logo editorialeIl PD, con una decisione che più scontata non poteva essere, ha deciso di candidare solo donne come capolista nelle cinque circoscrizioni elettorali per il Parlamento di Bruxelles. Cinque donne rispettabili e rispettate, ma tutte, nessuna esclusa, prive di un profilo forte e politicamente autonomo, di una storia lato sensu femminista o di un'effettiva rappresentatività di genere, tranne che per la statistica e l'anagrafe parlamentare, che non distingue però i seggi conquistati da quello concessi e il potere conteso e infine agguantato da quello conferito, e si limita a misurare le "presenze rosa".

Così, surrogando la politica femminista con la politica "al femminile" i partiti arruolano sempre più donne in posizioni di potere e perfezionano un Cencelli di genere sempre più esigente e inderogabile sul piano numerico, ma si dimenticano di quella che, in altri tempi, si sarebbe tristemente chiamata la "questione femminile", e che adesso non si chiama diversamente, né più allegramente, ma non si chiama in nessun modo, perché non ne esiste più traccia, né ingombro nella coscienza della politica. Così si è persa qualunque idea della differenza sociale e corporale dell'identità politica femminile, qualunque concetto della naturale problematicità dei rapporti di genere come rapporti di potere, nei partiti e nelle istituzioni di governo.

Il femminismo ha prodotto il divorzio, l'aborto, la riforma del diritto di famiglia, contro la resistenza e la riluttanza maschile (anche "progressista") a considerare imprescindibili queste pretese. La politica "al femminile" ha assistito invece a fenomenali marce indietro e battute d'arresto sui cosiddetti diritti delle donne, senza fare un plissè. La legge 40 sopravvive da dieci anni a parlamenti sempre più rosa, in cui non c'è una donna "di potere" che ponga la condizione personale di disfarsene, per rimanere a colorare di rosa il proprio seggio. Le donne italiane lavorano meno di tutte le donne europee, maltesi a parte, e non c'è una parlamentare che ne faccia un'emergenza civile, neppure in modo assurdo, proponendo – che so? – quote rosa nelle assunzioni, o che esiga più ragionevolmente di smontare e rimontare il nostro welfare sbagliato per liberare le italiane da un lavoro di cura, che corrisponde a una vera e propria cattività civile. Come mai?

Perché le idee hanno sempre conseguenze e le idee cattive conseguenze cattive, ecco come mai. Perché nel velinismo politicamente corretto, che non promuove (oltraggio) le fidanzate o le mezzane, ma (encomio) le collaboratrici più capaci e fidate e le intelligenze rosa più servibili, le donne cessano di essere donne e femministe mentre gli uomini non smettono di essere uomini e maschilisti. Mi rendo conto, però, che ragionare sulla disuguaglianza che cresce e si aggrava sotto le coltri di questa ideologica e paracula parità è maledettamente complicato, mentre candidare qualche bella e brava ragazza di specchiata moralità è molto più facile e "vincente", anche per le ragazze prescelte. Ma la realtà ha la testa dura e il conformismo, alla fine, le gambe molli.

Post scriptum - Alle elezioni europee le teste di lista rosa suonano poi particolarmente farlocche. Ci sono (purtroppo) le preferenze e la prima posizione non garantisce affatto priorità d’elezione. Il n. 1 “al femminile” in lista serve al PD per dimostrare quanto è female friendly, non - tanto per fare un nome - a Pina Picierno per dimostrare di essere il n.1 del suo partito al Sud, né la prima eletta della sua circoscrizione a Bruxelles.

@carmelopalma