L’idea di “fronte Repubblicano” evocata in queste ore è confortante, ma sembra frutto di un ragionamento quantitativo – non qualitativo. Il rischio è quello di inscenare il medesimo spettacolo, confondere le nuove e migliori figure tra gli attori più noti e meno incisivi, e fallire nell’innesco di un moto autenticamente trainante.

Ovadia ghiaccio

Nella primavera del 2015 novecento cittadini olandesi rappresentati da Urgenda – una fondazione impegnata nella promozione dei principi dello sviluppo sostenibile nelle politiche pubbliche – si sono rivolti alla Corte Distrettuale dell’Aja per risolvere una disputa con lo Stato. Oggetto della controversia é il target di abbattimento di emissioni di C02 entro il 2020 necessario a contrastare i rischi associati al cambiamento climatico; target che, secondo Urgenda, lo Stato avrebbe dimensionato al 17% ignorando le raccomandazioni della letteratura scientfica. Con una sentenza ripresa dai media di tutto il mondo, la Corte dell’Aja ha riconosciuto la legittimità della posizione di Urgenda, sentenziando a favore dell’innalzamento dell’obiettivo di abbattimento di emissioni di CO2 al 25%. Da pochi giorni é cominciato il processo di appello.

Che a promuovere questa controversia siano stati dei cittadini olandesi non è casuale. Il ruolo dell’evidenza scientifica nella formazione delle politiche pubbliche – e, quindi, la sua eco nel rispettivo dibatitto – fa parte dello strumentario civico prodotto dallo stesso design istituzionale dei Paesi Bassi. Il ruolo dell’Istituto Nazionale di Ricerca Applicata e dei science-policy institutes ministeriali nei processi, rispettivamente, di formazione e valutazione delle politiche pubbliche, ne é una parte costitutiva fondamentale. Studiosi e ricercatori membri di commissioni multidisciplinari impegnati in ricerca di rilevanza sociale sono ospiti ordinari dei media nazionali.

Il mandato degli science-policy institutes facenti capo ai principali Ministeri – interamente pubblici nel finanziamento ed altrettanto indipendenti nell’orientamento dei contenuti – riflette perfettamente la concezione di servizio pubblico che sottende alla rispettiva organizzazione: quella di garante dell’interfaccia imprescindibile tra scienza (nell’accezione ampia di indagine e creazione di conoscenza) e politiche. Concezione che riproduce una cittadinanza sensibile al rischio del loro scollamento, e perció attivamente impegnata nel controllare l’operato dei suoi rappresentanti.

Basti pensare che uno degli studi più noti tra quelli condotti dal Centraal Planbureau, l’istituto di studi economici e sociali, consiste dell’analisi di fattibilità dei programmi economici dei partiti alla vigilia delle elezioni politiche. La valutazione comparativa degli effetti delle manovre proposte nei rispettivi programmi elettorali é interamente finanziata da e rivolta al cittadino grazie ad un circuito virtuoso di allocazione di risorse pubbliche, e ad una concezione indipendente del relativo servizio. Tutt’altro circuito rispetto a quello – perlopiù discrezionale e volontario, e quindi inevitabilmente parziale agli occhi del cittadino – con cui si è discusso, in Italia, di fattibilitá del reddito di cittadinanza à la MoVimento 5 Stelle o degli impatti di un’ipotetica uscita dall’Euro.

Al di là del contesto olandese, la frequenza crescente di ‘casi Urgenda’ in Europa e nel mondo segnala una domanda sempre più diffusa di verificabilità del processo di indagine che informa la produzione di politiche pubbliche. Questa domanda di evidence-based policy da parte di gruppi di cittadini sempre più eterogenei (o, come scriverei se non trovassi quest’espressione di uso comune spiacevole oltre che scorretta, “dal basso”), è tra le principali spinte motivazionali delle organizzazioni che operano a cavallo tra promozione di conoscenza ed attivismo politico: come appunto, Urgenda, o la britannica Sense About Science, che contrasta “the misrepresentation of science and evidence in public life”’; o, in Italia, l’Associazione Luca Coscioni, promotrice di un congresso annuale sulla libertà di ricerca scientifica, ed i laboratori politici come Movimenta, che importa indagine e creatività transdisciplinari in iniziative di innovazione sociale.

Il denominatore comune tra queste associazioni – di fatto, politiche, ma appartenenti ad una costellazione da satellitare ad estranea ai partiti tradizionali – è quello di promuovere un discorso pubblico sui temi piú rilevanti per la vita ed il futuro dei cittadini a partire da la fattualità, verificabilità e complessità delle opzioni ragionate che l’indagine conoscitiva offre all’orientamento di scelte ed obiettivi di interesse comune.

