Basta un sì, anzi almeno quattordici milioni
Istituzioni ed economia
Qualora il prossimo 4 dicembre dei quasi 51 milioni di elettori italiani se ne recassero alle urne - come i sondaggi suggeriscono - tra il 55 e il 60 per cento, i votanti sarebbero più o meno compresi tra i 28 e i 30 milioni. Immaginando che le schede bianche e nulle si attestino su di una percentuale irrilevante - intorno all'1%, come nel 2006 - e che quindi la quasi totalità dei votanti esprima un voto valido, per vincere il referendum occorreranno almeno 14-15 milioni di voti.
Nei sondaggi sulle elezioni politiche le preferenze oggi espresse per i partiti della maggioranza renziana non superano mediamente un terzo del totale e, a seconda dei livelli di partecipazione stimata, si attestano approssimativamente tra i 10 e gli 11 milioni di voti. Al loro interno, oltre a quelli della piccola galassia centrista post-montiana e post-berlusconiana, sono compresi tutti i voti Pd, quindi anche quelli degli elettori schierati a sostegno del No, stimati, a seconda dei sondaggi, tra un quarto e un quinto dell'elettorato democratico.
Sulla base di queste previsioni (oltremodo approssimative, ma indicative delle grandezze in gioco) i voti più o meno “sicuri” per il Sì, sempre che i corrispondenti elettori il 4 dicembre si rechino tutti alle urne, non dovrebbero essere più di 8-9 milioni. Che sono per l’appunto quelli che oggi i sondaggi assegnano più o meno al Sì, al netto di un’ampia percentuale di indecisi comunque intenzionata a recarsi alle urne. Quindi in teoria Renzi e i sostenitori del Sì, pur facendo il pieno dei voti virtualmente “sicuri”, dovrebbero raggranellarne almeno altri 5, 6 o addirittura 7 milioni tra gli elettori dei partiti di opposizione.
Si può sostenere che i voti sui referendum non sempre ricalchino le mappe del consenso partitico, ma per riuscire nell'impresa il fronte del Sì, a meno che l’affluenza alle urne non crolli rispetto alle previsioni, dovrebbe comunque conquistare tra un quarto e un terzo degli elettori grillini, leghisti, forzisti ecc. ecc.. L'estrema politicizzazione del referendum confermativo - non ci si pronuncia sul nucleare o sulle “trivelle”, ma sulla nuova Costituzione - nonché la personalizzazione attiva e passiva dello scontro attorno alla figura del premier rende quantomeno irrazionale ipotizzare un voto fisiologicamente "trasversale".
Insomma, se Renzi uscirà vincitore dal voto, non sarà una vittoria normale, ma un successo storico davvero straordinario, perché significherà che il capo del governo è stato in grado di persuadere e di mobilitare una frazione imponente dell'elettorato ufficialmente "anti-renziano". Se ne uscirà sconfitto, al di là delle conseguenze sul suo futuro politico e su quello della legislatura, a uscire confermata sarà la ferrea "legge del 138" (nel senso dell’articolo della Carta), cioè la sostanziale impossibilità di approvare riforme costituzionali non consensuali in Parlamenti eletti con sistemi elettorali maggioritari.
Se questo poi costituisca un vero elemento di garanzia o un pericoloso fattore di paralisi del nostro ordinamento costituzionale è un altro discorso, che la vittoria del No renderebbe però perfino temerario affrontare.