emilianomichele

Mentre Donald Trump dall'altra parte dell'Atlantico firma un ordine esecutivo per cancellare il Clean Power Plan di Obama, promette l'avvento "carbone pulito" (clean, really clean coal, immaginiamo), da questa parte, sulla costa adriatica dell'Italia, in Puglia, ci si incatena per impedire l'espianto temporaneo di 211 ulivi e, soprattutto, per ostacolare la costruzione del Tap, il Trans Adriatic Pipeline, un "tubo" lunghissimo che porterà in Italia e in Europa il gas dall'Azerbaijan.

In che modo le due cose sono collegate? Bé, facendo le debite proporzioni, sono entrambe mosse che vanno - consapevolmente o meno - nella direzione opposta a quella di creare e realizzare politiche che attenuino la più grande minaccia che l'umanità oggi dovrebbe affrontare: il climate change.

La giusta direzione sarebbe quella di abbattere considerevolmente le emissioni in atmosfera. Se da una parte il carbone pulito non esiste e non esisterà perché non ha nessuna convenienza economica, dall'altra - in attesa di trovare soluzioni ancora più pulite, efficienti e sostenibili anche economicamente - una delle strade per la transizione è sfruttare fonti energetiche che abbiano un impatto ambientale minore rispetto al carbone o ai derivati del petrolio. Tra queste c'è il gas, il cui consumo in Italia, dopo anni di picchiata, è aumentato nel 2016.

Ma se dalla parte americana dell'Oceano gli ambientalisti fanno come i francesi nella canzone di Paolo Conte - si incazzano -, dalle nostre parti si incazzano ma dalla parte sbagliata, aggregandosi alle contestazioni, diventate violente, contro la posa di un tubo sotterraneo, la creazione di un'infrastruttura praticamente invisibile in grado di rifornirci con 10 miliardi di metri cubi di gas all'anno (e fino a 20 a pieno regime), che favorirebbe la diversificazione delle nostre fonti di approvvigionamento senza far circolare tir su strada o vagoni carichi di gas sulle rotaie.

Un tubo da 36 pollici che a 1.300 metri dalla costa di San Foca entrerà sotto il fondale, a 10 metri, tramite la costruzione di un microtunnel, continuerà nell'entroterra del comune di Melendugno per circa 5 km, sempre rimanendo nascosto a 1,5 metri di profondità, fino ad approdare nella centrale Snam per l'immissione nella rete italiana. In mezzo ci sarà una 'valvola di intercettazione' utile per i controlli e la sicurezza, unica parte veramente visibile dell'opera. Niente di veramente impressionante, niente di altamente rischioso né impattante dal punto di vista ambientale. Ma, allora, perché è così avversato dalle comunità locali?

Perché rovina l'ambiente? La cosa non credibile, perché praticamente non lo tocca. Il suo impatto è bassissimo, la Posidonia presente nella costa viene salvata grazie al microtunnel e l'area è stata scelta proprio perché non attraversa siti che godano di particolari tutele. Siti che invece sarebbero stati impattati se si fosse scelta l'opzione di approdo direttamente a Brindisi - quella suggerita dal governatore Michele Emiliano a più riprese - dove c'è un'ampia area costiera protetta per la presenza della Posidonia, dove c'è un parco regionale e dove il Tap sarebbe dovuto passare sotto il sito di Micorosa, altamente inquinato, costringendo nella migliore delle ipotesi il consorzio a bonificare un'area della quale non ha alcuna responsabilità. Anche sul lato delle possibili emissioni dell'impianto, queste saranno una frazione piccola di quelle prodotte normalmente a Melendugno.

Forse allora perché danneggia il turismo e la pesca? Ma come potrebbe? Il tubo non si vede, la spiaggia di San Foca rimarrà intonsa, anche lo scavo del microtunnel verrà eseguito con una 'talpa meccanica', telecomandata, senza scomodare le ruspe. E i pescatori difficilmente risentiranno della presenza di un tubo interrato o della sua presenza sul fondale al largo. Allora perché si spostano (e si rimettono al loro posto) gli ulivi, come appare dalle ultime contestazioni? Neppure questa può essere un'obiezione accettabile: in Puglia gli ulivi si spostano con molta frequenza, anche in numero decisamente superiore, come è successo per l'acquedotto del Sinni con l'espianto e il reimpianto in sito di 2.500 alberi.

No, la risposta più plausibile arriva - e sembra incredibile - da Michele Emiliano in persona: «La questione dell’espianto degli ulivi – ha detto al tavolo tecnico-politico convocato in streaming a seguito dell'ultima protesta - non è il cuore della vicenda: ogni anno spostiamo centinaia di migliaia di ulivi perché l’ulivo è una pianta che può essere spostata e ripiantata. Per la comunità il problema è politico, non legale: perché abusare della volontà popolare e imporre un’opera che tutti i sindaci stanno chiedendo di spostare in un altro luogo con la disponibilità della Regione a realizzarla altrove? Questo modo di governare viene contestato dalla gente».

È una risposta plausibile (smentita dalle varie inchieste e ricorsi ai tribunali amministrativi nella parte in cui parla di legalità) che però denuncia, senza volerlo, l'incapacità non tanto e non solo della politica di Roma (che c'è nella misura in cui ancora non prevede forme strutturate di concertazione pubblica su grandi opere e infrastrutture), quanto di quella locale, dalla 'sua' Regione ai Comuni, passando per l'associazionismo e i comitati. Perché nel periodo utile per presentare alternative al progetto - tra 2012 e 2014 - nessuno si è azzardato a inviare una proposta alternativa formale.

Probabilmente si aspettavano lo stop, la soluzione tipicamente italiana di tutti i problemi tramite il blocco completo a monte che invece non è arrivato. E le alternative che oggi vengono proposte come fattibili dal governatore - l'approdo a Brindisi o a Squinzano - sono solo annunci - perché sono tardive, perché alcune sono già state scartate, perché nessuno dei Comuni interessati si è mai detto disponibile ad accogliere il Tap - buoni per la battaglia politica e personale che Emiliano sta conducendo da tempo nei confronti del Governo e del 'suo' partito. «Questo modo di governare» definisce alla perfezione anche il suo modo di governare.

Più in generale però, l'opposizione al Tap è una lampante manifestazione del 'micro-nazionalismo', un mondo in cui l'interesse generale - dell'Italia, dell'Europa, dell'ambiente - soggiace fatalmente a quello territoriale, parcellizzato, cooptato politicamente, da difendere a tutti i costi dagli invasori, che siano esseri umani in carne e ossa, beni di consumo (ricordiamo che lo stesso Emiliano sosteneva che l'olio tunisino e la Xylella fossero parte dello stesso complotto ordito da chissà chi contro la Puglia) o opere il cui beneficio è esteso a una collettività più ampia.

Tutta farina del diavolo, noi non la mangiamo e la mandiamo al macero. Pazienza se poi la fame colpirà tutti.