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La storia dell'abbattimento del Boeing 777 della Malaysia Airlines, che nell'estate di due anni fa uccise 298 innocenti, è nota. Meno nota, invece, è la campagna di propaganda e disinformazione portata avanti in questo periodo per coprire le tracce dei responsabili. Uno scontro di versioni, narrazioni e ricostruzioni che risulta non solo rilevante per via della gravità dei fatti ma anche perché rappresentativo delle tecniche informative, aggiornate ma non nuove, impiegate dalla politica estera russa.

La campagna sul caso Mh17 rappresenta alla perfezione il modello di manipolazione dell’informazione che la Federazione ha sviluppato e che impiega massicciamente, in particolare nelle varie crisi internazionali.

Su questo evento, per oltre due anni, è stata condotta un’indagine dal Jit, il Joint Investigation team, composto dai ricercatori forensi dei cinque paesi più coinvolti (Olanda, Malesia, Australia, Ucraina e Belgio). I risultati dell’inchiesta sono stati pubblicati il 28 settembre in una conferenza stampa a Nieuwegein. L’indagine giudiziaria, volta a costituire un corpus di prove necessarie per un successivo processo, segue l’investigazione civile svolta nel 2015 dal Dutch Safety Board che ha accertato il coinvolgimento di un sistema anti-missile russo Buk. Assetto che, nonostante le smentite di Kiev e di Mosca, entrambe hanno in dotazione.

Il Jit ha ricostruito come l’arma sia stata portata dalla Russia nei territori dell’Ucraina orientale controllati dalle formazioni filo-russe. La "ricchezza e la varietà" delle prove in possesso del comitato investigativo internazionale non ha lasciato dubbi circa l’accuratezza dei risultati. Come è stato illustrato, conversazioni tra separatisti, testimoni oculari, tracciati telefonici, immagini satellitari messe a disposizione dagli Usa e dall'Esa, hanno reso possibile ricostruire accuratamente il percorso del missile incriminato dalla Russia all’Ucraina e viceversa. Al momento sono state individuate circa 100 persone collegate al trasporto e al lancio del missile, mentre ulteriori indagini sono in corso per identificare i responsabili.

Il team internazionale guidato dagli investigatori olandesi ha in realtà confermato ciò che un gran numero di commentatori aveva rilevato fin dai giorni successivi alla tragedia. Evidenze che non hanno fatto altro che aumentare con il tempo. Molte di queste sono state tratte direttamente da Internet, compreso un certo numero di maldestri tentativi da parte russa di nascondere i fatti, cambiare le proprie versioni e manipolare l’informazione.

Il periodo antecedente al 17 luglio 2014 è stato costellato da continui abbattimenti di velivoli militari ucraini da parte dalle armi anti-aeree delle forze separatiste (almeno 16 tra aprile e luglio). È in questo contesto che, mezz'ora dopo la tragedia, un account legato alle forze ribelli postava sui social network la notizia dell’abbattimento dell’ennesimo cargo militare ucraino vicino a Torez. Nonostante la successiva cancellazione è possibile trovarne ancora copia sul Web. Le agenzie di Stato russe ITAR-TASS e RIA Novosti, oltre a vari media, riprendevano subito la notizia.

Sempre la TASS, che in giugno comunicava la disponibilità di tali sistemi anti-aerei per le forze ribelli, cambiava rapidamente la propria versione dei fatti. Anche il comandante del battaglione Vostok, dopo avere ammesso in un’intervista con Reuters il possesso di un sistema missilistico Buk, modificava la propria posizione, tanto da costringere l’agenzia a pubblicare l’audio del colloquio. Secondo alcune intercettazioni rilasciate dai servizi segreti ucraini, i ribelli hanno confermato la paternità dell’abbattimento e tentato di recuperare le scatole nere dell’aereo prima di chiunque altro, impendendo tra l’altro l’accesso all’aerea del disastro ai giornalisti e all’OSCE. Poco dopo la scoperta del disastro, alcuni media russi riferivano della presenza in zona di caccia ucraini. Come prova veniva citata anche la “conferma” di un controllore del traffico aereo spagnolo impiegato in Ucraina, una testimonianza che si è rivelata falsa. Ancora più bizzarra è risultata la teoria del tentativo di abbattere il volo presidenziale di Putin.

