I pericoli della democrazia populista
Istituzioni ed economia
Tra l'elogio della democrazia ateniese da parte di Pericle e la distruzione della stessa da parte di Alcibiade, che spinse la città ad un'invasione suicida della Sicilia, passarono solo 16 anni. È quindi tristemente ironico che dalla nascita dell'euro alla vittoria del programma populista di Tsipras sia passato più o meno lo stesso tempo.
Anni in cui il populismo – non certo inventato da Syriza – ha gettato la Grecia in una crisi economica gravissima: per oltre un decennio i politici greci hanno falsificato bilanci, aumentato la spesa e il debito pubblici per finanziare prebende assistenziali e privilegi oligarchici, e investito in politiche clientelari – e quindi improduttive – il disavanzo commerciale causato dall'introduzione dell'euro.
Sbagliano coloro che ritengono che qualcosa fatto a partire dal 2010 avrebbe potuto fermare la corsa greca verso il collasso. L'inaridirsi del flusso di capitali esteri che aveva alimentato l'economia negli anni precedenti non poteva non portare ad un tale esito, non essendo possibile né che questi flussi continuassero in eterno, né che si interrompessero senza conseguenze, né che l'economia greca producesse abbastanza da ripagarli.
Ma come resistere a chi promette di raddoppiare i salari minimi, nonostante la disoccupazione oltre il 20%? Come dire di no ad una pensione per una figlia nubile o per una falsa invalidità, o sussidi europei all'agricoltura utilizzati per comprare migliaia di Porsche? Così funziona la democrazia, anche nei paesi migliori – dove però queste tendenze sono contrastate, e occasionalmente arriva uno statista a fare "reset": dove non ci sono "checks and balances" a fermare il populismo, è inevitabile che la maggioranza venda il suo voto, e la classe dirigente ne approfitti.
Nonostante la nostra lunga esperienza di democrazia disfunzionale (due terzi della nostra storia post-bellica), abbiamo in Europa troppi esempi di successo di democrazie per renderci conto che un sistema politico democratico richiede condizioni – giuridiche, politiche, economiche, culturali, morali. Che la democrazia funzioni in Svezia non deve stupire; ma che non funzioni in Iraq, neppure.
Fuori dall'Europa la disfunzionalità è la norma: l'America Latina non riesce ad emanciparsi dal cesaro-populismo, e dell'Africa e del Medio Oriente meglio non parlare. Al di fuori dell'Occidente i casi di successo ci sono, ma son rari, tanto da far pensare – come suggerisce il mio amico Arthur Wellesley – che "democrazia", più che un'idea universale, sia un altro nome per la cultura politica occidentale.
Sarebbe bello conoscere le condizioni che rendono sostenibile una democrazia. Di certo, dove i voti e gli appoggi si comprano a scapito del lungo termine, come accade nelle democrazie populiste, prima o poi la realtà si vendica, e con gli interessi.
La democrazia senza limiti al potere dello Stato diventa presto un sistema di corruzione di massa per molti e una rete di posizioni di rendita per pochi. Nel lungo termine le tendenze degenerative più forti nelle democrazie – l'assistenzialismo, il clientelismo, il corporativismo, il populismo – sono incompatibili con la democrazia stessa, ma la sua natura autolesionista non è sufficientemente compresa, e contrastata, perché pensiamo troppo spesso alla Svizzera e alla Svezia, anziché alla Grecia e all'Argentina.
La democrazia populista è la forma pura della democrazia, l'esito del processo politico democratico lasciato a sé stesso, il suo equilibrio di lungo termine. La democrazia va difesa soprattutto da sé stessa.