutte le leggende, anche in questa non c'è praticamente nulla di vero.
Su internet si trova un video in grado di far rabbrividire anche i più coraggiosi tra gli euroscettici. Si vedono due funzionari del Consiglio dell’Unione Europea in un stanza del palazzo Giusto di Lipsia, a Bruxelles. Indossano abiti grigi e tra le mani hanno pesanti faldoni di carta pregiata che inseriscono in una grossa stampante. Il video mostra i due funzionari mentre rilegano i fogli con nastri di tessuto rosso e li inseriscono tra due grosse copertine lucide, ottenendo una serie di volumi con la copertina blu scuro, decorata con il rilievo dorato del simbolo dell’Unione Europea.
Il video è stato girato il 2 marzo del 2012 e quei volumi contenevano il Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria che sarebbe stato firmato pochi minuti dopo dai capi di govrno di 25 paesi dell’Unione. Di questo trattato ne abbiamo sentito tutti parlare almeno una volta: si tratta del famigerato Fiscal Compact, l’incubo di Beppe Grillo e del Movimento 5 Stelle, di moltissimi commentatori ed economisti “euroscettici” e no-euro. È, secondo molti, la prova definitiva della stupidità o della malvagità dei burocrati europei; la ghigliottina che ci costringerà - a partire da quest’anno - a spremere le nostre finanze pubbliche per ridurre il nostro debito pubblico di 50 miliardi ogni anno e per 20 anni.
Si tratta di una cifra semplicemente spaventosa. Basti pensare che si tratta di un settimo di tutta la spesa pubblica ritenuta “aggredibile”. È un cifra non molto inferiore a quanto spendiamo ogni anno per pagare tutti gli interessi sul debito pubblico. È cinque volte superiore alla manovra da 10 miliardi con cui il governo di Matteo Renzi vorrebbe tagliare il cuneo fiscale. È superiore alla somma di tutte le manovre finanziarie degli ultimi tre anni. Dicono che tagliare di 50 miliardi la spesa pubblica in un anno avrebbe effetti di tipo greco. Farlo per 20 anni di seguito ci rispedirebbe dritti nel medioevo. Per nostra fortuna, in questa maledizione che apparentemente ci lascia senza scampo, non c’è niente (o quasi) di vero, come hanno provato a spiegare alcune voci isolate negli ultimi mesi.
La leggenda nera del Fiscal Compact si può riassumere così: “Le regole europee ci costringeranno, ogni anno, a ridurre il nostro debito di 50 miliardi”. C’è un fondo di verità, anche se questa cifra è piuttosto arbitraria (tra poco vedremo perché). All’articolo 4 del Fiscal Compact, in effetti, è scritto che quei paesi che hanno un rapporto debito/PIL superiore al 60 per cento devono impegnarsi a ridurlo “di una media” di un ventesimo ogni anno (“una media”, ricordatevelo perché più avanti sarà importante). Intorno alla metà del 2013, qualcuno - il primo autore di questa cifra rimane misterioso - mise mano alla calcolatrice e fece un po’ di conti: il nostro debito pubblico all’epoca equivaleva al 120 per cento del PIL e avrebbe dovuto essere dimezzato in 20 anni. La metà del debito pubblico all’epoca ammontava a 1.000 miliardi. Mille miliardi diviso venti uguale: 50 miliardi l’anno. Ecco da dove arriva la famosa cifra della leggenda nera.
Si tratta, come dicono gli americani, di un conto wrong on so many levels: sbagliato su tantissimi livelli. Partiamo dal primo: come abbiamo appena visto l’articolo 4 non parla di ridurre il “totale” del debito. Quello che bisogna diminuire è il rapporto debito/PIL. Come tutti quanti ricordiamo da quando alla fine delle scuole elementari abbiamo imparato le frazioni, un rapporto può essere abbassato in due modi. Agendo sul numeratore (nel nostro caso tagliando il debito), oppure alzando il denominatore (nel nostro caso facendo crescere il PIL). Detto in altre parole: se il debito rimane costante o cresce meno rapidamente del PIL, allora il rapporto tra i due diminuisce senza bisogno di spendere soldi. Sappiamo tutti, però, che in questo periodo il PIL cresce poco, mentre il debito cresce piuttosto in fretta.
