logo editorialeCon la legge di stabilità 2015 prosegue la crociata dei governi italiani contro il risparmio. Da comportamento virtuoso, degno di tutela costituzionale, a pratica diabolica da penalizzare. Il risparmio non è più la libera scelta di chi ha (ancora) il coraggio di guardare al futuro, oppure di chi, al contrario, del futuro ha paura e decide di tenere qualcosa da parte. Quasi alla stregua di una pratica parassitaria, viene ormai considerato un inutile drenaggio di risorse dal consumo.

La finanziaria 2015 colpisce il risparmio previdenziale con un aumento considerevole del carico fiscale. Da 11,5 per cento a 20 per cento l'aliquota sui rendimenti dei fondi pensione. Da 11 per cento a 17 per cento quella sulla rivalutazione dei fondi TFR. Questi aumenti seguono l'inasprimento della tassazione sui rendimenti finanziari già deciso prima dell'estate, e peraltro pare che possano essere addirittura retroattivi! Per giustificare questo aggravio, il governo da un lato sostiene che si tratta di un adeguamento alla alla media europea delle aliquote, dall'altro lato si serve di una retorica che confonde sempre più il concetto di risparmio con quello di rendita. Così, nell'immaginario collettivo, il perfido rentier ha soppiantato l'onesto risparmiatore, mentre la tassazione indiscriminata dei risparmi viene fatta passare come una sorta di “dovere morale”.

Renzi

Nelle intenzioni del governo, le risorse drenate dai risparmi degli italiani, saranno in parte redistribuite a sostegno dei consumi – tentativo vano, peraltro, come hanno mostrato gli 80 euro – e in parte serviranno a mettere un'altra toppa alle finanze dello stato. Questa operazione predatoria sulla previdenza complementare è anche la più classica manifestazione di “incoerenza temporale” delle scelte politiche. Un termine difficile in apparenza, ma che in realtà esprime un concetto semplice. Un concetto che nel più saggio e antico senso comune si traduce con il proverbio “finita la festa, gabbato lu santu”. In estrema sintesi, i governi, di qualunque colore, sono spesso tentati di rivedere le scelte e disattendere gli impegni del passato, una volta che cittadini e operatori economici hanno assunto decisioni definitive e irrevocabili.

Alla fine degli anni '70, i due economisti Finn Kydland ed Edward Prescott contribuirono a rendere esplicito questo concetto nel pensiero economico, dimostrando che l'incoerenza temporale tende a essere la norma, e non l'eccezione. Per questo ricevettero anche il nobel per l'economia nel 2004. L'incoerenza temporale ha ricadute importanti sull'efficacia della politica economica: significa che un intervento pubblico, per essere veramente efficace, deve essere proposto e attuato in un contesto istituzionale caratterizzato da una “tradizione di governo” credibile. Se non c'è credibilità è impossibile coordinare in modo efficace l'intervento pubblico e le scelte private. In un contesto privo di credibilità, e quindi con quadro normativo incerto e il rischio di un “voltafaccia” del governo, gli operatori economici difficilmente si fideranno a investire le proprie risorse nell'economia.

A pensarci bene è proprio questa la vera trappola nella quale si sta cacciando la politica economica, i governi e l'economia italiana. In questo senso, la batosta sui fondi pensione, non solo infligge perdite ingiustificate ai risparmiatori senza sortire risultati apprezzabili, ma soprattutto assesta un altro colpo alla reputazione della nostra “tradizione di governo” dell'economia. È bene ricordare che fino a pochi anni fa lo sviluppo della previdenza complementare in Italia era un obiettivo dichiarato e prioritario dei governi. E la tassazione ridotta sui fondi pensione era un incentivo per i risparmiatori a investire nei famosi “pilastri complementari”. Molti si sono decisi a investirvi proprio in base alla valutazione del regime fiscale pre-vigente. Ma oggi il governo disattende gli impegni danneggiando lavoratori e risparmiatori.

È probabile che i provvedimenti della legge di stabilità, così come quelli che verranno dopo, non serviranno a risolvere la crisi ne avranno alcun impatto sull'economia. E questo non solo e non tanto per la natura e la sostanza degli interventi, quanto piuttosto perché il nostro quadro economico-istituzionale è ormai privo di certezza e credibilità. Il messaggio implicito della legge di stabilità è ancora una volta: non fidatevi degli impegni del governo perché, come è già accaduto, in futuro se li rimangerà. La legge di stabilità 2015 rivela la contraddizione di questo come di altri governi italiani: si impegna per il futuro proprio mentre si rimangia gli impegni del passato.