logo editorialeLa legge di stabilità sarà una grossa sfida per il governo Renzi, pressato dall'Europa sugli obiettivi di bilancio, ma allo stesso tempo desideroso di mostrarsi attivo e interventista sul fronte dell'economia. C'è bisogno, evidentemente, di soluzioni creative. I tecnici stanno studiando gli interventi appropriati per venire incontro a questa esigenza, e le prime indiscrezioni cominciano a trapelare.

Nei giorni scorsi ha ricevuto parecchie critiche l'ipotesi di accreditare direttamente in busta paga del lavoratore metà del trattamento di fine rapporto maturando (TFR). È evidente che, dopo la cocente delusione degli 80 euro, il governo vorrebbe tentare nuovamente di spingere i consumi. Il rischio di fare un nuovo buco nell'acqua, però, è quanto mai concreto.

Le critiche espresse nei confronti della proposta sono in gran parte giustificate, secondo me. Dall'intervento, infatti, non trarrebbe beneficio nessuno. Né le imprese, né i lavoratori, e nemmeno l'economia nel suo complesso.

Dal punto di vista delle imprese, l'operazione non è certo indolore. I datori di lavoro, costretti a pagare subito metà del TFR invece di accantonarlo, sarebbero privati di una parte dell'autofinanziamento: a livello aggregato si parla di circa 14 miliardi di euro all'anno.

Per fare fronte a questo drenaggio di liquidità, molte aziende dovrebbero rivolgersi al sistema bancario, in una fase in cui, a dispetto della politica monetaria "accomodante", il credito è sempre più scarso e costoso. È molto probabile, quindi, che a fronte dell'esborso richiesto dovranno ulteriormente ridimensionare attività e investimenti. Molte imprese finora sopravvissute ai fallimenti (che rispetto allo scorso anno sono aumentati del 15 per cento) potrebbero decidere di chiudere a loro volta.

Dal punto di vista del lavoratore, l'anticipo del TFR in busta paga non è un vero e proprio aumento di reddito. Infatti, benché esigibili solo a fine rapporto, quelli sono soldi già suoi: l'accantonamento del TFR, in fondo, non è molto dissimile dall'accumulazione graduale di un risparmio che il datore di lavoro pagherà al momento del licenziamento o del pensionamento. Stiamo parlando, dunque, di anticipare al lavoratore la disponibilità di una parte del denaro che in realtà è già suo. È come dire che il governo vorrebbe "amichevolmente" convincere il lavoratore a consumare una parte dei propri risparmi. Insomma, una operazione dirigistica di riduzione del risparmio per incrementare il consumo.

Peraltro, sarebbe importante sapere come verrà tassata la parte di TFR anticipata in busta paga. Con le norme attuali, infatti, il TFR è soggetto a una tassazione separata. Se l'anticipo venisse invece tassato secondo il regime ordinario, cioè cumulato agli altri redditi e assoggettato all'aliquota marginale più elevata, rischieremmo di aumentare la tassazione in capo al dipendente, e il gettito fiscale in favore del bilancio dello stato. Sarebbe veramente il colmo, ma di questi tempi non ci sarebbe poi da meravigliarsi troppo.

Da notare, inoltre, che, anche nel caso in cui si mantenesse il regime attuale di tassazione separata del TFR anticipato in busta, il risultato sarebbe comunque un'ulteriore complicazione nel calcolo delle imposte. Tutto questo per la gioia di CAF, consulenti e commercialisti, ma non certo del lavoratore, condannato a capire sempre meno i calcoli infernali della propria busta paga.

Per quanto riguarda l'impatto sui consumi e sull'economia, infine, l'operazione TFR avrà, nella migliore delle ipotesi, effetti marginali. Prima di tutto perché gli aumenti di reddito hanno impatto sui consumi solo se sono percepiti come "permanenti" - cosa che, nelle attuali condizioni di incertezza economica e occupazionale, appare molto difficile da credere. È un po' quello che è avvenuto per l'operazione 80 euro, a dispetto di tutte le rassicurazioni del premier in merito alla permanenza dello sgravio. Nel caso del TFR, peraltro, circola voce che si tratterà di un intervento esplicitamente transitorio.

A ciò si deve aggiungere che la maggior parte delle persone assume le proprie decisioni di consumo e di risparmio in un'ottica di ciclo lavorativo e vitale, e - se questa misura andasse in porto - sarebbe perfettamente cosciente di trovarsi di fronte a una liquidazione anticipata dei propri risparmi mascherata da aumento del netto in busta paga. Avere a disposizione anticipatamente una parte dei propri risparmi non significa che questi soldi saranno automaticamente spesi. La maggioranza delle persone li vorrà tenere da parte.

Chiunque provasse a vendere l'operazione come una sorta di sgravio fiscale, magari come una nuova quattordicesima, rischierebbe seriamente la figura dell'imbroglione. È un intervento che non regala nulla ai lavoratori, con il rischio concreto, al contrario, di tassarli di più. È un intervento che addossa ulteriori costi alle imprese e che, con ogni probabilità, così come avvenuto per gli 80 euro, non sortirà alcun effetto positivo sui consumi e sull'economia.

Un contributo concreto alla ripresa dell'economia può arrivare solo dal taglio consistente, permanente e credibile della pressione fiscale, finanziato con tagli strutturali e permanenti della spesa pubblica corrente. Ogni surrogato è destinato a fallire.

Salvadanaio rotto