A questo punto serve una seconda precisazione. Il PIL che deve crescere in questo rapporto non è il “PIL reale” (quello di cui sentiamo parlare tutti i giorni e che pare nel 2014 avrà una crescita piuttosto anemica, tra lo 0,6 e lo 0,7 per cento). Il rapporto debito/PIL infatti è costruito tenendo conto del “PIL nominale” che in sostanza è il PIL reale più l’inflazione. Il PIL nominale (tranne alcuni casi che qui non ci interessano) cresce in genere più rapidamente del PIL reale e per capire perché basta un semplice esempio. Pensiamo a un paese con un PIL di 100 euro che ha una crescita reale pari a 0, ma in cui l’inflazione è dell’1 per cento. Dopo un anno questo paese avrà un PIL reale pari a 100 euro, ma un PIL nominale pari a 101 euro (quini una crescita reale dello 0 per cento e una nominale dell’1 per cento).
Facendo dei conti un po’ a spanne viene fuori che, con i conti pubblici attuali, basterebbe una crescita del PIL nominale del 2,5/3 per cento per rientrare nelle regole della riduzione del debito senza dover spendere nemmeno un euro. Il problema è che la crescita reale in Italia è molto bassa e sembra che l’inflazione non aumenterà abbastanza da generare una crescita nominale superiore a quella del debito. Tenendo conto di questi fattori, sul sito Pagella Politica hanno provato a fare alcuni conti ed è risultato che per rientrare nelle regole del Fiscal Compact bisognerebbe ridurre il debito di circa 27 miliardi nel 2014 (una cifra pur sempre alta, ma pari alla metà dei famosi 50 miliardi di cui continuiamo a sentir parlare). Come è facile capire, quindi, la situazione è complessa: è molto difficile dire oggi di quanto in teoria dovremmo tagliare (e se dovremmo tagliare) il debito per rientrare nelle regole del Fiscal Compact. A questo proposito, l’agenzia di stampa Reuters ha creato una specie di simulatore in cui è possibile agire sulle singole variabili (crescita reale, inflazione, costo del debito) per vedere se è quando il Fiscal Compact verrà rispettato.
Un po’ di prudenza sulle cifre da tagliare l’aveva già raccomandata Alberto Bagnai, uno degli economisti più scettici del gruppo a volte definito “no-euro”. In realtà, molto probabilmente, non dovremo spendere nemmeno un euro indipendentemente da quanto andranno male PIL nominale, inflazione e tutto il resto. I più attenti tra di voi avranno notato che nel trattato europeo si parla di “media” di riduzione di un ventesimo del rapporto debito/PIL. La domanda a questo punto è: chi stabilisce cos’è una riduzione “media” e su quale periodo si calcola? E a questa domanda se ne dovrebbe aggiungere anche un’altra: ma se non rispettassimo questa regola, che cosa ci succederebbe? Su questi doppi scogli va definitivamente ad incagliarsi la nave dei catastrofisti.
La Commissione Europea è il “poliziotto” incaricato di segnalare quando uno stato sta violando il trattato (e il suo ruolo in questo contesto è definito con l’inquietante nome di “braccio correttivo”). Il trattato, all’articolo 4, prevede una serie di eccezioni o circostanze attenuanti che il "poliziotto" deve considerare prima di procedere alla “denuncia” (si trovano qui, all’articolo 2). Ad esempio, il paese in questione ha un sistema pensionistico sostenibile? Ha un avanzo primario? Ha avuto conti in ordine negli ultimi anni? E così via. Si tratta di “condizioni” che - in teoria - l’Italia soddisfa senza problemi. Che la Commissione “debba considerare” tutti questi fattori prima di fare la sua segnalazione non significa automaticamente che il suo ruolo sia quello del “poliziotto buono”. Potrebbe benissimo decidere che l’Italia ha violato le regole sul debito, infischiandosene di tutte queste attenuanti.
