Renzi PD

I risultati del voto dei circoli smentiscono l’idea che il “partito di Renzi” abbia usurpato la rappresentanza del “popolo del PD”. I travagli e le convulsioni della sinistra pre-democratica e post-democratica, che ha insistito sul carattere eversivo e “innaturale” della leadership renziana, non hanno trovato riscontro né attivo (consensi a Emiliano), né passivo (tassi di astensione) nel voto degli iscritti. Il candidato che più rivendicava la continuità con la storia democratica pre-renziana, Orlando, si è fermato poco sopra un quarto dei voti.

Renzi ha vinto nel partito molto più di quanto avesse fatto nel 2013, quando chiamato a salvare il PD dalla “non vittoria” di Bersani, aveva raccolto meno del voto di un iscritto su due (45%), con Cuperlo a un’incollatura (39%). Il voto popolare, con buona probabilità, confermerà il solido riallineamento degli orientamenti dell’elettorato a quello degli iscritti PD e confermerà la strutturale “renzizzazione” del partito.

Il fatto che il voto “per Renzi” non sia tutto “di Renzi”, ma risponda alle scelte di altre correnti interne al PD (Franceschini, Martina…) non farà probabilmente dell’ex premier un segretario a sovranità limitata. Renzi non ha concesso nulla né ai suoi alleati, né ai suoi avversari interni. Continua a muoversi su di una linea – quella della autosufficienza del PD e della sua leadership per la sfida delle prossime politiche – lontana da quella che auspicherebbero molti dei suoi attuali alleati. Continua a esigere e a praticare una gestione fortemente “presidenzialistica” (per non dire personale) del partito e delle sue scelte, anche rispetto all’esecutivo di Gentiloni.

Renzi non è mai stato così forte e indiscusso nel PD, ma non è mai stato così debole e discutibile come leader capace di arginare – da solo, con il suo solo partito e la sua sola piattaforma politica – lo tsunami populista che rischia di abbattersi sulle istituzioni italiane. Il 40% delle europee (con il 57% di partecipazione al voto) e il 40% del referendum costituzionale non ne fanno un leader capace oggi di traguardare il 40% in grado di far scattare il premio di maggioranza con l’Italicum corretto dalla Consulta.

Nel caso in cui, come tutto lascia presagire, la riforma elettorale non tornerà a un impianto in qualche modo maggioritario – che potrebbe decretare il successo dei 5 Stelle ma anche di una compagine alternativa al partito di Grillo – nel prossimo parlamento rischiano di non esserci i numeri per alcun governo e il PD, che oggi sdegna l’ipotesi di alleanze o coalizioni elettorali, dovrebbe solo sperare in un possibile governo con FI.

Renzi oggi non ha altra strategia che quella di confermare il PD primo partito – e poi si vedrà. E non ha alcuna proposta politica diversa da quella di un populismo “democraticamente corretto”: un po’ di antipolitica, un po’ di antieuropeismo, un po’ di nuovismo. Contenuti deboli in sé, che diventano debolissimi se a propugnarli è un leader politico che ha guidato il quarto governo per durata della storia della Repubblica e che è stato a ragione identificato come un campione della resistenza europeista, in un Paese in cui l’Ue è diventata il capro espiatorio delle debolezze e dei difetti nazionali.

Come la minoranza si è rifiutata per anni di guardare alla realtà dei mutamenti culturali e ideologici dell’elettorato democratico, così la maggioranza del PD si rifiuta di vedere che la stagione della rottamazione è finita e che la maggioranza che sarebbe necessario e forse anche possibile costruire contro la destra lepenista e il M5S non può essere esclusivamente renziana e non può fare il verso alle parole d’ordine delle forze anti-sistema. Contro il Fiscal Compact, contro le euro-burocrazie, contro l’establishment economico-finanziario, contro il “liberismo selvaggio”, contro le privatizzazioni… qualcuno potrà certo vincere le elezioni, ma non sarebbe comunque il PD.

Il fatto che Renzi oggi punti più sulla linea antipolitica che su quella riformista, più su quella “grillina” che su quella “blairiana”, più sulla novità che sull’innovazione è – come già era chiaro nella campagna sul referendum costituzionale - un’ulteriore prova di debolezza.

@carmelopalma