Se dobbiamo decidere il modo migliore per investire i nostri risparmi, o far causa al condomino che ci ha allagato casa, o persino il metodo con il quale mettere al mondo un bambino, non avendo un patrimonio autonomo di conoscenze adeguato a compiere una scelta informata, ci affidiamo alla consulenza degli esperti – l'investitore finanziario, l'avvocato, il medico. Non chiediamo loro di decidere per noi: chiediamo loro di fornirci informazioni che ci mettano in condizione di operare una scelta consapevole.

SYRIZA

Possiamo sentire il bisogno di chiedere più pareri, e magari consultare persone di fiducia cui riconosciamo saggezza ed equilibrio, sebbene non esperte della materia – l'amico, il parente, il conoscente che sappiamo aver dovuto operare una scelta simile a quella che ci troviamo a dover compiere noi.

L'expertise non è una verità rivelata. Non c'è un unico modo, un modo migliore, nemmeno per dare alla luce un bambino, e la scelta di un metodo rispetto ad un altro – parto naturale, cesareo, in acqua, a casa, in ospedale, con epidurale o senza anestesia – è funzionale ad una pluralità di fattori, anche culturali, non solo strettamente sanitari. La decisione finale spetta a noi, non all'esperto. Nostra cioè è la decisione a quale di queste expertise opzionare la nostra personale griglia valutativa.

Le scelte di politica economica non si sottraggono a questo elementare diagramma interpretativo. Il decisore politico ignora le discipline sulle quali ha la responsabilità di decidere. Suo dovere, tuttavia, è operare una decisione. Si affiderà dunque alla conoscenza tecnica, selezionando la/le expertise alle quali improntare il proprio schema decisionale, che si assume essere razionale nel senso di motivato da ragioni che, pur potendo essere altrettanto razionalmente confutate, trovano legittimità nella visione del mondo che il politico assume e condivide con l'elettore che gli conferisce fiducia.

La storia recente dell'Unione europea denuncia tuttavia il sostanziale scollamento tra conoscenza e deliberazione. Le ragioni delle scelte sono ignorate dal decisore, il quale a sua volta è incapace di motivarle all'elettore. Ci chiediamo tutti, ad esempio, quale razionalità vi sia nella regola del 3% sul rapporto debito/pil imposto ai paesi dell'area Euro. Non ce ne è alcuna, è pura astrazione. Eppure a quella regola subordiniamo le politiche pubbliche soprattutto di quei paesi che più avrebbero invece bisogno di agibilità di manovra – ovvero di scelte adeguate alle peculiarità delle diverse economie e composizioni sociali nazionali, non di maggiore spesa tout court, dunque.

Il Fondo monetario internazionale ha giudicato ex post errate le scelte tardive e punitive compiute con il "salvataggio" della Grecia, sebbene lo stesso Fmi – ovvero altri tecnici del medesimo organismo – abbiano contribuito precedentemente a farle assumere ai decisori europei, fornendo l'expertise necessaria a compierle. Al momento della decisione (errata), il decisore politico ignorante, ovvero l'elettore che al politico affida la delega della decisione, non ha in effetti potuto operare una scelta consapevole a causa di un'asimmetria in quel momento non colmabile, non solo per la complessità della questione, la gravità del contesto finanziario, la pressione dei mercati, delle cancellerie europee interessate, ma anche per la indicibilità delle ragioni che vi stavano dietro. 

Nel definire la gerarchia di priorità della politica economica greca i "tecnici", divenuti sovrani, hanno privilegiato i creditori – nella fattispecie le banche tedesche e francesi titolari della fetta più cospicua del debito nazionale – sulla sostenibilità dell'onere di quel debito per i debitori. E tuttavia, se il debitore muore o decide di suicidarsi (ed anche il suicidio può essere una scelta razionale, quando l'alternativa è vivere, ma privati della dignità della sovranità), alla fine è il creditore che perde. Una considerazione economica razionale, apparentemente neutrale, che tuttavia ignori i collaterali economici della ponderazione individuale di fattori non tecnicamente controllabili rende dunque la expertise, intelligente in astratto, stupida in concreto.

Ricette basate su valutazioni macro-economiche che subordinano all'astrazione del principio economico (non-neutrale) la dimensione del reale, ovvero la sostenibilità umana di quella astrazione, finiscono così con l'essere non presupposto virtuoso per politiche economiche consapevolmente deliberate ma l'imposizione democraticamemente abusiva di soluzioni economiche non ponderate.

La colpa della tragedia greca – si dirà – è dei greci, ovvero della classe politica alla quale hanno conferito il potere di disfare le finanze pubbliche nazionali sino alla perdita sostanziale di sovranità. Ma la sovranità in Grecia non è stata effettivamente perduta. Il processo democratico in Grecia è ancora in vigore. Da qui il paradosso.

La Grecia è economicamente non-sovrana, mentre continua ad esserlo democraticamente. La classe politica greca riceve sovranità dagli elettori, ma non ha il potere di esercitare quella sovranità presso i mercati e gli organismi para-istituzionali che ne governano la politica economica. Quella politica economica nasce da valutazioni di esperti non-neutrali – nessun esperto lo è. Questa non-neutralità non ha corrisposto anche ad effettività, nel senso che il piano di austerità della Troika, sebbene macro-economicamente votato ad assestare i conti pubblici (la Grecia nel 2014 ha registrato il primo avanzo primario dall'avvio del programma di austerità), risulta adesso paradossalmente "minacciato" proprio dalla democrazia che in Grecia – che ne è la patria - è tornata prepotentemente a reclamare la supremazia della politica – ovvero di una visione del mondo - sulla tecnica, che è una visione anch'essa, ma partigiana ed irresponsabile.

Alexis Tsipras si è insinuato in questo paradosso. La soluzione che Syriza propone è molto probabilmente una non-soluzione economica, e tuttavia è "la" soluzione democratica. Il successo di Tsipras è conseguenza della distorsione della funzione decisionale, non della comunistizzazione della società greca. In questo senso, non solo è comprensibile ma è addirittura auspicabile.

Se, nella loro non-neutralità, esperti ed istituzioni economiche globali hanno sbagliato nella valutazione delle politiche economiche "consigliate" ai greci, non avendo alcun dovere di risarcire la popolazione greca per i danni di questo errore, cosa impedisce adesso ai greci di conferire fiducia alla expertise alternativa, nella fattispecie la piattaforma statalistico-collettivista cui il politico Tsipras ha opzionato il ritorno della sovranità perduta?

@kuliscioff