Nel tempo, la federazione ha modificato la propria posizione sull’abbattimento. Dalla teoria del Buk ucraino, esposta durante una conferenza stampa del Ministero della Difesa, si è presto passati a quella del velivolo Su-25 di Kiev. Per rendere possibile queste ipotesi, la relativa pagina di Wikipedia veniva alterata per “correggerne” i dati sulla quota operativa massima. Un falso ancora più eclatante è consistito nelle immagini di Channel 1 raffiguranti un aereo ucraino nell’atto di lanciare un missile contro il volo malese, di qualità talmente bassa da venire smontate nel giro di pochissime ore. Un caso simile a quello dell’audio trasmesso dalla Komsomolskaya Pravda sul ruolo della CIA, un evergreen utile per ogni occasione. Tentativi più raffinati hanno invece incluso la distorsione di contenuti di media credibili.

Il tutto è stato accompagnato dal consistente supporto dei media internazionali del Cremlino, RT e Sputnik, nonché da tutte quelle fonti disinformative che fanno informalmente capo a Mosca. Tra questi figurano un vasto numero di finti outlet informativi, enti fittizi o pseudo-ONG di supporto – spesso di natura ideologica e dai contenuti cospiratori – e vaste attività di trolling online (la creazione di finti account digitali a fini propagandistici). Mentre i media globali proponevano notizie, evidenziavano incongruenze e riportavano le opinioni delle investigazioni ufficiali, la guerriglia informativa russa sosteneva un’ampia gamma di spiegazioni alternative.

Particolare attenzione è stata destinata a contrastare le evidenze raccolte da Bellingcat, un collettivo di giornalisti e cittadini investigativi noto per le proprie analisi mediante fonti aperte e metodi dell’open source intelligence (OSINT). Bellingcat è stato il primo a individuare con precisione il lanciamissili nel territorio dei separatisti e con il passare del tempo ha generato una mole impressionante di materiale (anche) sul caso Mh17. Le sue inchieste hanno individuato i responsabili e la dinamica degli avvenimenti, arrivando a identificare persino i reparti coinvolti (la 53a brigata di difesa aerea russa) e la relativa catena di comando. Tra i dati disponibili, la geolocalizzazione puntuale di armi e veicoli, l’individuazione dei singoli soldati grazie ai social network e anche la distruzione del campo che si ritiene essere stato il luogo del lancio del missile. Il riassunto dei due anni di attività ha costituito un rapporto completo che mette insieme una straordinaria mole di dati, utili anche alle indagini ufficiali.

La qualità dei riscontri ottenibili grazie agli strumenti liberamente consultabili su Internet ha stupito vari osservatori. Sfruttando mappe satellitari commerciali o gratuite (tra cui Yandex Map, Google Maps e Google Street View), video disponibili su Youtube e materiale proveniente da VKontakte (il principale social network russo), è stato possibile far emergere una quantità notevole di evidenze open source. La piattaforma di giornalisti investigativi ha esaminato la fornitura di missili alle aree ucraine orientali, l’origine del sistema Buk, i movimenti del convoglio di armi anti-aeree, le manipolazioni di immagini satellitari fornite da Mosca e, più in generale, dei dati forniti dal Ministero della Difesa. Il recente rapporto del Jit conferma ampiamente il risultato di questi due anni di analisi.

Il clamore delle indagini di Bellingcat è stato tale da provocare un inedito dibattito diretto tra i giornalisti e le autorità russe. La qualità dei report è stata confermata dalle “attenzioni” riservate alla sua attività e al suo sito internet. I contenuti sono stati sommersi dal trolling, mentre il portale è stato oggetto di attacchi hacker. La campagna sulle responsabilità dell’abbattimento è stata così aspra da portare alcuni reporter delle stesse televisioni di Stato russe a dimettersi per protesta. Come ha scritto Danilo Elia, uno dei pochi giornalisti italiani a seguire da vicino le migliori indagini sul volo Mh17, si è trattato di anni di “storie, verità e depistaggi”. Lo stesso Primo ministro olandese Rutte ha recentemente invitato Mosca a cessare di diffondere “ogni sorta di assurdità” sul volo malese.