Consapevole della semplificazione che, per ragioni di spazio, mi appresto a fare, queste diverse direzionalità dell’agire politico – l’una, a partire dall’indagine esplorativa di conoscenza; l’altra, a partire da credo e dogmi che ne decretano la produzione ed utilizzo selettivi – non sono che i due vettori lungo i quali si sono contrapposti, nel corso della storia Europea, oscurantismo ed illuminismo, paralisi conservatrici e transizioni progressiste, e fronti religiosi e movimenti secolari. Non ultimi, tra questi, i movimenti femministi che hanno contribuito – in Irlanda, in questi stessi giorni – all’abbattimento di impalcature costituzionali e normative lesive della salute fisica e psicologica delle persone prima ancora che delle rispettive libertà.

Nella stessa misura, l’interfaccia tra scienza, indagine e politiche pubbliche riflessa nei programmi dei partiti Europei contemporanei costituisce un criterio distintivo del rispettivo posizionamento sullo spettro partitico attuale, ai cui estremi più significativi troviamo (di nuovo, semplificando) populismo e nazionalismo e (social)liberalismo ed europeismo. La relativa dicotomia chiuso vs. aperto, suggerita alla vigilia delle elezioni italiane, sintetizza gli attributi con cui questi due poli si manifestano: non le radici che ne determinano la polarizzazione, che consistono di due diverse ed inconciliabili relazioni con la practica conoscitiva e riflessiva che porta all’ideazione ragionata di futuri non solo desiderabili, ma necessari.

Perché è la necessità, a richiedere un percorso di indagine; non il soddisfacimento di bisogni contingenti. Bisogni, quelli dei tantissimi cittadini Europei disorientati dall’evaporazione della relazione tra spazio e tempo – e quindi tra territorio ed informazione, produzione e scambio, tra ‘dove vengono prese’ e ‘dove accadono’ gli effetti delle decisioni – del tutto legittimi e prioritari; ma a cui il populismo contemporaneo risponde con una ricetta tanto ovvia quanto distruttiva: ritornare a ciò che si conosce già. Ossia ai confini nazionali, alla vecchia moneta, al colore tradizionale del passaporto, a una medicina e a un'agricoltura purificate dai progressi della ricerca, e a uno stato sociale pervasivo e iniquo; interpretando (spesso, spacciando) questo moto all’indietro con la riconquista di una “sovranità popolare” che non è altro che la sovranità del desiderato sulla sovranità del necessario; e che, nel contesto italiano, non fa che ribadire il triste primato della generazionalità su quello dell’intergenerazionalità.

In quel laboratorio sperimentale della politica occidentale che è appunto l’Italia, a conquistare la maggioranza dell’elettorato sono stati proprio gli esponenti di questo concetto distorto di sovranità. Da cittadina a cavallo tra quel laboratorio e la sua controparte nordeuropea – dove ad essere sperimentate sono invece le molteplici forme di cittadinanza attiva che permettono alle generazioni attuali di incidere positivamente sulle opportunità di quelle future – in questi giorni mi sono interrogata, come tutti, su come quel laboratorio possa nuovamente rispondere ai bisogni sostanziali dei cittadini – il più importante dei quali resta quello di essere socialmente abili ed autonomi nel determinare il proprio percorso di vita – generando, al contempo, futuri necessari.

Per un momento, anche io ho istintivamente trovato riparo nell’idea di unità tra tutti gli attori che non siano riconducibili alle maschere nostalgiche che stanno occupando la scena. Di contro, non credo che il “fronte Repubblicano” evocato in queste ore sia lo scenario da perseguire. Il ragionamento che lo genera è, appunto, quantitativo; non qualitativo. Il probabile risultato è quello di inscenare il medesimo spettacolo, confondere le nuove e migliori figure tra i ruoli più vecchi e meno incisivi, e fallire nell’innesco di un moto autenticamente trainante.

Di quel moto credo debbano farsi portatori quanti – in Italia, sempre di più – operano in quella costellazione parallela che vede studiosi di ogni disciplina e settore, artisti conosciuti e sconosciuti, impiegati occupati e disoccupati, medici e sindaci di paese, imprenditori inventivi e dipendenti pubblici curiosi, esperti appassionati ed inesperti volenterosi uniti nella consapevolezza che l’attuale necessità storica è quella di alzarsi dalla platea, ed occupare la scena. Che comprendono che il fronte necessario non è quello politico allineato in una generica opposizione al populismo, ma quello civico che si riconosce nell’attivismo della ragione; che sa, per intuizione e vissuto, che per smentire la retorica del cambiamento, l’agire necessario è quello che attraverso la volontà di indagare, la pazienza di riflettere e la gentilezza di condividere, genera la concretezza del miglioramento. Non senza sacrificio: ma nutrendosi dell’ottimismo che accompagna ogni nascita. Sentimento, l’ottimismo, tragicamente assente nel discorso politico italiano, e quantomai urgente per liberarlo dalla superficialità chiassosa di cui è finito ostaggio.

Certo, la catalizzazione di queste forze richiede dei visionari ragionevoli che ne intercettino le orbite. Ossia che quelle nuove e migliori figure che citavo più sopra – di cui l’Italia non è mai mancata, ma a cui la politica italiana ha raramente lasciato il palcoscenico – non si mescolino con vecchi fronti, ma diano vita a comunità nuove. È a loro, che questa mia riflessione si rivolge.