La macchina della ricchezza. Intervista a Piero Angela
Gennaio/Febbraio 2018 / Monografica
La produttività, l’innovazione, le macchine, la politica, la ricchezza. La conoscenza e la democrazia. La società e la biologia, gli organismi unicellulari e pluricellulari, l’intelligenza di sistema. I giovani e gli anziani, la responsabilità generazionale. Il passato e il futuro. Il punto di vista – razionale e non convenzionale – di Piero Angela.
L’idea della nostra monografia parte dalla constatazione che esiste un problema strutturale di risorse. Fino adesso la politica ha distribuito il benessere attraverso la spesa pubblica e il debito, oggi i trend demografici ci dicono che non è possibile far pagare alle generazioni future il costo del benessere di quelle attuali. E improvvisamente la politica comincia a balbettare, sembra afona rispetto alle dimensioni del problema. Una volta lei ha detto – e si è tirato anche qualche critica addosso – che la politica non genera ricchezza. Forse siamo in una di quelle fasi storiche in cui invece la cosa è più evidente del solito?
È esattamente così. Nella storia dell’umanità, la politica non ha mai prodotto ricchezza. Per millenni tutti sono rimasti poveri, analfabeti, malati, con una vita il più delle volte grama, tranne una fascia privilegiata di popolazione che poteva sfruttare il lavoro degli altri. Questo è un dato storico incontrovertibile. Le cose iniziano a cambiare quando la tecnologia, che è figlia della scienza, comincia a dispiegarsi attraverso le macchine. Da quando le macchine sono entrate nei campi, la popolazione agricola – lavoratori essenzialmente manuali all’epoca – passa in Italia dal 70% della popolazione ai tempi dell’Unità d’Italia, al 4% attuale. In America è addirittura meno dell’1%. L’agricoltura moderna produce cibo per tutti in quantità incomparabilmente maggiore e a prezzi incomparabilmente più bassi rispetto al passato. La moltiplicazione dei pani e dei pesci: il cibo è diventato non solo abbondante, ma anche accessibile. E anche l’energia è una tecnologia. Guardiamo al petrolio che è stato per tanto tempo il simbolo dell’energia, e in fondo lo è ancora oggi: il petrolio non è mai stato una ricchezza. Era solo un liquido maleodorante che non è servito a niente per millenni, magari solo a calafatare gli scafi delle barche, o ad accendere qualche lumino. Diventa energia quando qualcuno ha avuto l’idea di metterlo in un motore, facendo girare delle ruote. E quando girano le ruote improvvisamente gira tutto.
Poi chiaramente subentrano le capacità dell’economia di ottimizzare questo flusso di beni e ricchezza, e della politica di distribuirlo secondo criteri variabili. La politica, in sostanza, è un elenco di venti o trenta problemi – la casa, la pensione, la scuola, l’occupazione… - di cui ogni formazione politica cambia l’ordine di priorità: chi dà più alle famiglie, chi più alle pensioni… Ma la politica ha anche un ruolo molto più importante e nobile, ed è quello di fare in modo che questo pacchetto così prezioso che è rappresentato da scienza, tecnologia, innovazione, energia ed educazione sia preservato e sviluppato, perché è la “macchina della ricchezza”. La politica sfrutta molto bene la macchina della povertà, che è quella della distribuzione, che non produce beni ma li distribuisce a seconda dei risultati elettorali. Nessuno, chiunque vinca le elezioni, può fare sviluppo senza macchine, senza energia, senza educazione e capacità di gestione delle risorse. Eppure nei dibattiti televisivi non si parla mai, mai, mai di tutto questo. Sviluppare l’innovazione, finanziare la ricerca, creare scuole di eccellenza, promuovere un sistema di comunicazione che diffonda tra i cittadini la conoscenza… Sembra che viviamo sopra le nuvole. Ma i Paesi che hanno un reddito alto e buoni servizi sociali sono quelli che hanno maggiore produttività, cioè capacità di generare ricchezza attraverso la tecnologia.