L’implicazione della Federazione, sebbene non eccessivamente enfatizzata dagli investigatori, risulta piuttosto evidente. Un dato che emerge indirettamente anche dalla contrarietà all’istituzione di un tribunale internazionale ad hoc. Nel contesto ucraino non solo è stato ampiamente provato il coinvolgimento diretto della Federazione nel conflitto in corso, ma sono stati largamente documentati gli sforzi per creare, rifornire, addestrare e sostenere le forze “ribelli” operanti nelle autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk. Queste dinamiche, che peraltro rientrano perfettamente nella tradizione già sovietica, costituiscono le classiche attività di guerra non convenzionale e tramite proxy, e in questo contesto va inserita la fornitura di armamenti. Assetti che devono necessariamente avere avuto la diretta approvazione dei vertici militari per lasciare il territorio della Federazione e rientrarvi in seguito alla tragedia. Inoltre, un sistema anti-aereo Buk è composto da strumentazioni avanzate che comprendono vari veicoli e complesse apparecchiature operate da personale addestrato. Formazioni irregolari, ribelli o “popolari” assai difficilmente avrebbero avuto le competenze necessarie.

Mosca ha criticato i risultati del Jit definendoli “politicizzati”. Nonostante per ora le indagini ufficiali non abbiano puntato il dito contro specifici colpevoli, risulta sempre più evidente come la Federazione non abbia fornito una coerente ricostruzione degli eventi e sia da ritenere quanto meno politicamente responsabile.

Ma il punto più rilevante non è la ricostruzione puntuale degli eventi o delle manipolazioni successive. In fin dei conti chiunque abbia seguito la migliore stampa internazionale difficilmente è stato tratto in inganno dalla successiva campagna di depistaggio. Chi ha familiarità con le classiche modalità degli apparati di Mosca in materia di manipolazione dell’informazione ha riscontrato inoltre precise continuità storiche, in particolare con il caso simile dell’abbattimento del volo KAL 007 nel 1983. La prima reazione fu di negare l’accaduto. Come hanno ricostruito Andrew e Gordievsky, quando fu chiara la responsabilità del caccia sovietico il KGB lanciò una vera e propria offensiva propagandistica comprendente la creazione di falsi e teorie della cospirazione. Seguirono nuove spiegazioni ufficiali, mentre le scatole nere vennero occultate e trattenute fin dopo il collasso dell’URSS, prima di ammetterne l’esistenza e consegnarle alle Nazioni Unite.

Al di là dei casi specifici, è possibile trarre qualche conclusione più globale sulla strategia di propaganda e disinformazione impiegata da Mosca in Occidente e altrove. La varietà e la gamma di teorie proposte è servita a suggerire, soprattutto al pubblico domestico, l’impossibilità di sbrogliare la matassa, rassegnandosi alla “complessità” del caso. Una missione semplice, peraltro, se si considera il pressoché totale monopolio statale, diretto o indiretto, dei media domestici. Alla fine del luglio 2014 l’82% dei russi incolpava Kiev dell’abbattimento. Nel settembre solo il 3% riteneva colpevoli i miliziani, mentre uno stupefacente 20% credeva nella responsabilità statunitense. Dati che sono rimasti invariati anche a distanza di un anno. Come è stato notato, la maggior parte della popolazione russa vive in una “realtà parallela” a quella occidentale, con una comprensione degli eventi totalmente differente. Un dato che ha pesanti ricadute in termini politici.

La campagna di intossicazione informativa indirizzata all’audience internazionale ha mirato soprattutto a distrarla dalla realtà che stava emergendo. Inquinare l’ambiente informativo tramite varie fonti pro-russe è servito a confondere quanto più possibile il pubblico. L’intento del Cremlino è stato quello di screditare le fonti che indagavano sull’abbattimento e saturare lo spazio informativo con la propria versione dei fatti. Si tratta di assicurarsi visibilità tramite dichiarazioni ufficiali, articoli delle proprie corazzate mediatiche e altre tecniche volte ad “occupare” lo spazio per primi e imporre una determinata narrativa.

