di maio conte grande

Un governo per fare cosa? È difficile commentare una crisi a tratti ridicola eppure tanto drammatica. Il rischio che nuove giravolte rendano anacronistica ogni considerazione è sempre dietro l'angolo. Tuttavia, vale la pena ragionare sulle implicazioni di politica economica (cioè sulle nostre vite).

Non è facile capire le intenzioni programmatiche di Pd e 5 stelle. All'inizio, l’obiettivo principale sembrava evitare l'aumento dell'Iva (si veda per esempio l’intervista di Renzi del 10 agosto che di fatto ha avviato “la trattativa”). Ora, ci sono 2 modi per evitare l’aumento dell'Iva:

1) Tagliare sostanzialmente il reddito di cittadinanza e quota 100: impossibile per un governo coi 5 stelle, che su quei provvedimenti hanno costruito una campagna.

2) Aumentare le tasse e/o tagliare la spesa pubblica. Far pagare agli italiani il conto degli sperperi di Lega e 5 stelle: politicamente, una missione suicida per il Pd.

Conseguito l'obiettivo di rinviare le elezioni, Renzi si è sfilato dalla trattativa. La parola “Iva” è passata in secondo piano e sono iniziate le contrapposizioni sulle persone e le cose. Il nome del Presidente del Consiglio, dei suoi vice, il totoministri, la piattaforma Rousseau, la Casaleggio Associati, la Rai. L'unico cenno alle intenzioni programmatiche del Pd è nel post di Zingaretti del 30 agosto, che fa seguito al celebre (suo malgrado) tweet del 29 agosto: “Vogliamo un governo che rimette i soldi nelle tasche degli italiani” (sic).

I punti di Zingaretti possono essere riassunti così: taglio delle tasse sui salari medio bassi, rilancio degli investimenti pubblici, incentivi agli investimenti privati, investimenti per le infrastrutture green, "rilancio dell'industria 4.0" (investimenti in automazione per migliorare la produttività), “rilancio della politica sull’economia digitale” (difficile capire cosa significhi), rilancio della scuola e della formazione, formazione gratuita dall’asilo all’università per le famiglie povere, investimento di 10 miliardi nella sanità pubblica, “nuova stagione di assunzioni” nel settore pubblico, e investimenti nella sicurezza urbana.

Propositi molto generici e in parte facilmente condivisibili, con una caratteristica in comune: richiedono soldi, tanti soldi. E trascurano che per scongiurare l’aumento dell’Iva nel rispetto dei patti fiscali con l'Europa servono, secondo le stime, circa 30 miliardi. Non solo nessuno nel Pd ha spiegato dove trovare quei 30 miliardi, ma si propongono nuove spese per decine di miliardi. Anche in questo caso senza spiegare come finanziarle.

Per quanto ne sappiamo, gli scenari possibili sono due:

1) Il Pd straccia i punti di Zingaretti e si prende la responsabilità di raccogliere 30 miliardi tra nuove tasse e minori spese per finanziare le prebende elettorali dei gialloverdi, portando a compimento il suo suicidio elettorale.

2) Il governo finanzia le prebende vecchie e nuove in deficit. Altro che 2,04 o 2,4%. Si sfonda ampiamente la soglia del 3% e si avvia il debito su una traiettoria molto pericolosa, a dispetto dei vincoli europei (che non sono i capricci di un sadico ma servono, appunto, a garantire la sostenibilità del debito e scongiurare crisi finanziarie).

A quanto pare il Pd sembra propendere per la seconda via, nella speranza che, con il ridimensionamento dei fanatici anti-euro che consigliano Salvini, la Commissione Europea ci ritenga maggiormente degni di fiducia e voglia concederci una certa flessibilità. È una strategia molto rischiosa: si tenta di perseguire le stesse identiche strategie proposte dagli "economisti" di Salvini, contando sul fatto che stavolta funzioneranno in virtù di una sostanziale differenza antropologica rispetto al governo precedente.

Ora, può anche darsi che l’Europa sia così felice del temporaneo allontanamento di Salvini da concederci più flessibilità, ed è vero che l’allentamento del rischio di "ridenominazione" del nostro debito (in una valuta inferiore, cioè la lira) garantisce margini di manovra più ampi. Ma tali condizioni non rendono meno sconsiderata una politica economica basata su spese incontrollate, in parte a caso e in parte inique (si veda per esempio quota 100) senza alcuna preoccupazione per il loro finanziamento, per la sostenibilità del debito e per il benessere delle generazioni future.

A questo punto direte: e allora i 5 stelle?

I 20 punti dei 5 stelle, naturalmente, non sono da meno. Alcune riforme strutturali, per lo più dannose (il taglio dei parlamentari, al primo punto, è di per sé una riforma priva di qualsiasi significato che vada oltre la propaganda), e soprattutto nuova spesa senza limiti e nessuna preoccupazione su come finanziarla, sulla falsariga dei 13 mesi di governo con la Lega. La verità è che dietro queste intenzioni di spesa non c'è una visione precisa del futuro del paese. Solo l'ansia di accaparrarsi frettolosamente un consenso effimero e per niente duraturo (l’esperienza del reddito di cittadinanza, la cui approvazione non ha risparmiato ai 5 stelle un crollo di consensi nelle elezioni europee, dovrebbe insegnare qualcosa).

Sia sul Pd sia sui 5 stelle aleggia lo spettro dell'impostazione di politica economica vaneggiante sdoganata dai ciarlatani no-euro, che si può sostanzialmente riassumere così: se le cose si mettono male, sarà sempre possibile creare ricchezza dal nulla prendendola indefinitamente a prestito o, nella peggiore delle ipotesi, stampando moneta (lire, ovviamente). Una volta di più si ha la sensazione di assistere a un’egemonia delle ricette populiste di politica economica, basate su una sorta di “principio di irresponsabilità”: ai costi, alla sostenibilità e al futuro penseranno quelli che verranno dopo; adesso conta solo il consenso. Effimero, va ricordato.

Non si può sconfiggere il populismo appropriandosi delle sue ricette miracolose, usando le sue parole d’ordine, e rivitalizzando i suoi interpreti più pericolosi. L’autoritarismo e il populismo - tratti che Salvini ha sempre avuto in comune coi 5 stelle - si sconfiggono costruendo una alternativa politica, a cominciare dalla politica economica.