Alla concretezza e alla complessità dei problemi corrisponde il successo popolare di soluzioni semplicistiche che ripudiano proprio la complessità, e che individuano magari capri espiatori verso i quali indirizzare la rabbia e il malcontento. Gli immigrati, i banchieri, più genericamente “la casta”… Questo atteggiamento è solo il frutto della superficialità della classe politica, oppure risponde a un vero bisogno “di mercato” dell’opinione pubblica? Esiste una domanda di illusioni, a cui corrisponde un’offerta politica di successo?
Io cito spesso un diagramma che era stato pubblicato 40 o 50 anni fa da quel famoso rapporto del Club di Roma sui limiti dello sviluppo: l’asse delle ordinate indica lo spazio, quella orizzontale delle ascisse il tempo. La casella in basso a sinistra, che indica l’interesse degli individui per il presente e per le cose vicine – io e la mia famiglia oggi – è pieno di puntini. Man mano che ci si allontana, sia nello spazio che nel tempo – la mia città, il mio paese, l’umanità, domani, tra dieci anni, nel futuro – i puntini si diradano e la casella opposta, quella più lontana nello spazio e nel tempo dalla prima, è quasi vuota. Noi siamo interessati alle cose che ci riguardano direttamente, e che ci riguardano oggi. È umano, la nostra cultura, ma anche la nostra biologia, ci porta a reagire sulle cose immediate, sugli ostacoli che vediamo immediatamente davanti a noi. Un po’ come negli scacchi, un giocatore che gioca male tende subito a mangiare un pezzo avversario, e poi magari lo paga caro. Il gioco degli scacchi prevede una strategia di lungo periodo: anche se il futuro non è prevedibile, possiamo prevedere che negli scacchi chi gioca male perde la partita. Nessuno sa quale sarà la situazione della scacchiera tra sei o dieci o trenta mosse, ma si sa che chi gioca male perde. Oggi noi stiamo giocando pessimamente. Il futuro non ci interessa, se non a livello personale.
Non abbiamo un senso della comunità e dello Stato. Se uno ha una mentalità non dico scientifica, ma anche semplicemente razionale, se mette un po’ di neuroni in moto per capire le regole del gioco, allora può imparare a giocare bene. Quindi educazione, cultura e informazione, prima di tutto. In Italia siamo tutti intelligenti, intelligentissimi, ma manca una “intelligenza di sistema”. La vita, negli stagni primordiali, è nata prima di tutto in forme unicellulari come il paramecio, che esiste ancora oggi, una forma di vita composta da una sola cellula con delle ciglia che vibrano per consentire il movimento. Questo paramecio deve vivere in modo “egoista”: non deve dare niente agli altri, non può far parte di una comunità. Ma già una spugna, che è una forma di vita un po’ più complessa, ha delle cellule che vivono tutte insieme, collegate, alcune si occupano di far vibrare l’acqua, per far passare i nutrienti, altre sono di sostegno alla struttura, e via così, per tutte le funzioni vitali. È già una comunità in cui ogni cellula deve lavorare per le altre, altrimenti muore anche lei. E per dire quanto investiamo sul presente, e non sul futuro: i giovani sono lasciati indietro rispetto ai vecchi. Se lei guarda i dati vedrà che l’Italia ha una spesa sociale molto più alta per gli anziani che per le famiglie. Privilegiamo l’elettore, cioè il pensionato, e non il bambino che pagherà il conto di tutto.
Si ritiene che la fortuna delle istituzioni democratiche e la loro affermazione come modello politico capace di produrre libertà e benessere dipenda dalle virtù taumaturgiche della “volontà popolare”. Come a dire: quando il popolo è libero di decidere, decide sempre per il meglio. Vox populi, vox dei. Invece la storia della democrazia è strettamente legata alla storia della conoscenza. La democrazia si afferma e funziona dove i processi di emancipazione politica si legano all’affermazione del pensiero razionale e del metodo scientifico. Quindi per funzionare ha bisogno non solo di determinati standard istituzionali, ma anche di accettabili standard cognitivi?