Una strategia di offuscamento del contesto volta a rendere irriconoscibili i fatti e soffocare le migliori analisi. Le spiegazioni fornite sono variate numerose volte durante le indagini, disegnando una “multi-versionalità degli scenari” a vantaggio delle autorità. Un metodo già applicato nel caso dell’omicidio Nemtsov, del conflitto ucraino e, di recente, del bombardamento di un convoglio umanitario in Siria.

I media russi e le loro estensioni hanno prodotto una vasta mole di improbabili teorie cospiratorie sull’abbattimento del volo malese, presto rilanciate e diffuse sul Web tramite una rodata macchina propagandistica 2.0. I sempre più evidenti contatti politici e ideologici all’estero hanno inoltre fatto sì che ampi settori del mondo politico siano diventati disponibili a sposare i punti di vista della Federazione e a rilanciarne le posizioni. Come dimostra il caso Mh17, è possibile creare e gestire una realtà informativa parallela a quella tradizionale – definita spregiativamente “mainstream” – che agisca a proprio favore. Un’operazione facilitata dalle nuove tecnologie, che moltiplicano le possibilità di propaganda e disinformazione a livelli mai raggiunti prima. Allo stesso tempo però, paradossalmente, Internet permette anche di smascherare con una certa facilità (Bellingcat docet) una buona parte delle mistificazioni dei governi.

Più in generale, Mosca impiega una serie di tecniche per indebolire il giornalismo indipendente e influenzare le opinioni pubbliche. Tra queste, esempi noti sono la creazione di media internazionali di propaganda (come RT e Sputnik News) e il massiccio impiego di troll factories. Accanto a ciò operano dinamiche meno visibili e più sovversive che ricalcano l’arte sovietica della dezinformatsia (pur con aggiornamenti tecnologici e ideologici). Ne fanno parte l’uso deliberato e massiccio del cospirazionismo anti-occidentale, la creazione di un vero e proprio mondo parallelo di “notizie” e siti Web dall’evidente contenuto disinformativo, il più generico supporto a istanze e sentimenti anti-sistema. Questi meccanismi non solo rischiano – spesso con successo – di influenzare l’audience, danneggiare la qualità dell’informazione e minare la fiducia nei media occidentali, ma rappresentano – nel più lungo periodo – un pericolo per gli stessi sistemi democratici.

Dal 2014 è stato avviato, da esperti, centri di studio, governi e istituzioni internazionali, un largo dibattito sulle modalità di guerra “ibrida” che sarebbero impiegate della Federazione Russa. Come è stato ampiamente rilevato, l’informazione gioca, in perfetta continuità con la cultura strategica del Paese, un ruolo chiave nelle operazioni di sovversione e nelle riflessioni militari, costituendo uno dei principali strumenti di sfida all’Occidente.

Secondo Keir Giles, la disinformazione di Mosca non consiste principalmente nel “vendere” la Russia come un’idea o nel ricercare la credibilità nelle proprie tesi; si tratta al contrario di minare la nozione di verità oggettiva e il reporting, mirando alla “destabilizzazione e all’indebolimento della società target”. Come ha autorevolmente notato Mark Galeotti, l’approccio russo dall’Ucraina alla Siria segue un preciso modello di 5 punti: negare (“Non è mai avvenuto!”), contro-attaccare (“È una provocazione!”), confondere (“Esistono varie teorie in merito…”), equiparare (“Lo fanno tutti!”) e infine ripetere fino a creare la sensazione che esistano varie potenziali teorie.

Come hanno evidenziato Pomerantsev e Weiss, “Il Cremlino sfrutta l’idea di libertà dell’informazione per iniettare disinformazione nella società. L’effetto non è quello di persuadere (come nella classica diplomazia pubblica) o di guadagnare credibilità, ma il disseminare confusione tramite teorie della cospirazione e il moltiplicarsi di falsità”. In questo senso, il destino del volo Mh17 costituisce un perfetto caso studio della più ampia strategia di propaganda della Federazione Russa.