Il successo del “metodo Casaleggio”, che è una sorta di metodo Stamina, una macchina da voti e da soldi fondata sulla disperazione personale e sull’incoscienza collettiva degli elettori/pazienti, dipende dalla capacità di sfruttare due condizioni di fondo della politica contemporanea: in primo luogo la prevalenza del “voto contro”, cioè l’uso della democrazia come rivolta contro la sovranità perduta, contro lo spossessamento dal controllo dei fenomeni globali; in secondo luogo la spoliticizzazione della politica e la sua degradazione a ridda di illusioni, vanità e risentimenti in larga misura privati, con il passaggio dall’agorà alla “strada”, dal popolo alla “gente”, dall’ideologia alla psicologia di massa.

Come abbiamo già scritto, Casaleggio padre è stato un geniale broker dell’alienazione politica e il figlio ha proseguito l’ingegnerizzazione delle strategie di condizionamento e di controllo del mercato elettorale, nella consapevolezza che, per parafrasare Chesterton, quando si smette di credere alla politica, non è che non si creda più a nulla, ma si inizia a credere politicamente a tutto. La transizione dalla persuasione alla fede e infine alla credulità e dall’ordine delle idee al disordine degli “ideali” è la miscela esplosiva che ha fatto di un soggetto inventato, senza classe dirigente, se non a contratto e senza alcuna idea di governo vagamente razionale nel più straordinario partito piglia-tutto del panorama tricolore, l’unico interclassista e l’unico davvero nazionale.

In questo quadro, sarebbe bello che lo scoop di Luciano Capone su Il Foglio aiutasse a svegliare gli elettori grillini dal sonno dogmatico, svelando la contraddizione tra la retorica sulla democrazia della rete e sugli inappellabili responsi di Rousseau e la fungibilità di qualunque posizione e l’intercambiabilità di qualunque programma, purché funzionale alla conquista e al consolidamento del potere. Prima che Capone certificasse l’atlantismo postumo del partito ufficialmente più anti-Nato, svelando le carte della truffa on line, ci aveva già pensato il capo politico Di Maio a cambiare registro, a smentire e a smentirsi e a ricostruire una verginità “ammeregana” che sarebbe dovuta apparire patetica e invece la gran parte della stampa italiana ha salutato come una prova di maturità politica. Al punto che anche gli altri partiti – ieri ufficialmente pure il PD, proprio nel giorno della truffa svelata da Capone - si sono sentiti in dovere di giocare al gioco del programma e a redigere carte di impegno che non impegnano nessuno, meno che mai Di Maio, che ha un impegno del tutto diverso con la casa madre profit del suo partito no cost.

Alla fine, la conseguenza più interessante dello scandalo denunciato da Capone non sarà purtroppo la notizia in sé, ma il fatto che, malgrado una grande diffusione, questa non riuscirà a diventare davvero una notizia e a mutare non dico il corso degli eventi, ma neppure quello delle opinioni. Difficile dire se la logica della post-verità precorra o segua quella della post-informazione (è la vecchia questione dell’uovo e della gallina). È l’abitudine del pubblico social a guardare senza vedere o a sapere senza capire a dettare l’offerta della (parola grossa) stampa o è la facilità tecnologica e l’alta redditività delle info usa e getta e della psicagogia di massa ad analfabetizzare e anestetizzare il pubblico e a farne il target politico perfetto dei Casaleggi globali? Sia come sia, questa logica rende oggi la sorte della verità assai meno fortunata di quella della menzogna e l'impresa dei Capone molto più complicata ed eroica di quella dei Casalino.

Infatti, a fare di questo scandalo gigantesco poco più di un inciampo nella cavalcata del M5S nella prateria dell’alienazione collettiva sarà proprio l’alienazione stessa di un elettorato, che non può capire la verità senza emanciparsi dalla post-verità, un po’ come gli ubriachi non possono diventare consapevoli delle allucinazioni alcoliche senza prima smettere di bere.

@carmelopalma