Il poliziotto però non può contemporaneamente denunciare il criminale ed emettere la sentenza: il giudice che “certifica” la segnalazione e, successivamente, emette la “condanna” è il Consiglio dell’Unione Europea. La procedura con cui si arriva alla “condanna” è spiegata all’articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Per farla breve, si tratta di una procedura bizantina in cui il Consiglio è chiamato a riunirsi e a votare parecchie volte. Deve votare per stabilire che effettivamente c’è stata una violazione, deve votare per mandare un primo avvertimento - non pubblico - allo stato in questione. Deve votare per inviare un secondo avvertimento pubblico, deve votare ancora una volta per aprire ufficialmente una procedura di infrazione e, infine, se dopo tutti questi voti e avvertimenti le cose non sono ancora cambiate, può votare un’ultima volta per comminare multe o altre sanzioni allo stato in questione.
Se non vi sembra una cosa rapida e semplice avete ragione. In realtà è ancora più complessa di quanto si potrebbe pensare. Al Consiglio non vale la regola “una testa un voto”: ogni capo di governo vota - per farla semplice - in base al peso della sua popolazione sul totale europeo. Per far passare queste decisioni c’è bisogno di una maggioranza particolare - il calcolo è abbastanza complesso: in sostanza si tratta di una maggioranza più ampia della semplice maggioranza assoluta. Per ottenere questa maggioranza non bastano i cosiddetti “paesi virtuosi” del nord Europa. In sostanza: senza il voto del paesi del sud Europa - quelli che più probabilmente finiranno col violare le regole del Fiscal Compact - non è possibile che il Consiglio emetta alcuna sanzione.
Insomma: in teoria è possibile che l’Italia sia punita per non aver soddisfatto la regola del fiscal compact, ma dovrebbe accadere una serie davvero straordinaria di sfortunati eventi. La crescita nominale (che - ricordiamo - è più o meno crescita reale più inflazione) dovrebbe rimanere bassissima non solo nel 2014, ma anche negli anni successivi. La Commissione dovrebbe ignorare i conti pubblici dell’Italia, il suo contributo ai fondi salva-stati e la riforma del sistema pensionistico. Il Consiglio dovrebbe votare diverse volte (alcune di avvertimento, altre per emanare le sanzioni) con una maggioranza molto ampia, formata anche da paesi che - con ogni probabilità - dovrebbero essere sanzionati nel corso della stessa riunione. Fatto tutto questo, l’Italia potrebbe venire multata. Quanto è probabile questo evento?
Difficile da dire. Tutta la procedura poliziotto-giudice/segnalazione-condanna è la stessa che si usa per un’altra impopolare regola europea, quella che impone un deficit massimo del 3 per cento. Nel corso degli ultimi anni la Commissione ha richiesto - e il Consiglio approvato - l’apertura di una procedura per deficit eccessivo nei confronti di 26 paesi diversi. Sapete quante volte questi paesi sono stati multati? Se avete risposto “mai”, allora avete dato la risposta giusta.
INDICE Aprile 2014
Editoriale
Monografica
- Uscire dall'euro? Attenti a quello che desiderate, potrebbe avverarsi
- In che modo siamo stati salvati dall'euro, e come siamo riusciti a dannarci da soli
- Fuori dall'euro, il giorno dopo
- La leggenda nera del Fiscal Compact
- La salute pubblica in Grecia, tra incudine e martello
- Innamorarsi di una moneta
- Esiste un'Europa delle opportunità, quella dei fondi che abbiamo sprecato per decenni
- Quei giudici che non distrussero (né distruggeranno) l’euro
Istituzioni ed economia
- Il decreto lavoro è una vera innovazione. Salvo marce indietro
- Riforma Delrio: le nuove province tra complicazioni e provvisorietà
- Più di sette milioni di iscrizioni all'Obamacare, ma non è una vittoria. Ecco perché
Innovazione e mercato
- Lotta alla pirateria... o al libero mercato?
- Il vino italiano alla conquista del mondo, ma con armi sempre più spuntate
Scienza e razionalità
Diritto e libertà
- Aborto e libertà di scegliere, anche le strutture private
- Affido condiviso, pericolosi passi indietro sulla bigenitorialità