scorie nucleari

Esattamente due anni fa siamo stati fin troppo ottimisti. Pensavamo - scrivendo del Deposito Nazionale per lo smaltimento dei rifiuti nucleari - che di lì a pochi giorni, mesi al massimo, sarebbe stata pubblicata la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI) elaborata dalla Sogin, la società pubblica che si occupa del decomissioning, in basi ai criteri stabiliti dall'Ispra.

Invece niente di tutto questo è stato fatto: la carta non c'è - anche se viene promessa a breve, entro l'anno -, la Sogin ha passato un brutto periodo a livello organizzativo, di gestione delle risorse e di pianificazione, manca un programma per la gestione delle scorie - che secondo la direttiva 2011/70 del Consiglio europeo doveva essere presentato entro il 23 agosto 2015 - e per questo, se il Governo non si muoverà entro due mesi, l'Italia rischia l'ennesima procedura d'infrazione.



Insomma, non siamo al punto zero, ma in due anni non ci siamo mossi che di pochi, semi-oscuri, passi, e il sospetto che in tutto ciò abbia influito l'estrema fragilità delle maggioranze di volta in volta impegnate a sostenere il Governo è difficile da scacciare: chi si assumerebbe la responsabilità di pubblicare un documento destinato sicuramente a creare tensione sociale e politica in un momento in cui il consenso politico è così fluido?

Il ministro Carlo Calenda, sentito a fine giugno dalla Commissione Ecomafie (qui la sintesi stenografica) ha spiegato, in sostanza, che i ritardi sono stati causati «dalla complessità e alla delicatezza delle informazioni ricevute nelle osservazioni di SCA (soggetti competenti in materia ambientale)». Tra queste complessità anche la "scoperta" che, oltre ai 90mila metri cubi di rifiuti radioattivi derivanti dalle centrali dismesse (75mila metri cubi) e dalle attività industriali, mediche e di ricerca (15mila), ci sono 58mila metri cubi di rifiuti provenienti da attività di bonifica di installazioni industriali contaminate accidentalmente.

Secondo Calenda la carta è meglio renderla pubblica quando terminerà l'iter della VAS, la Valutazione Ambientale Strategica, la cui documentazione dovrebbe essere resa disponibile a tutti entro il mese di luglio per avviare i 60 giorni di consultazione pubblica, in modo da dare ai cittadini «la possibilità di disporre di tutte le informazioni utili a meglio comprendere e valutare la strategia nazionale». Entro l'anno - «la fine del quarto trimestre» - o al massimo entro i primi tre mesi del 2018 dovremmo avere tutto in mano: VAS completa, rapporto ambientale, sintesi non tecnica e la tanto agognata CNAPI. 

In un Paese in cui una procedura d'infrazione in più o in meno sembra non fare troppa differenza, è però davvero difficile credere che in piena fase 'elezioni 2018' ci sia chi voglia correre il rischio di gettare nella mischia un argomento tanto delicato, rischiando di perdere una fettina di consenso popolare, oggi più che mai necessaria.

Non ci rimane che sperare che sia davvero così, ma non si può non fare a meno di evidenziare che già questi due anni di ritardo (che si aggiungono a un ritardo pregresso) non sono salutari per tutto il procedimento: la creazione del Deposito e dell'annesso Parco Tecnologico è stata pensata come un grande percorso partecipato, e togliere due anni al ragionamento pubblico su dove posizionare le strutture - il "se" non è e non deve essere in discussione, come sottolinea anche un antinuclearista di ferro come Mario Tozzi - è una scelta che rischia di inficiare il molto di buono che il progetto avrebbe.

Spostare la consultazione pubblica ancora più a ridosso dei termini temporali fissati per la costruzione dell'opera - che dovrebbe durare 4 anni ed essere operativa tra 2024 e 2025, quindi con avvio dei cantieri previsto tra meno di tre anni - significa ridurre gli spazi di riflessione, di negoziazione e coinvolgimento pubblico nella scelta. Se la pubblicazione della CNAPI è il primo passo per mediare una decisione con i territori più idonei ad ospitare il deposito e permettere loro di ragionare sul rapporto costi/benefici, la possibilità di imbastire una discussione preliminare avrebbe permesso anche di affrontare per tempo le inevitabili resistenze ed elaborare una strategia tarata sulle peculiarità di ciascun sito per mitigare la percezione del rischio da parte delle comunità coinvolte, lavorando con loro ben prima dell'avvio formale di qualsiasi attività, cercando di rendere davvero la futura decisione il più possibile condivisa.

Il timore è che si sia invece perso troppo tempo utile, che alla fine tutto si concluderà con l'ennesimo atto d'imperio statale, rievocando così il fantasma della vicenda di Scanzano Jonico. Ma se si dovesse arrivare a quel punto, bisognerebbe evitare di additare come affetti da sindrome Nimby i probabili oppositori, perché sarebbero solo i figli legittimi di una politica priva di coraggio.