Prima o poi doveva succedere: la contro-cultura anti-ogm ha prodotto il suo inno, una canzone dai contenuti hippy e dalla melodia da parrocchia di paese completata dal coro delle attempate “Mondine di Bentivoglio”, che nella luce della banalità (pardon, “verità”) ci spiega che “pazzi sono gli uomini che giocano a modificare millenni di vita sul pianeta”.

jacopofo

La canzone parte alla grandissima: “cosa c’entra una fragola con il pesce artico?”  La fragola-pesce, il celeberrimo ogm che non è mai esistito. Se gli ogm sono così terribili perché bisogna inventarsene uno che non è mai esistito? E’ un problema centrale perché rappresenta un atto di fede: la verità può passare in secondo piano, possiamo raccontare fandonie per ottenere l’obiettivo di “liberare la terra” (scolpito nella democraticissima frase “la terra non è vostra, è nostra”). E’ lecito dunque inventare e idealizzare anche a costo di distorcere la realtà in un frutto prototipico delle menti deviate degli scienziati asserviti all’implacabile sete di profitto delle multinazionali capitaliste.

Nella seconda frase è esplicitato il carattere di rivelazione della fede che si auto-proclama ambientalista: “provalo a spiegare a un bambino di prima elementare e ti dirà che sei pazzo”. Con la sicumera tipica dell’inconsapevolezza dovuta al quarto cilum - ditino alzato a bacchettare dal basso della sua totale ignoranza di biotecnologie - Bassanese (il cantante) afferma una ideologia filosofica fondamentalista di cui probabilmente non si rende conto. Non c’è solo la contrapposizione della purezza, il bimbo (i figli so’ piez’ e core) con i precedenti scienziati pazzi, c’è di più: un bimbo di “prima elementare” non può naturalmente aver studiato biotecnologie, ma di certo ha un suo sistema etico di giustizia. Quindi il messaggio è: l’etica intuitiva, la morale, viene prima della conoscenza. Questa idea potentissima e seducente è sobillatoria: non si può giudicare il valore morale di qualcosa se non la si conosce, perché così non si giudica con “innocenza”, ma semplicemente a caso, sulla base di pregiudizi invece che di fatti.

Continua Jacopo Fo, che si mette a declamare una serie di banalità agghiaccianti sulla natura come se lui stesso fosse il mezzo attraverso cui uno spirito divino avesse deciso di regalare qualche perla a noi poveri mortali. Il resto della canzone lo potete ascoltare qui

 

 

Vorrei riflettere sull’effetto tragico di tutta la canzone: il cuore si stringe a vedere questo povero (di cultura scientifica) uomo tanto invasato e sicuro di sé. Fa pena, perché si vede che non gli è mai nemmeno balenato per la testa che forse avrebbe dovuto studiare prima di indossare i panni del profeta (del professore non ci pensa nemmeno perché disprezza la cultura accademica, come accenna tra le righe). E’ lo stesso effetto al confine tra il ridicolo e il penoso che travolge durante le gag in cui Fantozzi sbaglia inconsapevolmente un congiuntivo o si arrampica in fantasiose spiegazioni di termini forbiti di cui non conosce il significato.

Avevo già provato questa sensazione in passato, durante le prime occupazioni scolastiche, quando il leader dei giovani rivoluzionari di turno arringava le folle con slogan tanto vuoti quanto le teste di chi li ripeteva senza chiedersi cosa volessero dire. C’è un sottile filo conduttore che unisce le liturgie religiose, gli slogan da manifestazione, le canzoni come questa e gli articoli degli opinionisti come Michele Serra: un filo che passa per la presunzione, la fede incondizionata, la banalizzazione di ogni argomento e l’odio mascherato per chi mette in dubbio.

Ma se il cantante stonato (nel senso mentale) e il figlio del premio nobel profeta di se stesso mi fanno ridere, un sentimento di sincero rammarico mi adombra nel pensare a quelle povere mondine usate per ripetere a pappagallo un ritornello di cui la loro stessa fatica giovanile dovrebbe mostrare l’infondatezza. Grazie ai diserbanti chimici e alle innovazioni tecnologiche generazioni di donne sono state liberate da un lavoro opprimente nei campi. E ora un figlio di papà e un “intellettuale” alternativo che parlano di cose che non capiscono fanno loro cantare uno stupido ritornello in cui si idealizza, di fatto, la società e la condizione della donna di un secolo fa. C’è qualcosa di perverso, infernale nel senso dantesco, ma in fondo non lontano dagli stessi meccanismi che portano folle di lavoratori ad invocare un articolo 18 di cui non sanno nulla se non quello che gli viene somministrato a slogan da associazioni politiche e sindacali.

Il fatto più insidioso in tutto ciò è che il lupo è sempre travestito da agnello: proclama di voler fare il bene dei più deboli, li incita all’emancipazione attraverso la conoscenza, ma poi in realtà gli somministra un surrogato della conoscenza che non è una conoscenza ridotta, ma semplicemente una falsità in rima, bella da urlare, rassicurante da morire perché la colpa è sempre degli “altri” e del “sistema”. Sentitela qui, la teoria allo stato puro: Grida Grillo: “voglio la conoscenza… ci liberiamo con la conoscenza… ecco perché la rete fa paura… aggrega milioni di intelligenze, e la media della massa è molto, molto, più obiettiva, edificante e veritiera di qualsiasi cazzo di specialista che va a mentire in televisione”. E la folla applaude. Certo, non si può dire che lui sia “uno specialista che va a mentire in televisione”, perché mente sì - e alla grande - come quando diceva che erano morte 60 persone per una reazione allergica ad un ogm che non è mai stato commercializzato; ma non essendo specialista di nulla ricade semplicemente nella categoria dei profeti, degli opinion leader a cui il senso comune pigro ed ignorante perdona qualsiasi castroneria. Come il cantante Bassanese, il profeta Fo, il tuttologo Serra.

Come uscire allora da questo incubo? Forse ci sarebbe una speranza se il popolo della rete seguisse alla lettera il consiglio del suo guru e cercasse una conoscenza vera, che può passare solo attraverso un duro lavoro di studio e di ricerca. Rassegnatevi: la biologia non è twitterabile. La fisica non avanza con i commenti on-line e la medicina non nasconde la cura segreta del cancro nei meandri del web. Bisogna fare come chi vuole davvero capire: investire dai 5 ai 10 anni in libri e lezioni universitarie ed i restanti 20-30 anni in laboratori di ricerca. E’ troppo duro? Non avete voglia? Nessuno vi obbliga, ma almeno, se - come dite - volete essere cittadini liberi impegnati nel sociale, abbiate il pudore e l’onestà di non contribuire alla confusione e alla diffusione di falsità su temi che non potete capire semplicemente perché non vi ci siete dedicati a sufficienza.