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Sull’onda dell’entusiasmo e delle ottime review che ha ricevuto in America (al riguardo si può consultare il sito Rotten Tomatoes), qualche mese fa Netflix ha lanciato anche in Italia la serie TV 13 Reasons Why che racconta la storia del tragico suicidio di una teenager americana di nome Hannah Baker. Questa serie TV può essere di grande aiuto per il nostro sistema scolastico, dal momento che porta sul piccolo schermo tematiche che in classe o nelle aule universitarie non sono minimamente elemento di discussione, come la violenza sessuale e il benessere mentale.

Un aspetto che è legato al suicidio della ragazza è il caso di violenza che Hannah subisce da parte di una stella nascente del football americano che frequenta la sua stessa scuola durante un house-party. Inserire una tematica così cruda in una serie TV che riguarda il mondo giovanile non è una scelta dettata dal caso, ma al contrario si tratta di una decisione studiata a tavolino dai produttori per far luce proprio su questo aspetto negativo del sistema scolastico americano. Infatti, in America, così come in Inghilterra, i casi di violenza sessuale, specialmente nelle università, hanno raggiunto numeri di capogiro - come spiegano bene il Washington Post, CNBC o il Guardian.

A seguito di questi e altri articoli, per contrastare e combattere questo fenomeno le università americane e inglesi hanno deciso di far partecipare i cosiddetti ‘freshers’ (i neo-immatricolati) a corsi di formazione obbligatori che riguardano cosa sia considerato violenza sessuale e, soprattutto, cosa fare e a chi rivolgersi di fronte a un caso di violenza.

A giudicare dalla totale assenza di casi di violenza sessuale riportati da giornali e telegiornali nel nostro paese, ad una prima occhiata si potrebbe dedurre che in Italia questo problema non esista. Eppure io credo che questo di per sé non dimostri affatto che non esistano casi di violenza nelle nostre scuole o università ma solo che questo non sia argomento di discussione da parte dei nostri organi di stampa. Anziché cercare di combattere e arginare il fenomeno, come si fa in America e Inghilterra, si ha l’impressione che in Italia si cerchi piuttosto di ignorare l’esistenza stessa del problema in modo da non dover spendere tempo e risorse per cercare di fornire una soluzione. Questo però comporta che molti studenti, specie quelli vittime di violenze, siano abbandonati a sé stessi proprio quando invece avrebbero più bisogno di aiuto.

Anche se parole come depressione, ansia e salute mentale non vengono mai esplicitamente menzionate durante l’intera serie TV di 13 Reasons Why, queste sono implicitamente presenti per tutto il corso della storia. Hannah non si suicida solo per il caso di violenza che subisce (anche se questo ha sicuramente il suo peso, come è facile immaginare), ma anche e soprattutto per la malattia invisibile di cui soffre: un disturbo dell’umore. Il fatto che una serie TV porti questo particolare argomento sul piccolo schermo dimostra come in America questa sia ritenuta essere tematica molto importante e dunque degna di essere discussa pubblicamente, come sottolinea The Atlantic.

Anche in questo caso il raffronto con l’Italia non è dei più rosei: durante gli anni del liceo e dell’università non ricordo neppure un vago cenno riguardo a disturbi d’ansia, depressione o problemi riguardo al proprio umore. Al contrario, nel mondo anglosassone i problemi che riguardano la salute mentale degli studenti sono presi molto seriamente. Ad esempio, l’università nella quale studio (Oxford) organizza corsi di formazione su queste tematiche, per fare sì che gli studenti non si vergognino di discutere apertamente di temi molto personali quali ansia o stress; questo sicuramente facilita il fatto di non sentirsi abbandonati dalla propria università in un momento di difficoltà.

Oltre ad offrire corsi di formazione, l’università di Oxford si prende carico di vigilare sulla salute psicologica dei propri studenti tramite la figura dei tutor. Riguardo alla funzione dei tutor posso portare un’esperienza diretta del loro modo di operare e della loro rapidità d’azione. Una ragazza conosciuta proprio qui ad Oxford (che ha preferito rimanere anonima) mi ha raccontato la seguente la storia. Quando stava attraversando un periodo piuttosto stressante il suo tutor si è accorto della sua situazione di difficoltà senza che lei ne facesse cenno, le ha scritto una mail per accertarsi che cosa le stesse succedendo e il giorno stesso ha voluto incontrarla per capire specificatamente che cosa non andasse e quali misure adottare al riguardo.

La storia di 13 Reasons Why, però, si chiude con il suicidio di Hannah la quale non riesce uscire dalla situazione di ansia, stress e depressione in cui è intrappolata, situazione resa ancor più gravosa dal caso di violenza di cui è vittima. Questo dimostra che, anche se la strada imboccata dal sistema scolastico anglosassone per affrontare queste tematiche è quella giusta, è ancora tutta da perfezionare.

In Italia, però, non essendoci neppure questo percorso di sostegno per gli studenti, il sistema scolastico finisce per scaricare il peso dell’affrontare queste tematiche interamente sui singoli individui e le loro famiglie. L’aver portato via streaming argomenti così delicati e difficili da affrontare non fa altro che rafforzare il desiderio di cercare di realizzare, a partire dalla scuola un mondo in cui non ci si vergogna delle proprie debolezze ma al contrario le si affronta. Realizzare una ‘buona scuola’ significa anche affrontare questa tematica che 13 Reasons Why ha portato nelle case degli italiani.

The Atlantic