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Il Presidente della Repubblica ha ieri comunicato di avere promulgato la legge sulla concorrenza 2022 richiamando “l’attenzione del Governo e del Parlamento sull’articolo 11 della legge, in materia di assegnazione delle concessioni per il commercio su aree pubbliche, che, oltre a disciplinare le modalità di rilascio delle nuove concessioni, introduce l’ennesima proroga automatica delle concessioni in essere, per un periodo estremamente lungo, in modo che appare incompatibile con i principi più volte ribaditi dalla Corte di Giustizia, dalla Corte costituzionale, dalla giurisprudenza amministrativa e dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di apertura al mercato dei servizi”.

In linea generale, qualunque violazione del diritto dell'Ue – a maggiore ragione se confermata, come in questo caso, dai massimi organi giurisdizionali nazionali ed europei – dovrebbe impedire la promulgazione della legge che di detta violazione si fa veicolo.

In via eccezionale, come è avvenuto anche in passato (il precedente più simile è quello della proroga delle concessioni balneari nel decreto legge mille-proroghe del 2022), il Capo dello Stato ha preferito in questa occasione non rinviare la legge alle camere, in considerazione del fatto che “il provvedimento [cioè la legge annuale sulla concorrenza 2022] rappresenta uno dei traguardi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza da conseguire entro il quarto trimestre del 2023”.

Durante la sua presidenza, Mattarella ha rinviato alle camere una sola legge, quella contenente "misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo”, evidenziando un irragionevole contrasto tra le norme penali che colpivano funzionari degli istituti di credito e intermediari finanziari, ma non chi in questi organismi rivestiva ruoli apicali. Non era un caso che riguardasse la violazione del diritto dell'Ue. In numerosissimi altri casi, Mattarella ha usato l’arma della moral suasion, invitando in genere senza alcun esito Governo e Parlamento a riconsiderare le norme promulgate.

È evidente che in questi casi la posizione del Capo dello Stato è particolarmente scomoda, stretta com’è la l’incudine del via libera a una normativa manifestamente illegittima e il martello del fermo di una legge, da cui potrebbero conseguire altre conseguenze negative per lo Stato e per i cittadini.

Ma l’esperienza mi pare dimostrare che un eccesso di prudenza, anche rispetto ai rischi di uno scontro istituzionale, abbia un effetto fortemente diseducativo nei confronti del Governo e del Parlamento, incentivandoli a utilizzare provvedimenti di rilevante portata come scudo politico di un abusivismo giuridico perfino provocatorio.

Se infatti basta infilare una norma chiaramente contrastante con la normativa europea e quindi, per questo solo fatto, incostituzionale in un provvedimento indifferibile per scongiurarne il rinvio alle camere, i moniti a rimediare da parte del Capo dello Stato, a legge già promulgata, costituiscono alla lunga solo un alibi per il Governo e il Parlamento e, alla fine, anche per il Quirinale.

Hanno poco senso il richiamo e la censura del potere legislativo ed esecutivo, se di questi non mutano abitudini e comportamenti, visto che dai moniti quirinalizi, in sé, non può derivare alcuna prevenzione o riparazione del danno politico, economico e reputazionale procurato dalla reiterata violazione della normativa Ue da parte dello Stato italiano.