Certo. Tony Blair fece un programma elettorale in tre punti: educazione, educazione ed educazione. Non ci possono essere modelli di sviluppo se non c’è una sufficiente educazione diffusa. Faccio spesso un esempio: se per ipotesi l’Olanda venisse invasa, nelle sue “terre basse”, da uno tsunami che bruciasse le coltivazioni con il sale e inondasse le case, due milioni di abitanti si troverebbero improvvisamente privi di case e di beni. Immaginiamo, sempre per assurdo, di prendere questi due milioni di olandesi e di portarli in un posto completamente disabitato, e di tornare dopo 25 anni. Cosa troveremmo? I loro scheletri o università e campi da tennis? Io credo che troveremmo università e campi da tennis, perché avrebbero le capacità – educazione, conoscenze, valori – necessari per riprodurre il loro modello civile, economico e sociale. E la prova di questo è che nel 1945 l’Europa era un deserto fumante di rovine. Venticinque anni dopo, nel ’70, era già una potenza economica. È il software quello che conta.
Dalla sua iniziativa è nato il CICAP, il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze. Oggi il problema della “credulità” ha superato i confini all’interno dei quali era relegato in passato, ed è diventato uno strumento di propaganda politica di massa con potenzialità che finora erano sconosciute. Ma anche le informazioni corrette non sono mai state accessibili come oggi. Cos’è che non funziona? Alla quantità di informazioni disponibili mancano gli strumenti necessari per il discernimento? Il metodo scientifico è ancora troppo “controintuitivo” rispetto al nostro modo “istintivo” di acquisire conoscenza? Oppure stiamo sopravvalutando il problema e l’impatto della pseudoscienza e delle fake news?
È certamente cambiata la diffusione dei mezzi di informazione. In una società arcaica e contadina il pensiero magico era diffusissimo. Il pensiero magico è presente nella storia di tutte le società. La rivoluzione scientifica è una conquista recentissima come “cultura diffusa”: all’epoca dell’Unità d’Italia il 70% degli italiani era analfabeta. È vero che oggi siamo una società avanzata, ma mio padre è nato nel 1875: in due generazioni siamo passati dalla civiltà del grano e del pane a quella dell’intelligenza artificiale. Un salto enorme, che la cultura popolare diffusa non ha seguito in così poco tempo. Fa comunque parte della natura umana volere delle risposte là dove le risposte non ci sono. E quindi, dove la scienza non arriva a dare una risposta, arriva il pensiero magico. Ma secondo me c’è anche una distorsione della percezione, perché in realtà certe forme di pensiero magico, benché molto diffuse sul web, sono in realtà trascurabili rispetto alla realtà complessiva del paese: la pseudoscienza è più un fatto individuale che un fenomeno in grado di incidere in maniera significativa sulle decisioni pubbliche. Per fortuna esiste una razionalità diffusa, sebbene un po’ zoppa e orientata, come dicevamo prima, più verso il presente che verso il futuro.
INDICE Gennaio/Febbraio 2018
Editoriale
Monografica
- La macchina della ricchezza. Intervista a Piero Angela
- Democrazia a debito: l’autobiografia politica della nazione
- Debito pubblico e pensioni: il furto generazionale
- Generazioni e lavoro: il continente vecchio
- La previdenza sostenibile
- L’agibilità democratica del riformismo di governo
- La cassetta degli attrezzi della sinistra alla prova del cambiamento
- Liberalizzazioni: la risorsa 'qui e ora'
Scienza e razionalità
- Medicina difensiva: da dove nasce, come se ne esce
- Fare troppo o troppo poco. Quanto ci costa la medicina difensiva?