La tragica vicenda di Charlie Hebdo che ha scosso la Francia e l'Europa in questi giorni offre lo spunto per riflessioni significative e, per molti versi, obbliga a fuoriuscire da schemi politici collaudati e confortevoli. 

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Se sotto i colpi dei terroristi islamici fosse caduta la redazione di una rivista di destra, per certi versi sarebbe stato più facile ricondurre gli eventi nel solco delle contrapposizioni politiche più scontate: rivoluzionari terzomondisti contro occidentali "conservatori". Invece è stata colpita una rivista di sinistra e questo inevitabilmente spariglia le carte e, sotto vari punti di vista, va ad esporre alcune delle contraddizioni e delle ipocrisie del progressismo.

La sinistra è quella della "laicità", della critica dura alle tradizioni ed al cattolicesimo – quella interpretata, senza troppo gusto, da Charlie Hebdo. Però la sinistra è anche quella degli immigrati e del rispetto e dell'uguaglianza tra tutte le "civiltà" – anche quelle oscurantiste ed "arrabbiate" contro l'Occidente. Allora negli eventi di Parigi si crea il cortocircuito di una sinistra al tempo stesso vittima e carnefice – come Dieudonné un po' Charlie ed un po' Koulibaly.

E' ormai tempo che i progressisti prendano coscienza di questo ossimoro e comincino a farsi carico del suo superamento. Nei fatti la sinistra, specie quella più radicale, non ha mai disdegnato di arruolare e di sommare tutte le cause che potessero avere una valenza antagonista rispetto alla "società borghese", anche quando tali cause presentavano tra loro evidenti elementi di contraddizione, tanto sul piano ideologico quanto su quello più pratico.

E così che, in Francia come in Italia, la sinistra stava con il Gay Pride e stava con Hamas, stava con gli ecologisti che non vogliono le auto e con gli operai delle industrie automobilistiche, stava con il femminismo ma anche con la difesa "antimperialista" di tutte le culture, stava con gli ebrei (meglio se morti da 70 anni – con quelli vivi ha qualche problemino) ma anche con i musulmani duri e puri. Si è sempre trattato, nei fatti, di posizioni strumentali. Nessuna di queste cause era realmente importante di per sé, eppure al tempo stesso tutto poteva stare dentro se in qualche modo poteva essere reso funzionale alla "battaglia complessiva".

Il fatto è che determinate libertà civili di cui la sinistra ha fatto sovente la sua bandiera storicamente hanno potuto trovare un'effettiva realizzazione solo nell'ambito del concetto occidentale di libertà, cioè all'interno della cornice politica ed economica delle liberaldemocrazie. La laicità, i diritti delle donne, i diritti dei gay, lungi dall'essere fattori di contrapposizione rispetto al "capitalismo", sono invece primariamente "libertà borghesi"; sia perché esse possono affermarsi solo in un quadro di governo limitato dove siano valorizzati i diritti individuali, sia perché, sul piano culturale, una riflessione matura sulla loro importanza emerge molto meglio all'interno di una società "tranquilla" ed economicamente prospera, quale quella che un sistema di mercato può determinare. Si tratta in definitiva non di "libertà rivoluzionarie", ma delle libertà a cui può dedicarsi una società "con la pancia piena", che non sia scossa da forti pulsioni ideologiche e da istanze estreme e populiste.

Quello che i fatti dei giorni scorsi ci ricordano, in ogni caso, è che le libertà civili non possono essere semplicemente enunciate in astratto; per essere effettive e durature hanno bisogno di essere riconosciute e sostenute dal basso dalla grande maggioranza della popolazione. Al di là delle dinamiche politiche bipolari, su determinati valori umanisti esiste nei paesi occidentali un consenso diffuso e trasversale. Questo consenso è il prodotto di un equilibrio culturale che è evidentemente diverso da quello che si determina nei paesi di cultura musulmana. Se l'equilibrio culturale dei nostri paesi occidentali si modifica sensibilmente in virtù di uno spostamento di popolazioni, anche il nostro concetto di libertà ne uscirà conseguentemente modificato.

L'Occidente è per molti, ma non per tutti. Deve rimanere aperto a tutti coloro che sinceramente condividano i suoi valori – e la via maestra è quella un'immigrazione di qualità, selezionata attraverso criteri che considerino le esigenze del nostro mercato del lavoro, gli skill dei candidati e fattori di compatibilità culturale. Al tempo stesso la difesa del modello occidentale di libertà non è conciliabile con l'accoglienza indiscriminata, con l'ingresso incontrollato nel nostro sistema civile e sociale - e con il tempo nel nostro sistema democratico - di masse popolari lontane anni luce dalla peculiare "forma mentis" che la nostra civiltà ha prodotto.

In definitiva è il momento di riconoscere – e deve farlo anche la sinistra - che non si può stare con i valori della società moderna ed al tempo stesso giustificare, per ragioni di puro tatticismo, le mire espansive di culture radicalmente ostili alla libertà individuale.