Fenomenologia delle primarie. Perché vince sempre chi 'deve' vincere?
Istituzioni ed economia
Verrebbe da dire scherzando - ma neppure troppo - che c'è una ragione, più di tutte le altre, per cui il PD rivela ancora ascendenze ex PCI: le primarie del “partito del Lingotto” sono sempre saggi collettivi di filosofia della storia hegelo-marxista. Accadde con Veltroni, con Bersani e per due volte con Renzi. Lo stesso, ieri, con Zingaretti. In sintesi: vince sempre il candidato che “deve” vincere, trionfa sempre senza vere opposizioni il candidato pre-incoronato, prevale sempre un senso del tempo e della storia che è ingenuamente "scientifico", non solo nel calcolo dei dirigenti, ma anche nel sentimento dei militanti e degli elettori.
È come se nel dialogo interiore con se stessa e con i propri sensi di inferiorità e superiorità la sinistra pensasse di trovare una rappresentazione più esatta del mondo e del proprio ruolo nel mondo, mostrando una disponibilità anche spregiudicata a ogni sorta di ribaltamento e di avanti-indrè ideologico, in nome della salvezza della propria comunità. C’è in tutto questo qualcosa di autoreferenziale e perfino di autistico, ma anche qualcosa di grande e di eroico, se si pensa all’evanescenza di tutte le altre comunità politiche della storia nazionale, che i rovesci hanno dissolto in un soffio alla fine della Prima Repubblica e nel tempo breve della Seconda, mentre la sinistra - “quella” sinistra - si è rimpicciolita e dispersa senza scomparire, con il suo bagaglio di sogni e rimpianti così tradizionali, così riconoscibili, così distintivi.
In fondo in Italia il socialismo è finito con un Craxi fuggiasco e morente, il berlusconismo con Berlusconi fantasma ancora vivente, il partito dei cattolici con la fine del suo contenitore storico, mentre il suo contenuto si riallocava per ogni dove, dall’estrema destra all’estrema sinistra. La “sinistra” - cioè quella parte della società italiana cresciuta nel rapporto di odio e amore, ma in ogni caso di necessaria rispondenza con il Partito Comunista e con le sue appendici - invece no. Sta ancora lì, più marginale, certo, ma tenace, perfino nel rimpianto postumo di uomini e ragazzi che non erano neppure nati, quando lui era già morto, ma rimpiangono Berlinguer come se fosse stato il Mahatma Gandhi della nostra indipendenza nazionale, e non il catastrofico tumulatore dell’ideale rivoluzionario di classe nel moralismo populista pre-antipolitico.
Ieri ha vinto Zingaretti, che è un erede esemplare di quella tradizione, a partire dal suo cuore spirituale e materiale, cioè la FGCI romana. Ma anche le vittorie di Renzi hanno avuto quel segno, non sul piano delle policies, ovviamente, ma della dinamica interna. Anche Renzi è stato incoronato sulla base di un’analisi “scientifica” dei rapporti di forza e di quale uomo e faccia servisse alla salvezza del partito e alla sua unità. Con Renzi si videro dalemiani votare il rottamatore per lo stesso “realismo” che ha portato Gentiloni a votare Zingaretti, di cui ha rappresentato per anni a Roma una alternativa culturale, politica e perfino estetica. In tutto questo calcolo c’è probabilmente più travaglio che opportunismo, un senso di necessità non derogabile, che si pretende in qualche modo dettato dalla storia.
Ora con Zingaretti torna la Ditta, la lotta al liberismo, la retorica popolare, l’antipolitica perbene e la sinistra-sinistra, come con Renzi lo stesso popolo, tramortito dalla sconfitta di Bersani - sembra un secolo, è passato poco più di un lustro - si era votato a un blarismo abbastanza spericolato, interpretato da un leader chiacchierone, che nella sua vita aveva già sostenuto tutto e il suo contrario (anche sull’articolo 18 e sulle unioni civili gay: i marchi di fabbrica della sua legislatura), ma che aveva capito che da quello spiraglio la sinistra poteva uscire dall’angolo della marginalità.
Dopo il voto di ieri rischia di cambiare molto e in peggio nella storia della sinistra italiana, e lo scopriremo dalle prossime mosse del nuovo leader del PD. Ma le primarie anche questa volta hanno innescato lo stesso meccanismo e hanno scattato la stessa fotografia per lo stesso album di famiglia.