Scienza e pseudoscienza: perché Zamboni non fa rima con Vannoni
Scienza e razionalità
La prima volta che ho incontrato di persona Paolo Zamboni è stato nel suo studio all'ospedale universitario di Ferrara durante una visita insieme ai condirettori del Master in giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza (con il quale collaboro) e Angelo Taibi, ricercatore del Dipartimenti di Fisica all'Università di Ferrara, project manager di Drain Brain, uno degli esperimenti italiani che vede impegnata la nostra Samantha Cristoforetti sulla Stazione spaziale internazionale.
Ci siamo incontrati per parlare della sua ricerca: Drain Brain e lo Spazio, certo, ma anche ciò per cui è più noto: la teoria sulla correlazione tra insufficienza cronica cerebro-spinale (Ccsvi) e sclerosi multipla.
La cosa che più mi ha colpito è però avvenuta a fine incontro. Erano ormai quasi le 20, noi quattro stavamo andando via, ma lui è rimasto lì: aspettava una paziente che veniva dalla Sardegna. L'aereo era in estremo ritardo. Lui ha aspettato. Il suo lato umano – la sua evidente empatia con i pazienti – è un suo tratto caratteristico che gli ha procurato anche una certa fortuna mediatica quando ha iniziato a parlare della possibilità che un'anomalia al flusso venoso dal cervello verso il cuore sia una delle possibili cause della sclerosi multipla o, almeno, di alcuni suoi fastidiosi e invalidanti sintomi. Un lato umano che lo ha portato però spesso ad essere paragonato anche a Luigi Di Bella o, addirittura, a Davide Vannoni: un medico che spaccia miracolose cure prive di scientificità e che 'fa colpo' sui pazienti perché li tratta da esseri umani, li ascolta, li capisce, si batte per loro contro avversari più forti (le case farmaceutiche in primis). Un santone.
Un recente bell'articolo comparso su Vox lo ha preso come esempio di quelle migliaia di casi in cui la ricerca medica promette - aiutata per varie ragioni dalla spinta mediatica - progressi incredibili nelle cure delle malattie senza che poi i relativi studi risultino realmente rivoluzionari o, addirittura, replicabili.
A cavallo tra 2013 e 2014 Lancet ha pubblicato lo studio di un gruppo di ricercatori guidato dal neurologo Anthony Traboulsee, accompagnato da un commento che in maniera lapidaria lo definiva "il sipario finale" sulla teoria di Zamboni. Secondo i ricercatori, che hanno analizzato gli studi fino ad allora pubblicati, la presenza della Ccsvi si riscontra in egual misura sia tra i soggetti sani che tra i soggetti affetti da Sclerosi Multipla: questo significa che non può essere una causa (o una delle cause) della sclerosi multipla. Anche in Italia, lo studio Cosmo finanziato dall'Aism (Associazione italiana sclerosi multipla), al quale inizialmente avrebbe dovuto partecipare anche Zamboni che poi lasciò polemicamente, ha escluso l'esistenza di tale correlazione.
Ha ragione dunque Vox? Il 'caso Zamboni' è uno di quelli in cui la ricerca e i ricercatori promettono ma non mantengono? Forse sì, forse no. Non sta ovviamente a chi scrive mettere un bollino di validità o meno su una teoria, ma è più probabile che al momento ci si trovi davanti a un caso, uno dei pochi visibili a occhio nudo e interessante per le implicazioni che comporta, di controversia scientifica.
Paolo Zamboni non è Luigi Di Bella, né Davide Vannoni. Le sue affermazioni, la sua teoria e i suoi studi sono stati messi a disposizione della comunità scientifica per essere valutati, affinati, criticati, approvati o smentiti. Zamboni – a differenza di Di Bella e Vannoni – non solo crede in ciò che afferma ma si muove nell'ambito del metodo scientifico: pubblica i suoi studi su riviste peer reviewed di settore e li mette a disposizione della comunità scientifica. Alcuni ricercatori hanno provato con successo a replicarne il metodo e a confermarne la teoria, altri non ci sono riusciti e l'hanno ritenuta non valida. Egli però – ed è un'altra differenza con Di Bella e Vannoni - è anche il primo ad invitare alla cautela e a dire che quanto afferma non è ancora confermato.
Se è vero che Cosmo e la ricerca di Traboulsee - quella che avrebbe fatto "calare il sipario" - sono studi molto grossi e ben progettati, è anche vero che i criteri utilizzati per ottenere i risultati sono stati oggetto di critiche nel merito. Il secondo studio, ad esempio, non avrebbe utilizzato criteri pubblicati e conosciuti alla comunità scientifica per identificare compiutamente la Ccsvi, cosa che potrebbe spiegare i risultati negativi. Cosmo, dal canto suo, pur essendo in doppio cieco e multicentrico, ha usato solo (e per questo ha subito alcune critiche da Zamboni) l'EcoColorDoppler – che ha il difetto di essere troppo operatore-dipendente - per validare gli esami.
Cosa possiamo leggere in tutto questo? Innanzitutto che il 'metodo Zamboni' soffre di un'evidente problema: manca di un metodo condiviso. Nonostante la predisposizione di un protocollo e di linee guida approvate da una consensus conference a Bologna, al momento, non sembra esserci un modo sicuro e il più possibile oggettivo e condiviso per diagnosticare con precisione e relativa semplicità la presenza della Ccsvi, tanto che parte degli studi in materia si dedica proprio a questo. In poche parole, si nota una certa difficoltà nel riconoscere e applicare un protocollo. Un problema 'tipico' della ricerca scientifica.
Tutto ciò porta evidentemente a risultati divergenti, liti accademiche tra fazioni contrapposte, prese di posizione, spinte verso la ricerca di uno standard, di dati a conforto o, all'inverso, a chiudere la partita.
Esattamente quello che accade (o dovrebbe accadere) in una vera controversia scientifica. Qui non siamo nell'ambito del climate change o degli Ogm dove la maggioranza della comunità scientifica è schierata. Qui siamo davanti a una spaccatura: da un lato chi crede in una teoria e pubblica studi al riguardo, dall'altro chi pensa sia priva di fondamento o porta argomenti (e dati e studi) contrari ad essa. Permettendoci una iper-semplificazione, siamo davanti a uno scontro tra flebologi e neurologi, tra campi e competenze diverse. Il contorno è fatto di lotte, di opinioni, di tanta comunicazione (che merita un capitolo a parte), polemiche e, ovviamente, di soldi in ballo. Qui esiste una discussione all'interno della comunità scientifica che prende direzioni diverse che, al momento, per noi che guardiamo dall'esterno, sono tutte valide anche se qualcuna, il tempo ci dirà quale, è sicuramente sbagliata.
In mezzo, purtroppo, ci sono anche i pescecani, medici che hanno intravisto un business, che offrono a pagamento cure non confermate dalla scienza (neppure dal loro "inventore") a chi di una cura ha disperatamente bisogno. Questi sì, sono i Vannoni del caso.