studenti camera grande

Un pezzo dell’AGI di alcuni giorni fa induce a riflettere su un problema che, secondo la citata agenzia di stampa, sta diventando sempre più pressante per gli studenti universitari italiani: il caro-stanze.

Come la stessa agenzia ha prospettato, l’aumento, a volte rilevante, dei prezzi degli alloggi nelle città universitarie sta spingendo molti studenti a optare per atenei minori, dove il costo della vita è più sostenibile. Questo trend, tuttavia, non è solo il risultato di dinamiche economiche naturali, ma è anche la conseguenza di un mercato immobiliare ingessato da normative restrittive e da un’ingerenza statale eccessiva. È di evidenza lapalissiana, infatti, che il caro-stanze esprima un chiaro sintomo di un mercato immobiliare che non riesce a rispondere adeguatamente alla domanda.

In un sistema di libero mercato, l’aumento della domanda di alloggi dovrebbe portare a un aumento dell’offerta, con nuovi investimenti nel settore immobiliare in grado di soddisfare le necessità degli studenti. Ebbene, in Italia, ciò non avviene per una serie di motivi legati principalmente alle normative che hanno prodotto una eccessiva regolamentazione, e alla pesante tassazione. In conseguenza di ciò, i proprietari di immobili, scoraggiati da un carico fiscale opprimente, dalle difficoltà per riottenere la disponibilità dei loro bene, in tutti i casi di cessazione dei rapporti, e dalla legislazione che limita la libertà contrattuale, preferiscono non affittare i propri immobili o destinarli ad altri usi.

Il tutto, ovviamente, restringe l’offerta di stanze e appartamenti disponibili, facendo inevitabilmente salire i prezzi. Inoltre, i vincoli urbanistici e la burocrazia rallentano la costruzione di nuovi edifici, impedendo un adeguamento tempestivo dell’offerta alle crescenti esigenze della popolazione studentesca.

La reazione istintiva, da parte di molti, al problema indicato è quella solita, ossia invocare un intervento statale ulteriore e più incisivo, mediante il controllo degli affitti o sussidi mirati. Naturalmente, nel formulare dette richieste, i promotori non considerano che la storia economica ha insegnato che le soluzioni dirigiste portano a risultati contrari alle intenzioni, e aggravano i problemi anziché risolverli. Gli interventi sugli affitti, ad esempio, non fa che ridurre ulteriormente l’offerta, poiché i proprietari non hanno incentivi sufficienti per affittare a prezzi calmierati o con contratti bloccati. Inoltre, i sussidi pubblici, come solitamente avviene, possono finire per alimentare un circolo vizioso, aumentando la domanda senza stimolare una parallela crescita dell’offerta, con il risultato paradossale di far crescere ulteriormente i prezzi.

Invece di intrappolare il mercato in un ciclo di interventismo e inefficienza, sarebbe opportuno adottare un diverso approccio, che veda nello smantellamento delle barriere alla libertà economica la soluzione più efficace e duratura. Liberalizzare il settore immobiliare significherebbe rimuovere i vincoli normativi che ostacolano la costruzione di nuove abitazioni e alleggerire la tassazione sugli immobili, incentivando così i proprietari a mettere sul mercato nuove soluzioni abitative.

A parte i profili e gli aspetti prima considerati, l’indicato articolo dell’AGI sottolinea altresì come gli studenti, di fronte al caro-stanze, stiano scegliendo atenei minori. Si tratta di un fenomeno che, in parte, appare positivo: in un mercato libero, gli individui dovrebbero avere la possibilità di prendere decisioni basate sulle loro risorse e preferenze. Nondimeno, tale scelta dovrebbe essere il risultato di una libera competizione tra le università e non una conseguenza forzata dell’impossibilità di sostenere i costi di vita nelle città principali.