Tria grande

Quando il vicepremier Di Maio intima al titolare dell’Economia di tirar fuori i soldi per pagare le promesse elettorali della maggioranza giallo-verde è naturale, per gli oppositori dell’esecutivo, parteggiare per il Ministro Tria e ringraziare la resistenza del Capo dello Stato, che ha imposto l’economista di Tor Vergata al posto di Paolo Savona.

Tria è oggettivamente un argine allo scasso dei conti pubblici e una (relativa) garanzia per gli investitori internazionali e per gli interlocutori europei, ma siamo sicuri che il suo lavoro a Via XX Settembre sia davvero vantaggioso in termini generali e non solo utile per gli azionisti della maggioranza? Tria impedisce (per ora) che il peggio peggiori, non che migliori, né riesce a invertire le tendenze di fondo di una politica soggiogata dalla “verità alternativa” dell’Europa matrigna e dell’Italia incatenata agli “stupidi” vincoli di Bruxelles.

La presenza di Tria – l’uomo del Quirinale al Governo – consente all'esecutivo di replicare al proprio interno la dialettica maggioranza/opposizione e autorizza agevolmente Lega e M5S a rimanere, pur detenendo il 100% del potere, forze “anti-regime”. Tria è l’austerità, l’obbedienza a Bruxelles, la tecnocrazia agli ordini dei mercati, mentre Salvini e Di Maio sono politici popolari, che continuano, anche da Palazzo Chigi, la lotta contro i nemici dell’Italia e i loro referenti nazionali (tra cui Tria e il suo dante causa Mattarella).

Inoltre Tria, di fatto, non è neppure un vero ministro, ma una sorta di super-ragioniere dello Stato, che conserva voce in capitolo sul controllo dei saldi di bilancio, ma non ha alcuna influenza sulla composizione della spesa e sulla natura di quella manovra cosiddetta espansiva, che Lega e M5S stanno congegnando per pagare i voti comprati politicamente alle elezioni in nome del “tutto e subito”.

Tria per chi guardi con timore e orrore alla politica economica dell’esecutivo appare il “meno peggio” perché di fatto non responsabile del contenuto della prossima legge di bilancio. Si sa, o si presume, che Tria, se fosse davvero un ministro a pieno titolo, non butterebbe 20-25 miliardi tra reddito di cittadinanza e contro-riforme previdenziali.

In termini politici, quindi Tria funziona assai più come alibi per Di Maio e Salvini, che come campione o testimonial di una politica responsabile e alternativa a quella del governo Conte. Il suo lavoro è tutto a valle delle logiche e delle retoriche dell’Italia leghista e pentastellata, che Tria si guarda bene dallo sfidare e cerca al contrario di adattare alle compatibilità politico-finanziarie imposte dallo stato della nostra economia e dei nostri conti pubblici.

È un lavoro prudente, il suo, ma nella fureria del governo gialloverde, non – per dirla con una metafora - sulle montagne della resistenza partigiana.

@carmelopalma