Intelligenze artificiali, un’esperienza da comprendere. Conversazione con Emanuela Girardi
Scienza e razionalità
Spesso quando sentiamo parlar di IA, si mischiano i più estremi approcci catastrofisti a quelli di più entusiastico ottimismo. L'IA non inciderà solo sui livelli occupazionali, ma anche sul modo di pensare la società. La politica non può sottrarsi al compito di affrontare la materia con un approccio sistemico. Di quali siano i rischi da evitare e le opportunità da perseguire vale pena di parlare con un’esperta.
Emanuela Girardi è membro dell’Advisory Board di CLAIRE, la Confederazione dei Laboratori per la Ricerca in Intelligenza Artificiale in Europa, la più grande comunità di scienziati, ricercatori e tecnologi esperti in intelligenza artificiale al mondo.
Le tecnologie di intelligenza artificiale stanno trasformando rapidamente la nostra società e la nostra economia. Si tratta di tecnologie a uso generale, il che significa che il loro impatto è pervasivo e si estende a tutti i settori dell’economia e a tutta la società. A differenza delle rivoluzioni tecnologiche del passato, come la ruota o il motore a vapore, il progresso dell'AI è esponenziale, e questo rappresenta una sfida per la capacità di governance. Siamo di fronte a opportunità straordinarie, ma anche a rischi significativi che devono essere attentamente valutati e gestiti.
Quali sono le responsabilità della politica?
La politica ha una doppia responsabilità: da un lato, deve regolamentare l’uso dell’AI, creando i necessari "guardrails" per prevenire utilizzi malevoli e garantire che queste tecnologie siano sviluppate e utilizzate in modo sicuro ed etico. Dall’altro lato, deve favorire lo sviluppo dell’AI promuovendo la ricerca e lo sviluppo, e investendo in modo consistente nella formazione e nell’educazione. In particolare, è urgente implementare un piano nazionale che permetta ai lavoratori di acquisire le competenze necessarie per sfruttare al meglio queste tecnologie, garantendo un utilizzo consapevole e sicuro. Allo stesso tempo, bisogna supportare le piccole e medie imprese affinché possano integrare l’AI nei loro processi, migliorando la produttività e la capacità di sviluppare nuovi prodotti e servizi, rimanendo competitive a livello internazionale.
E il ruolo della scuola?
Fondamentale è anche l’insegnamento dell’AI nelle scuole. Viviamo in una società sempre più digitale e non possiamo permetterci di trascurare la preparazione delle nuove generazioni. È necessario dotare bambini e ragazzi delle competenze digitali e tecniche che permetteranno loro di affrontare i lavori del futuro, molti dei quali oggi ancora non esistono, ma che saranno fortemente influenzati dall’AI. Ricordiamo che oltre il 60% dei lavori attuali non esistevano nel 1940, e con il ritmo attuale del progresso tecnologico, questa tendenza è destinata a crescere. Quindi l’AI rappresenta una grande opportunità per la nostra società, ma richiede un approccio sistemico che unisca regolamentazione, sviluppo e formazione. Solo così potremo sfruttare al meglio le sue potenzialità, minimizzando i rischi e garantendo una crescita inclusiva e sostenibile.
Con Pop AI (Popular Artificial Intelligence), di cui sei fondatrice e presidente, avete lo scopo di spiegare alle persone cosa sono le tecnologie di intelligenza artificiale e quale impatto hanno sulla vita di tutti i giorni. A che punto siamo del percorso?
Secondo la Commissione Europea, l’Italia sta facendo rapidi progressi in ambito digitale, ma per raggiungere gli obiettivi del Decennio digitale è necessaria un'ulteriore spinta. A mio avviso, c'è ancora molto lavoro da fare. Dobbiamo sviluppare un piano di alfabetizzazione digitale delle tecnologie di AI rivolto a tutta la popolazione. Oggi, molti di noi usano quotidianamente l’AI in modo inconsapevole, esponendosi a rischi che devono essere conosciuti e gestiti. Dobbiamo spiegare cos’è l’AI, come funziona, quali sono i suoi limiti e quali le opportunità. Solo così le persone potranno utilizzarla in modo sicuro e consapevole.
Quali sono i rischi più gravi e più sottovalutati?
Uno dei rischi principali è la disinformazione, spesso diffusa tramite deepfake; per contrastarla serve insegnare un approccio critico all'uso delle tecnologie e dei social media. Un altro rischio significativo è il digital divide, che può aggravare le disuguaglianze sociali. Le persone senza competenze digitali rischiano di diventare i "nuovi poveri" del futuro. L'uso scorretto o malevolo di queste tecnologie potrebbe inoltre aumentare discriminazioni e disuguaglianze sociali. È quindi fondamentale creare una cultura dell’AI e sviluppare programmi europei di alfabetizzazione digitale che forniscano una base culturale comune fondata sulla visione europa di AI affidabile e antropocentrica volta a migliorare la vita delle persone. In questo modo, i cittadini europei saranno in grado di sfruttare appieno e in modo sicuro le opportunità offerte da queste tecnologie. Nonostante i progressi, è evidente che solo con un'educazione digitale diffusa potremo garantire una partecipazione attiva e consapevole al mondo digitale del futuro.
Da membro del gruppo di esperti di intelligenza artificiale del Ministero dello Sviluppo Economico che ha elaborato la strategia nazionale italiana per l’intelligenza artificiale, che sfide abbiamo ‘vinto’ e quali sono da affrontare ora?
Attualmente, le sfide da affrontare sono ancora molte. In Italia abbiamo scritto e pubblicato tre strategie nazionali per l'AI, ma è sempre mancato un piano esecutivo efficace, supportato da un budget adeguato e da un sistema di misurazione e controllo dei risultati. Diversi Paesi europei, come la Francia, la Germania e le nazioni del Nord Europa, hanno investito miliardi di euro nell'AI negli ultimi sei anni, mentre in Italia c'è stato un sottoinvestimento in ricerca, sviluppo, trasferimento tecnologico e formazione.
Ci sono aree più valorizzate e promettenti?
Un'area in cui abbiamo ottenuto buoni risultati è quella delle infrastrutture di calcolo: oggi in Italia possiamo vantare Leonardo, uno dei supercomputer più potenti al mondo, un elemento essenziale per lo sviluppo dell'AI. Tuttavia, manca ancora un vero e proprio sistema italiano dell'innovazione che sia pienamente integrato a livello europeo. Come ha evidenziato bene Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività, nessuno Stato europeo può vincere da solo la sfida delle tecnologie emergenti. Oggi, l'85% delle tecnologie che utilizziamo proviene dagli Stati Uniti, e con l’avvento dell'AI generativa questa dipendenza sta peggiorando.
Che cosa possiamo fare?
Per affrontare questa situazione, serve un cambio di paradigma. Dobbiamo sviluppare una maggiore consapevolezza dell'urgenza della sfida tecnologica e adottare una governance politica competente, in grado di promuovere lo sviluppo e l'utilizzo sicuro dell'AI. È fondamentale e urgente creare un ecosistema dell'innovazione che colleghi il nostro Paese al contesto europeo, riducendo la dipendenza dalle tecnologie estere.
Con quali obiettivi?
L’obiettivo finale deve essere quello di preparare la società e l’economia italiane ad affrontare questa trasformazione. Bisogna permettere a studenti, lavoratori, cittadini e imprese di sfruttare le immense opportunità offerte dall’IA, garantendo al contempo sicurezza e competitività. Solo così potremo affrontare in modo consapevole e strutturato i profondi impatti che l'AI avrà sul lavoro e sulle aziende e su tutta la società.